221_IL POSTO . Italia 1961; Regia di Ermanno Olmi.
La forza universale di un film come Il posto è probabilmente il suo aspetto più interessante. Certo,
nella seconda opera di Ermanno Olmi si può leggere un’analisi della società del
tempo, resa manifesta dal costante spaesamento del giovane protagonista Domenico
(la cui storia ha qualche punto in contatto con quella dello stesso Olmi): il
ragazzo, provenendo dalla provincia lombarda, si deve adattare alla vita nella
metropoli milanese e, nel suo smarrimento, si possono intendere le difficoltà
di un intero paese. Il passaggio dalla campagna alla città comporta uno
stravolgimento nelle abitudini del ragazzo che, in effetti, per
tutto il film rimane con l’aria frastornata di chi fatica ad orientarsi. Insomma,
la figura del protagonista può valere quella di una generazione e dell’intera
Italia in quel momento storico, quando in moltissimi, nel nostro paese, si
trovarono nelle medesime condizioni di Domenico; come appunto testimonia anche la
vita dello stesso regista che, in gioventù, dalla provincia bergamasca trovò
impiego all’Edison-Volta, un’azienda di Milano. Certamente si tratta di valori
che il film porta con sé ma che forse sono secondari alla più importante
ricchezza che possiede Il posto:
l’universalità del linguaggio. L’impressione è che la storia raccontata
dal regista lombardo possa essere intesa e condivisa ad ogni latitudine: è
questo il vero punto di forza del lungometraggio. Ed è clamoroso che una
traccia di questo la possiamo trovare proprio in certe espressione tipicamente
dialettali di alcuni personaggi del film: porcu
sciampìn, galivell, sono termini
che difficilmente si possono ascoltare anche in un testo in dialetto lombardo.
Ma nel film di Olmi ci sono perché il regista opera in modo diverso rispetto a
quanto siamo abituati al cinema: Il posto
è uno spaccato autentico, un vero e proprio pezzo della vita di tutti i
giorni di un ragazzo lombardo che cerca di essere assunto in una ditta
milanese. Non è una storia, è quella
storia. Non è un immagine simbolica, ma esattamente quello che successe, uno
sguardo lucido e attento, coinvolgente, realistico, onesto e coerente. Un po’
come l’immagine di Piazza San Babila sventrata per i lavori della metropolitana
che si vede ad un certo punto: un’istantanea che permette di cogliere la complessità
dell’operazione a colpo d’occhio, una scena che permea la pellicola. Ecco, il
film di Olmi non è un racconto come siamo abituati, è proprio la vita di
Domenico: un ragazzo normale che, ad esempio, litigando col fratello sembra
mostrare un egoismo che poi non gli è assolutamente proprio, come dimostrerà
nella scena del pesciolino o della bottiglia di vino al capodanno. In un
normale film potrebbero quasi sembrare incongruenze nella caratterizzazione del
personaggio.
E poi la vicenda sentimentale con Magalì, solo abbozzata e rimasta
incompiuta, sospesa, oppure la citata desolante festa di capodanno: veri
brandelli di vita reale che Olmi è in grado di riprendere con la sua macchina
da presa in modo realmente convincente. E’ forse infatti la tecnica, la grande
esperienza di documentarista accumulata negli anni precedenti, che permette all’autore
di prendere la vita quotidiana e filmarla con naturalezza, muovendo la macchina
da presa con semplice armonia, senza trucchi o artifici, ma con estremo rigore
realistico.
Ed è questa grande capacità di Olmi che rende Il posto un film universale.
Loredana Detto
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