1013_IL MURO DI VETRO (The Glass Wall). Stati Uniti, 1953; Regia di Maxwell Shane.
Seconda esperienza americana di Vittorio Gassman, Il muro di vetro è un film che, pur con i suoi limiti, riesce comunque a funzionare. Innanzitutto il messaggio del film è lodevole: vi si sottolinea in prima istanza il dramma dei profughi dalla guerra, in seconda le difficoltà legate a quelle banali formalità burocratiche che spesso intralciano ulteriormente la vita di questi poveretti. Se questi due elementi sono subito presenti nell’incipit del lungometraggio, successivamente è ribadito come gli immigrati, una volta raggiunto il paese d’adozione, sono spesso vittima di razzismo, a volte anche solo di tipo opportunistico. Una discriminazione, cioè, non legata a presunti concetti ideologici ma al semplice fastidio che la presenza di persone in difficoltà di varia natura (come possono esserlo i profughi) creino ai residenti. Nella storia raccontata, Peter Kaban (Gassman) è un profugo ebreo della Seconda Guerra Mondiale, ed è l’unico di un intero piroscafo che si vede respinto dall’Ufficio Immigrazione americano di New York non avendo le carte in regola per chiedere asilo. Peter non ci sta, ad essere rispedito in Europa, e sbarca abusivamente nella Grande Mela. Dopo una serie di peripezie, Peter viene aiutato dalla bella Tanya (Robin Raymond), una ballerina di burlesque, ungherese come lui. Ma quando il fratello della giovane se lo trova in casa, vuole cacciare l’intruso non volendo avere noie a causa di gente straniera: sarà un sonoro intervento (leggi, schiaffone) della madre a rimetterlo a posto, ricordando al figlio come suo padre fu, al tempo, straniero tanto quanto Peter. Tanya chiude la questione con un’altra sberla all’ottuso fratello, prima che questi possa replicare.
Se la semisconosciuta Raymond meritava una citazione, il film poggia la sua vera ragion d’interesse sulla presenza di un’altra attrice: la diva per eccellenza dei noir Gloria Grahame. E, in fin dei conti, Gloria con Maggie interpreta una delle sue tipiche dark lady. Maxwell Shane, il regista, non sembra però avere la capacità di gestire personaggi del calibro delle femmine fatali del cinema noir e la povera Gloria deve arrangiarsi rubando cappotti (ad una cicciona interpretata dalla nota caratterista Kathleen Freeman) e persino gli spicci ai ragazzini. Notevole, e assolutamente estranea ad un film tanto impegnato politicamente, la scena in cui defrauda due ragazzetti di strada, affrontandoli a muso duro. Narrativamente, l’idea di rendere in questo modo il lato oscuro (dark) di Maggie è una scelta debole; del resto nel complesso Shane non sembra un autore di polso. Gloria fa di necessità virtù e riesce a sostenere, almeno fin dove possibile, il ruolo, con un risultato comunque apprezzabile. Del resto l’attrice di fascino ne aveva da vendere. Tuttavia, in un simile contesto, viene a mancare la vera matrice dell’ambiguità tipica delle dark lady e, di conseguenza, qui non occorre attendere il momento cruciale per comprendere che, dietro la scorza dura, Maggie nasconda un cuore d’oro. La regia, soprattutto a lungo andare, scivola in un lavoro di routine, che toglie un po’ di mordente alla storia. La verve attoriale di Gassman, fuori registro rispetto agli altri attori del cast, prova anch’essa a compensare un po’, risultando nel complesso funzionale. Come profugo proveniente dai campi di concentramento, piombato di colpo nella New York degli anni cinquanta, l’essere completamente un pesce fuor d’acqua è reso in modo efficace dall’attore italiano sin già dalle sue caratteristiche d’interprete. Tra le curiosità, va ricordato che Il muro di vetro del titolo del film è il palazzo sede delle Nazioni Unite, inaugurato pochissimi anni prima, in cui si svolgono le scene finali. Ma il film merita soprattutto per la presenza di Gloria Grahame: il ruolo non sarà indimenticabile ma l'attrice lo è di sicuro.
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