232_MILANO TREMA: LA POLIZIA VUOLE GIUSTIZIA . Italia,1973; Regia di Sergio Martino.
Milano trema: la
polizia vuole giustizia di Sergio Martino gioca subito, in apertura, le sue
carte: è accettabile che un funzionario di polizia (il commissario Caneparo
interpretato da Luc Merenda) decida arbitrariamente di far fuori due criminali?
Certo, i due sono gente della peggior risma: già condannati, provano l’evasione
trucidando i carabinieri che li scortavano lungo il trasferimento ma, e qui sta
l’assoluta aggravante, eliminando senza pietà chiunque gli si pari d’innanzi,
compreso una bambina. Caneparo è convinto di essere nel giusto ma già nella
storia c’è chi cerca di farlo ragionare, ad esempio il commissario Del Buono
(Chris Avram), un poliziotto ligio alle regole ma molto scrupoloso, che sta
conducendo un’indagine approfondita nella quale si evince l’esistenza di
un’organizzazione eversiva che utilizza il crimine per creare il caos. Ma Del
Buono viene assassinato, come a rafforzare l’opinione di Caneparo che non sia
il tempo di lavorare in modo troppo pulito; la contemporanea sospensione dal
servizio, in seguito all’uccisione dei due fuggiaschi, mette il commissario
nella condizione di agire a mano libera. E Caneparo si scatena: si infiltra
nella malavita, si fa arruolare come autista dalla banda del Padulo (il Dottor Salussoglia,
interpretato da Richard Conte), partecipa ad una rapina finita in tragedia ma
conduce poi i banditi direttamente in Questura. Successivamente prova ad
incastrare il Padulo mediante la
testimonianza dei banditi ma, ovviamente, non è cosa così semplice: tutti
questi passaggi sono narrativamente eccessivi e anche il comportamento di
Caneparo è difficile da accettare, anche in un’opera di finzione di genere.
Eppure la storia funziona,
Martino ha voglia di raccontarla, Merenda sembra particolarmente ispirato e
anche gli altri interpreti reggono il gioco, da Richard Conte a Silvano
Tranquilli (il vicecommissario Viviani), da Carlo Alighiero (il questore
Nicastro) a Martine Brochard (Maria Ex). Milano trema: la polizia vuole giustizia è
un poliziesco, anzi si può ben definire poliziottesco
a patto di non considerarlo come un termine diminutivo o dispregiativo: i toni
eccessivi ne rimarcano l’appartenenza al filone del poliziesco all’italiana, ma nel complesso è un lavoro di assoluto
rispetto.
Il riferimento al titolo può essere il film di Damiano Damiani Confessioni di un Commissario ad un
Procuratore della Repubblica: in quel caso l’allontanamento dal solito
titolo ad effetto (cinematografico) serviva per ancorarsi ad un approccio più
d’inchiesta giornalistica, e quindi quello di Damiani poteva sembrare l'approfondimento di un quotidiano, mentre Martino sfrutta lo stesso percorso, ma sceglie come
obiettivo lo strillo pubblicitario dei giornali della notte. Una onesta dichiarazione
d’intenti, quindi.
In merito ai riferimenti, nel lungometraggio c’è anche un
rimando ad un altro genere in voga nello stivale negli anni settanta, ovvero il
thriller: quando Padulo viene
catturato dall’organizzazione di cui fa parte, avendo commesso troppi errori
che mettono a rischio il piano eversivo, per un istante vediamo l’immagine di
chi lo interroga, ma è solo un attimo, qualche fotogramma. Quello di mostrare
solo per pochissimo un dettaglio cruciale per lo scioglimento dell'intrigo
giallo è infatti uno stratagemma tipico del thriller all’italiana e qui
Martino sembra ricorrervi più come omaggio che per reale necessità narrativa.
Prettamente negli stilemi del genere sono invece gli inseguimenti in macchina:
si susseguono una Citroen DS, una spaziale Iso Rivolta Grifo, una BMW 1800, una
Fiat 124 e molte altre, tra cui, ovviamente, le immancabili Alfa Romeo Giulia
della polizia. In ogni caso, alla fin fine, anche Caneparo si rende conto che
non è facendosi giustizia da sé che si può raddrizzare la situazione e la sua
ammissione è certamente la risposta del regista al problema posto nell’incipit
del suo film.
Rimane, però, lo sconsolante quadro dell’allora situazione
complessiva italiana: da una parte la contestazione generalizzata cavalcante le
idee sessantottine e dall’altra la presenza di organizzazioni eversive di segno
politico opposto; presupposti per troppo tempo liquidati come rozzi pretesti
per produrre film di genere senza apparenti pretese. In realtà, questi film,
tra cui certamente anche Milano trema: la
polizia vuole giustizia, fornirono un’analisi più attendibile di quanto si potesse credere sulla nostra penisola.
Quindi, a dispetto della considerazione che in genere gli si concede, non furono solo
prodotti di cassetta.
Nessun commento:
Posta un commento