231_IL GRANDE FREDDO (The Big Chill). Stati Uniti 1983; Regia di Lawrence Kasdan.
L’incipit di Il grande freddo è un momento di grande cinema: sulle note di You can’t always get what you want dei
Rolling Stones, del 1969, il regista Lawrence Kasdan ci mostra magistralmente
un funerale e i suoi preparativi; siamo nella provincia americana, in Sud Carolina
per la precisione. Kasdan è uomo di cinema, già sceneggiatore per la saga di
Guerre Stellari o per il primo capitolo delle avventure di Indiana Jones, tanto
per capirci: è consapevole, perciò, che iniziare alla grande un lungometraggio significa poi poterci quasi vivere di
rendita fino alla sua conclusione. Non che necessariamente fosse quello,
l’intento del regista nato a Miami, ma da lì in poi il suo Il grande freddo avanza tranquillo, srotolando lentamente le storie
dei sette personaggi convenuti al funerale di Alex (che nel film non si vede
mai, sebbene si dica che in origine ci fosse e fosse Kevin Costner, poi
tagliato nella versione definitiva) loro vecchio amico di gioventù che si è
inspiegabilmente suicidato. Al di là della perdita di un interprete come
Costner, il cast annovera attori di grande rilievo in rampa di lancio: Tom
Berenger è Sam, un divo della tivù, Glen Close è Sarah, moglie di Harold,
interpretato da Kevin Kline, che insieme formano una tipica coppia borghese
degli eighties; poi c’è Michael, un
Jeff Goldblum assatanato di sesso che fa il giornalista con lo stesso impeto,
Nick, psicologo cocainomane a cui William Hurt presta il suo aspetto un po’
sfuggente, Meg, l’avvocatessa in carriera che ha tralasciato la famiglia e ora, per
recuperare il tempo perduto in campo materno, si affida allo sbiadito fascino
conferitole da Mary Kay Place. Chi è ancora in gran forma è Karen, la bella della compagnia, rispondente a
JoBeth Williams, a suo tempo contesa da Sam e Nick ma, in seguito, convolata in
moglie ad un facoltoso benestante (Richard, che presenzia al funerale ma poi
abbandona la scena). A questi sette personaggi va aggiunta la più giovane e un
po’ spaesata fidanzata di Alex, Chloe (Meg Tilly) la cui spontanea, ingenua, apparentemente
superficiale, ma forse solo perché meno calcolata, personalità spicca per
contrasto rispetto a quelle di tutti gli altri.
Si è detto che Kasdan di professione è
anche sceneggiatore (in questo caso insieme a Barbara Benedek) e la messa
in scena del week end che il gruppo di amici decide di passare in compagnia, in
onore ai vecchi tempi pur nella sfortunata circostanza, è perfetta. Ma il regista,
in questo caso, si affida molto anche alla capacità interpretativa dei suoi
validi attori, lasciando che sia la loro sensibilità a definire nel dettaglio
le personalità dei personaggi: e forse, anche per via dell’età anagrafica dei
suoi interpreti, che vissero il periodo sessantottino in tempo reale, quello
che ne esce è davvero un quadro credibile di una generazione che si trova a
fare i conti con la propria coscienza.
Non è un caso che quasi tutte le canzoni
della celebrata colonna sonora (non originale) siano risalenti a prima
del periodo della contestazione:
certo, fatto giustificabile anche per motivi cronologici, ma è anche la
certificazione di un tentativo di rimozione dalla memoria degli anni settanta,
ovvero di quel periodo in cui i moti
rivoluzionari scesero a compromessi con la realtà. Dei vari personaggi, alcuni
hanno saltato a pie pari il fosso, passando
dagli ideali della contestazione sessantottina a posizioni di prestigio negli
anni 80: Sam è un attore, Karen una borghese benestante. Non a caso il loro
rapporto sessuale soddisferà una necessità superficiale e istantanea, e poi
amici come prima.
Michael, non riuscendo a trovare una posizione di rilievo,
sfoga nel lavoro di giornalista il cinismo accumulato ed è un personaggio
perfettamente a suo agio nel nuovo decennio. Meg è una rampante donna in
carriera e ora si affida all’amica Sarah che gli presta il marito, per un
rapporto sessuale che somiglia ad una inseminazione programmata. Il rapporto
con il sesso di Sarah e Harold sembra così riproporre temi cari alle comunità
degli hippy (l’amore libero) ma, se il precedente e clandestino tradimento della
donna con Alex era stato vissuto comprensibilmente male dai due, la mattina
dopo la licenza concessa al marito per ingravidare l’amica, Sarah osserva ad
Harold, con una punta di borghese gelosia, che non dovrebbe essere poi così
allegro.
Il tentativo della coppia è quindi di barcamenarsi nella nuova realtà e a Nick, che invece sembra non riuscire ad integrarsi nella nuova società (ma gira su una Porsche),
Harold chiede esplicitamente di non creare problemi che possano inficiare la
sua borghese tranquillità. L’unico davvero a disagio appare quindi proprio
Nick, che si consola con la droga e si trova in contrasto con Sam, che è il più
arrivato del lotto: ma è una disputa senza nerbo, perché in realtà tutti quanti
i personaggi, e non solo loro, lamentano una evidente carenza di personalità.
Il dubbio che rimane è se la cosa sia un problema generazionale dei personaggi
o magari, più prosaicamente, del loro autore, visto che il regista dà
l’impressione di essere più ambizioso delle sue reali potenzialità.
Ma
probabilmente tutte due le cose.
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