223_AMERICAN SNIPER . Stati Uniti 2014; Regia di Clint Eastwood.
American Sniper è un film classico:
e questa è la sua miglior qualità. Il che potrà anche sembrare una qualità
minore, almeno allo spettatore poco incline a certe sottigliezze. Ma fare un
film “classico”, farlo per davvero,
non è affatto semplice ne inutile. Un film si può realmente definire classico
non solo quando rispetta i criteri di bellezza canonici ma soprattutto quando
è focalizzato sul tema centrale e non ha inutili orpelli o virtuosismi che distolgano l’attenzione dal nocciolo del
discorso. Il classico è sobrio, calibrato, lucido, per definizione. Come il
cinema di Clint Eastwood. Come American
Sniper. L’argomento è delicato: la guerra; ma non una guerra da libri di
storia, come la Prima o la Seconda Guerra Mondiale o quella del Vietnam, che
sono state bene o male metabolizzate ed archiviate dal sentore comune. No, qui
si parla della guerra in Iraq, della guerra al terrorismo, roba contemporanea,
non storica, e quindi sempre difficile da maneggiare. Per nostra fortuna ci
pensa il vecchio Clint che destreggia la materia con classe sopraffina e
produce un film eccellente, sia formalmente che nella sostanza. Il tema è
scabroso, già dal titolo, Cecchino
Americano, e ancora di più dal promo, con la scena del bambino. Clint non
si perde in strade secondarie ma punta dritto al cuore del problema: se la
guerra è la cosa peggiore del mondo, il cecchino è il peggior ruolo di questo drammatico evento. Un
lavoro schifoso: sparare a sangue freddo, uccidere a ripetizione e in modo
vigliacco.
Altro che film di propaganda, la pellicola mette in scena il
lato peggiore della guerra, un aspetto che appartiene anche agli americani. Non
che si possa definire questo American Sniper come un film di
propaganda, anche se naturalmente c’è chi l’ha fatto. Ma quale propaganda, se
Eastwood demolisce la virilità sessuale dei suoi protagonisti: “a letto fai pena” dice la prima moglie
a Kyle, il quale, per nulla scomposto, non la smentisce ma in tutta risposta
supplica al fratello, presente alla scena, di “non
raccontarlo in giro”; sul letto d’ospedale Kyle scherza con Bombarda sulle “misure” di quest’ultimo: 5 cm ; e infine ancora Kyle
discute con la seconda moglie sulla sua durata: “ce la fai in 4 minuti?” chiede lei, “me ne bastano 2” ,
risponde lui.
Anche la scelta del protagonista, un eccellente Bradley
Cooper, sembra fatta per scongiurare il tipico sillogismo “soldato = macho”.
Il lavoro di Clint è preciso e puntuale nel togliere questi sottotemi da psicologia un tanto al
chilo: oggi si ha la tendenza, se non a giustificare, almeno a motivare,
qualunque atto, anche quelli più criminali, con argomenti da lettino di
analisi. E questo non solo a livello personale, ma anche e soprattutto quando
si esaminano comportamenti di intere comunità o nazioni.
Eastwood sgombra il campo da questi falsi alibi, già con la
semi comica scena della prima moglie che si auto psicanalizza “perché credi ti tradisca? Per attirare la
tua attenzione”.
Ma è soprattutto con il dialogo con il dottore dei reduci di
guerra, che si manifesta la cristallina analisi del regista. Non sono tanto gli
scheletri negli armadi a creare problemi; persino un cecchino, che è il lavoro
peggiore del mondo, al tempo stesso giudice e boia, con l’aggravante di
prendere le proprie decisioni seduta stante, può arrivare a capire che il fare il proprio dovere, qualunque esso sia,
ha i suoi lati positivi oltre quelli negativi, e si tratta solo di fare un
bilancio. Il problema nasce proprio qui, quando si razionalizza l’irrazionalizzabile: la guerra è un
orrore troppo grande che è impossibile superare anche dal più giusto ed onesto
degli uomini. La morte per mano di un reduce suona quasi beffarda ma è
l’ammissione che in guerra sì, si può vincere il nemico, ma il prezzo da pagare ha il
sapore di una sconfitta.
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