1019_LA' DOVE SCENDE IL FIUME (Bend of the River). Stati Uniti, 1952; Regia di Anthony Mann.
Sarà abbastanza scontato ma l’iniziale punto cruciale del capolavoro di Anthony Mann Là dove scende il fiume è in un botta e risposta tra Geremia (Jay G. Flippen), capo di una carovana di coloni, e la sua guida Glyn McLyntock (uno stratosferico James Stewart). L’ultimo che si è aggiunto al convoglio, Cole (Arthur Kennedy, sottile come suo solito) non aveva convinto affatto il vecchio pioniere e, a quanto pare, ora saltava fuori che l’ultimo venuto era uno dei terribili predoni dei tempi della guerra. Uno dei banditi della peggior risma che, durante la guerra civile americana, misero a ferro e fuoco il Kansas. “Quando una mela è marcia, bisogna buttarla via o fa marcire tutto il cesto”, sentenzia Geremia, manifestando la speranza che Cole lasci la carovana. La risposta di Glyn è quasi sottovoce: “c’è differenza tra mele e uomini”. I motivi di questo suo pudore, nel replicare in modo peraltro tanto saggio, sono almeno due: innanzitutto perché durante e dopo la Guerra Civile lo stesso McLintock era stato un predone, e di quelli tosti, di quelli che venivano dal Missouri. Ma, evidentemente, questa cosa l’aveva tenuta nascosta, ai coloni, quando si era offerto di guidarli verso ovest. E poi, c’era anche un motivo un po’ più meschino, sebbene non è che quello principale fosse nobile, visto che si trattava di continuare ad omettere delle informazioni non del tutto superflue, vale a dire la sua reputazione non certo lusinghiera. In ogni caso, la presenza di Cole nella carovana, che tutto sommato con la sua risposta Glyn difendeva, gli scombinava i piani con Laura (Julie Adams, sempre fresca e bellissima), la figlia maggiore di Geremia. Era evidente che la guida ci stava facendo un pensierino; altrettanto evidente che Cole, appena arrivato, lo aveva già bruciato, facendosi preferire agli occhi della giovane per via di una spiccata disinvoltura.
Come visto, non si tratta solo del dialogo, ad essere fondamentale, ma tutta quanto la costruzione che c’è dietro: nessuno dei personaggi citati, infatti – che sono grosso modo quelli principali nella storia – è esente da errori. Geremia coi suoi pregiudizi, Glyn con la sua omertà che sa di bugia, Cole che non rinnega la sua natura, visto che ha già freddato un tizio al tavolo da poker – non a caso quello che l’aveva riconosciuto – e Laura con il suo essere attratta da una persona tanto poco affidabile. E, quindi, l’errore concettuale più grosso, se vogliamo, è già nelle parole di Geremia: qui sono tutte le mele del cesto ad essere marce, chi più chi meno, e non solo una.
Il proseguo della storia conferma questa teoria, visto che tutti i personaggi sbagliano in continuazione: Geremia con la sua sprovveduta ingenuità mette a repentaglio la vita dei coloni, Laura si lascia sedurre dalla vita di Portland e da Cole, Glyn fa compiere un lungo giro alla carovana per non passare sui monti ma quando vi saranno costretti la pista non si rivelerà poi così impossibile. Da un certo punto di vista è clamoroso che abbia avuto più occhio, in questo senso, Geremia rispetto alla stessa guida. A questi errori tutto sommato lievi, si sommano quelli degli altri personaggi, da Trey (Rock Hudson), un gambler in principio discutibile nella posizione tenuta, il commerciante Hendricks (Howard Petrie) che si rimangia la parola e cerca di vendere la merce già pagata dai coloni ai minatori che han trovato l’oro, gli stessi minatori accecati dalla febbre dell’oro e anche i braccianti ingaggiati da Glyn che progettano un ammutinamento per impossessarsi delle agognate provviste. C’è anche Cole, naturalmente, il cui comportamento è costantemente ambiguo ma prende una china decisamente negativa quando vede la possibilità di arricchirsi vendendo le suddette provviste dei coloni agli affamati minatori. Ma, nel suo caso, va piuttosto segnalato che, proprio quando il suo comportamento vira in chiave definitivamente negativa, impedisce al Rosso (Jack Lambert), il capoccia dei braccianti assoldati, di uccidere Glyn.
E’ quindi evidente che più che una mela marcia, nel cesto in questione i frutti abbiano tutti qualche segno, piccolo o grande che sia. E sbagli o scelte errate contraddistinguono perfino quei personaggi inseriti per colorare di umanità varia il contesto, come il capitano Mello (Chubby Johnson), che impreca sempre contro la decisione di aver lasciato il Mississippi. Adamo (Stepin Fetchit), lo stereotipato marinaio di colore o Faccetta Buffa Marjie (Lori Nelson), sorella minore di Laura, sono descritti alla stregua di macchiette e servono invece per stemperare i toni mantenendo la vicenda divertente oltre che appassionante. Sul primo c’è da fare una breve riflessione: tanto il suo essere descritto come si usava fare ai tempi con gli uomini di colore, quanto la presenza dei temibili indiani Shoshoni, oggi farebbe storcere il naso (come minimo). In realtà non c’è malizia nello sguardo su Adamo, un uomo certamente semplice ma tra i migliori della storia; quanto agli indiani, non sono analizzati in chiave morale, sono semplicemente un elemento del racconto.
Effettivamente l’ostilità di alcune tribù rappresentava un pericolo mortale per i coloni e così li utilizza il testo che non va a sindacare su chi abbia ragione o torto nel merito generale della questione indiana. C’è piuttosto da sottolineare il pezzo di bravura di Mann, in regia, nella scena in cui Glyn e Cole, avanzando di soppiatto, riescono a sbaragliare i pellerossa. Per queste scene il regista ricorre ad atmosfere e situazioni, come la comparsa sullo schermo della minaccia non notata e proveniente dal punto di vista della macchina da presa, prese in prestito dal genere thriller se non direttamente dall’horror. Del resto tutto quanto in Là dove scende il fiume è eccellente: il trio Anthony Mann (regia), Borden Chase (sceneggiatura) e James Stewart (interprete) vede e rilancia ulteriormente la qualità della precedente collaborazione, il bellissimo Winchester ’73 (1950). Sempre sul piano tecnico, ottima la classica musica western di Hans J. Selter mentre è impressionante il risultato dell’incontro tra Mann e il Technicolor: i paesaggi dell’Oregon, dove il film fu girato, divengono uno dei personaggi del film tanto è importante la loro presenza scenica. E’ infatti sul Monte Hodd che avviene quella purificazione resasi necessaria, a livello morale, visto che scartare la mela marcia non avrebbe senso, essendo tutte quante le mele in qualche misura guaste. Il Rosso e i braccianti colgono al volo la difficoltà del convoglio sulle asperità della montagna per mettere in atto la loro prevista ribellione. Cole, finalmente, tradisce la carovana mentre, di contro, Trey si ravvede. Da parte sua, Glyn, abbandonato solo, a piedi, sulla vetta innevata, è costretto a tornare il terribile ammazzasette che era ai tempi delle scorrerie nel Kansas: in questa fase egli diviene una sorta di dio vendicatore, la personificazione della violenza stessa, necessaria ad estirpare il male dalla comunità.
La sua minaccia, il suo incedere inesorabile, e nascosto anche alla macchina da presa, la resa psicologica di Cole, che perde ogni forma di sicurezza, alimentano quest’impressione. Quella che va in scena sul Monte Hodd è la catarsi dell’eroe che deve eliminare la sua nemesi e, con essa, la sua parte peggiore, violenta. Glyn e Cole infatti, sono due figure che si specchiano, uguali e contrarie, avendo elementi in comune e altri rovesciati, proprio come l’immagine e il suo riflesso (emblematica, in tal senso, la scena nel saloon con i due uomini in guardia pistole alla mano). L’uno è alto e dritto, quasi allampanato, e l’altro e più basso e curvo, sempre sul punto di scattare; il primo sembra aver preso una direzione (è addirittura una guida), il secondo non lascia mai intendere cosa può fare. Di contro, hanno alcune cose in comune: l’antica militanza nei predoni confederati che, venendo dal Missouri, infestarono il Kansas, la pratica con la pistola e, soprattutto l’esser scampati alla forca per un soffio.
Questo aspetto lega ulteriormente le due figure, visto che Glyn salva Cole dall’impiccagione all’ultimo secondo e lo introduce nella storia; Cole ricambierà il favore in una serie di salvataggi della vita che avviluppano i due personaggi vicendevolmente. L’amare la stessa ragazza è un ulteriore elemento che li accomuna ma li mette allo stesso tempo in contrasto. Lo scontro finale avviene nelle acque del fiume, quasi a mondare la figura di Glyn con il male che se ne va insieme al corpo di Cole. Il segno della forca sul collo dell’eroe si rivelerà solo allora quando l’uomo verrà salvato dalla forza della corrente del fiume dal lazo di Trey. Una corda al collo aveva portato nella storia Cole, rinverdendo il male presente in Glyn, e una corda al collo ci riporta l’eroe purificato. E, a domanda, Glyn stavolta non mentirà, ne ometterà di dire – che poi è la stessa cosa – l’origine del segno, legata ai suoi trascorsi come bandito. Ma ormai persino Geremia si è reso conto che tra mele e uomini c’è una sostanziale differenza: gli uomini possono aiutarsi l’un l’altro e salvare così la propria anima. Glyn lo dice apertamente: quando un uomo, pur violento che sia, si innamora di una donna, può cambiare. E questo è quello che gli capita, e deve ringraziare naturalmente Laura. Ma tutti i personaggi del film riescono nei loro miglioramenti grazie all’aiuto del prossimo: la stessa Laura, che ritrova Glyn ad aspettarla dopo la sua pericolosa infatuazione di Cole, o Geremia che salva i suoi coloni perché Glyn non l’abbandona, oppure Treys che si rende conto di non essere come Cole quando qualcuno gli dimostra che esiste un'altra strada. Persino il capitano Mello ha bisogno di Adamo per tornare sul Mississippi; nessuno si salva da solo. Del resto il western consacra la nascita di una nazione e non dell’individualismo. E chi meglio di Anthony Mann poteva farlo? L’arte di Anthony Mann, l’epica cinematografica.
Julie Adams
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