1017_VERTIGINE (Laura). Stati Uniti, 1944; Regia di Otto Preminger.
Risultato di una lavorazione piuttosto travagliata, Vertigine – o forse sarebbe meglio chiamarlo Laura, come da titolo originale – è un film che secondo alcuni risente di queste traversie produttive ma che, per la sua classicità, può essere preso piuttosto come modello di riferimento per il genere noir. Tratto da un romanzo di Vera Casplary, Vertigine era già stato affidato da Darryl F. Zanuck, boss della Fox, al regista Rouben Maumolian che, peraltro, pare non riuscisse ad ingranare col soggetto. Otto Preminger, che se voleva era un ostinato mastino, era sotto contratto con lo studio più che altro nel ruolo di produttore oltre a non essere visto benevolmente da Zanuck ma, dopo quasi un mese dall’inizio delle riprese, riuscì ad ottenere l’incarico di regista di quello che diventerà un gioiello del cinema in assoluto e del noir in particolare. Il noir fu il genere che incarnò le inquietudini sociali che, grosso modo, andarono dalle crisi economiche di fine anni 20 fino al termine della Seconda Guerra Mondiale. Le angosce di quel periodo, già visivamente concretizzate dall’espressionismo tedesco, vennero rielaborate ad Hollywood (spesso da registi provenienti dal Centro Europa, come appunto Preminger) interpretandole in chiave più moderna. Il cliché più tipico del noir prevede un protagonista maschile che incontra una donna, una dark lady, che lo seduce e lo conduce alla perdizione. In questi film, la figura femminile, che nella società americana era già emergente ed emancipata, aveva la funzione di cristallizzare le insicurezze e le paure che affliggevano l’individuo, derivanti dal futuro incerto e dal confronto con l’altro diverso e insidioso.
Queste tensioni erano alimentate, a livello sociale, dalla crisi economica e dalla guerra ma, in questo contesto, la donna che decideva di cambiare ruolo e non interpretare più la figura passiva e confortevole in seno alla famiglia, era un ulteriore elemento di perturbazione. Per questo motivo il noir fu un fenomeno essenzialmente americano: solo negli Stati Uniti le donne avevano raggiunto una simile condizione sociale da rappresentare, a loro modo, una minaccia. Con gli anni Cinquanta, il boom economico rasserenerà gli animi e le donne americane, che avevano dimostrato nelle fabbriche il loro valore durante il periodo bellico (con gli uomini impegnati al fronte), furono premiate, cinematograficamente parlando, da ruoli di protagoniste e influenze nei generi di tendenza, che trovarono spazio nella splendida stagione del melò hollywoodiano.
Nei noir, infatti, seppure la femme fatale era spesso la figura centrale dell’intrigo, non ne era la protagonista; anzi, a dirla tutta veniva presentata come villain, come cattiva, anche se nel corso del racconto spesso rivelava il suo animo buono (esemplari, in questo senso, le parole di Jessica Rabbit ne Chi ha incastrato Roger Rabbit: “non sono cattiva; è che mi disegnano così”). I noir incarnavano quindi, tra le altre cose, l’incapacità dell’uomo nel gestire la figura femminile, divenuta assoluta padrona del desiderio ma anche intraprendente in senso più generale tanto da confrontarsi alla pari con quella maschile in più ambiti, primo fra tutti quello professionale. Come detto, Vertigine è un caposaldo del genere e, in effetti, il canovaccio tipico dei noir è rispettato nello sviluppo della storia tra l’eccentrico Waldo Lydecker (Clifton Webb) e la stupenda Laura Hunt (Gene Tierney), con lo scrittore che arriverà a dannare la sua anima per le pene d’amore inflittegli dalla ragazza. Ma Preminger è un autore sopraffino e il suo lavoro non è mai uno svolgimento di routine: Vertigine è molto di più rispetto ad un classico noir, è praticamente la sublimazione del genere stesso e il suo passaggio oltre, a situazioni che diverranno tipiche nei melodrammi del decennio successivo. Accanto ai suoi temi personali, che svilupperà ulteriormente nella carriera – tutti manifestati in chiave ossessiva (forse la sua vera cifra autoriale), ad esempio il tempo (i due pendoli) o la bellezza femminile (Gene Tierney, perfetta per interpretarne l’espressione assoluta) – Preminger realizza la quintessenza del noir proponendone già la soluzione.
Laura, è la femme fatale della storia ma è anche l’indiscutibile protagonista: del resto, nei titoli o sui poster il nome di Gene Tierney è il primo della lista e questa cosa non era affatto scontata – anche se va detto che l’attrice a quei tempi era al vertice della notorietà. La protagonista di Vertigine ha già iscritte nel nome alcune sue caratteristiche: Laura riecheggia la musa del Petrarca e la ragazza ne diverrà quella del citato Waldo, una specie di poeta del XX secolo; Hunt (caccia, cacciare), al contrario, riflette il suo versante attivo che nel racconto si evidenzia nella brillante carriera professionale indipendente. Ma l’analisi di Preminger, come suo solito, è meticolosa ed esplora la personalità della giovane dandone una figura tridimensionale: la sponda ingenua, che sottolinea l’indole positiva della ragazza oltre che la sua femminilità, si manifesta nella relazione con Shelby Carpenter (Vincent Price). Infine, una versione più equilibrata, ma non per questo passiva o remissiva, è quella che si interfaccia con il tenente di polizia Mark McPherson (Dana Andrew). Non c’è, quindi, solo la storia tra l’uomo e la femme fatale ma nemmeno un triangolo melodrammatico, per la verità, perché la donna del racconto tiene splendidamente il centro di un ring composto da ben tre uomini – di cui peraltro nessuno regge il confronto. In quest’ottica Preminger si spinge assai più in là del noir, che come detto sanciva la crescita della figura femminile, e forse anche del melò, che poteva vederla al centro di una disputa (il tipico triangolo sentimentale), cosa non certo nuova, ma con un potere e un ruolo più significativo. In Laura, come si evince già dal titolo, tutto ruota intorno alla protagonista e sono gli uomini, semmai, ad essere relegati al ruolo di spalle. La presenza di Judith Anderson nella parte della zia Ann, enfatizza poi l’emancipazione della protagonista; la Anderson conferisce al suo personaggio quelle caratteristiche tipiche della tradizione accettando un ruolo subalterno, struggendosi vanamente per essere degnata da Shelby mentre Laura, pur se notevolmente più giovane, al massimo è attratta dallo scapestrato giovinastro solo in chiave materno protettiva.
Un ruolo non remissivo ma dominante, del resto gli promette anche un posto di lavoro: ne verrà ingannata, questo sì, ma ciò non ne scalfisce il fascino, semmai certifica la sua buona fede. Questo quadro che esalta la protagonista del racconto non tradisce però l’anima noir di Vertigine: perché in realtà la Laura che vediamo nel film è solo una raffigurazione della mente di uno degli uomini, a turno, della storia. Dapprima facciamo conoscenza con lei tramite i racconti e i flashback narrati da Waldo, di cui come detto la ragazza è diventata una vera e propria musa. L’uomo, un bizzarro e attempato snob, è un giornalista che tiene una rubrica serale alla televisione in cui racconta il mondo secondo il suo punto di vista, tra eccessi, provocazioni e stile aristocratico.
Normale che un uomo del popolo come Mark, il citato tenente di polizia, finisca per innamorarsi della semplice figura idealizzata della ragazza evocata tanto efficacemente dallo scrittore. La donna-musa è quindi il parto della mente di un uomo. Ovviamente, in qualità di noir, a Vertigine non manca di certo la trama gialla visto che c’è in ballo un omicidio e ad essere stata ammazzata è appunto la protagonista. E si tratta di un delitto che si consuma prima dell’inizio del lungometraggio. E già questa è una nota anomala a cui aggiungere il fatto che la star, la Tierney, fa la sua apparizione – in uno dei citati flashback – solo dopo un quarto d’ora di film. Ma tecnicamente non saranno le uniche anomalie di Vertigine che, in questo senso, rappresenta ancora una volta un perfetto esempio visto che una certa originalità del punto di vista narrativo è un’altra caratteristica peculiare di molti noir.
L’altra visione di Laura che emerge in modo rilevante dal film, quella di ragazza con la testa a posto, orgogliosa ma in grado di comprendere la realtà, è quella di cui si innamora definitivamente Mark. Una versione, quindi, più prosaica rispetto a quella poetica narrata da Waldo. Ma c’è un passaggio visivo, una zoomata sul volto del poliziotto addormentato e poi un nuovo allontanamento della macchina da presa, che lascia fortemente intendere che tutto quanto segua il momento in cui Mark si abbandoni sulla sedia dell’appartamento di Laura sia un sogno. E allora la Laura che il tenente scopre diversa dalla musa di Waldo altro non è che la sua personale interpretazione della ragazza: ancora una caratterizzazione frutto della mente di un uomo. E, volendo, la Laura che interagisce con Shelby è un mix tra le due, comunque niente di autonomo rispetto ai due punti di vista del racconto.
In questo senso, nel negare alla figura femminile una sua propria autonomia, Vertigine è quindi un noir puro, anche se struttura in modo più articolato la figura della sua lady o femme che dir si voglia, che non è solo dark e fatale ma anche intelligente, professionale, dubbiosa, eccetera, eccetera. Quello che manca, che ancora non viene concesso alla figura femminile, è la prospettiva del racconto: che, come detto, è condivisa da più soggetti ma senza che questo sia dichiarato o reso esplicito; e questo non è usuale, né al cinema e nemmeno in narrativa. Il film comincia, infatti, con una voce fuori campo che è quella di Waldo; successivamente al piccolo momento in cui Mark si addormenta e ci pare di entrare in un suo sogno, il punto di vista diviene quello del tenente. Questo permette, tra l’altro, a Preminger di barare, per così dire, sull’identità del colpevole – posto che la seconda parte del film sia attendibile e non una mera fase onirica.
Infatti viene naturale non sospettare di Waldo dopo aver ascoltato quelle sue parole in principio che, in modo subdolo, condizionano la nostra opinione. Ma, naturalmente, la trama gialla di Vertigine è l’ultimo degli elementi degni di nota e per primo ce lo dimostra chi dovrebbe scioglierla, il tenente, che si innamora appunto della vittima di un omicidio (!) piuttosto che cercare di capire chi l’ha ammazzata. Questo perché il fascino di Laura, un fascino di una donna nel suo insieme – e non solo delle sue armi seduttive tipiche del noir – è una forza capace di sconfiggere anche la morte. Preminger non si spinge a parlarci di amore, nel suo film: né Waldo né Shelby sono infatti in grado di amare. Da parte sua, Laura, è spesso sul punto di dire a Waldo che non lo ama e mai l’ha amato, ma per cortesia si trattiene; ammette invece di aver creduto di amare Shelby anche se, a posteriori, non se ne capacita. Tra Mark e Laura, infine, la storia sentimentale è solo all’inizio e il film si ferma con molta prudenza prima che prenda decisamente fuoco – sempre che non sia tutto un sogno, che è un’ambiguità che resta perennemente sospesa sul racconto. Quello che invece rimane per certo è la forza del desiderio per la nuova versione della donna, una donna bella e sensuale ma anche intelligente, capace, emancipata; e questa donna evoluta è in grado di farci perdere la testa, di farcela girare vorticosamente. In questo senso Vertigine è un titolo forse più azzeccato di Laura.
La donna, la vertigine della vita. Dal vocabolario secondo Otto Preminger.
Gene Tierney
Galleria di manifesti
Dunque gli americani, fra le altre cose, hanno fatto anche da apripista dell'emancipazione femminile 🙂
RispondiEliminaMolto belle le locandine, in alcune persino la "L" del nome ci tiene a farsi notare... 😁😁