1020_SANGUE ALL'ALBA (Whistle Stop). Stati Uniti, 1946; Regia di Léonide Moguy.
Noir disomogeneo, Sangue all’alba ha alcuni aspetti per cui vale la pena essere ricordato anche se, come opera in sé e per sé può giusto ambire alla sufficienza. Innanzitutto va detto che nel film fa la sua apparizione, proprio come una dea in mezzo a comuni mortali, Ava Gardner, allora ventitreenne e nel pieno del suo splendore. La diva era in rampa di lancio ma non aveva ancora avuto un ruolo di primo piano in una pellicola; Sangue all’alba fu quindi la sua prima parte di rilievo e, pur non essendo un capolavoro, mise comunque pienamente in luce il fascino dell’attrice. In quello stesso anno ebbe assai più fortuna artistica, consacrandosi definitivamente come star, grazie allo splendido I Gangsters di Robert Siodmak. Ecco, se dovessimo usare questo capolavoro come termine di paragone, oltre alla regia, laddove il pur professionale Léonide Moguy non poteva certo competere con Siodmak, quello che manca più di ogni altra cosa a Sangue all’alba è un attore in grado di reggere la scena con la presenza della Gardner: un Burt Lancaster, insomma. Ma è un paragone onestamente ingiusto per Sangue all’alba, che potrebbe anche legittimamente ambire a qualcosa di più modesto de I Gangsters. Ma è tanto per dire quello che pare subito evidente manchi al film: un protagonista maschile con cui il ruolo della Gardner possa confrontarsi. La distanza tra la giovane attrice e il film in cui si muove è evidente sin da subito, e quando Mary, il personaggio appunto interpretato da Ava, ritorna al paesino vicino a Chicago, Molly (Florence Bates) la paragona esplicitamente ad una regina. La ragazza, stufa della bella vita che faceva in città, tra pellicce e regali costosi, è tornata al suddetto paese, Ashburn, perché ancora innamorata della sua vecchia fiamma, Kenny (Georg Raft). Questi, un perdigiorno della peggior risma, è il figlio di Molly che ancora lo accudisce e giustifica nonostante non combini sostanzialmente mai nulla di buono. Raft, che negli anni 30 aveva furoreggiato nei ruoli del gangster duro, non riesce minimamente ad essere credibile nella parte. Al suo confronto, la Gardner è di un altro pianeta.
L’attrice brilla di una sua luce propria – e non tanto quella di interprete, almeno in quest’occasione – mentre lo stile legnoso di Raft sbiadisce al cospetto di una evidente classe intrinseca superiore della donna. Tra tutti, l’unico a cavarsela nella specifica arte attoriale è Victor McLaglen nei panni di Gitlo, barista presso il Flamingo. Il locale è un night club di proprietà di Lentz (Tom Conway), facoltoso uomo d’affari che mette subito gli occhi su Mary mettendo velocemente in crisi l’anonimo Kenny che, oltrettutto, non ha mai un becco d’un quattrino, elemento necessario per corteggiare la ragazza abituata alla bella vita di Chicago. La disputa per la giovane, per altro, è abbastanza stucchevole in quanto sia Mary che Kenny si comportano come due adolescenti ed è dura stare dietro ai loro bisticci. Tuttavia, anche in questo sterile battibeccare, assai meglio la Gardner che è bella, giovane e fresca, e, tutto sommato, può permettersi certi capricci. Da parte di un personaggio di Raft appaiono al contrario davvero incomprensibili. Nella trama, in verità inutilmente intricata, ciò che interessante è il lavoro di Gitlo, il barista a cui McLaglen dedica un’interpretazione sudata e viscida ma a suo modo anche sincera. Il barman, in un’eccellente scena durante una partita a carte, propone un piano all’amico Kenny per rapinare ed eliminare Lentz. L’untuosa mimica facciale di McLaglen è – presenza della Gardner a parte – la cosa migliore del film. Dopo una serie di peripezie, con Lentz che sventa il complotto e prova in seguito a vendicarsi, Gitlo pagherà la sua scorrettezza con la vita, risolvendo nel contempo anche la questione con il suo capo. Kenny ha così campo libero con Mary e il lieto fine di maniera è garantito. Curiosità: il titolo originale, Whistle Stop, fa riferimento al fatto che Ashburn sia un centro tanto poco rilevante che il treno si ferma solo se richiamato dall’apposito fischio, diversamente tira dritto. La cosa ha un suo rimando nel piano congeniato da Gitlo, anche se poi non se ne farà niente. E’ un po’ quello che accade anche con Sangue all’alba: si attende un segnale, qualcosa per cogliere il momento. Invano.
Ava Gardner
Jane Nigh
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