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mercoledì 17 febbraio 2021

ESTER E IL RE

755_ESTER E IL RE (Esther and the King). Stati Uniti1962. Regia di Raoul Walsh e Mario Bava.

Pur se il genere peplum italiano aveva la sua autonomia, Ester e il re di Raoul Walsh e Mario Bava, mette inesorabilmente in mostra come l’influenza americana (e i suoi capitali) potesse incidere in modo qualitativamente rilevante. E dire che il film che vede protagonista Joan Collins nei panni di Ester non è nemmeno considerato un film epico-biblico di quelli particolarmente memorabili. Il che è spiegabile solo con la mancanza di un protagonista maschile di rango superiore a quel Richard Egan che interpreta, volendo in modo anche onesto, il ruolo di Re Assuero; ma è innegabile che non avesse il carisma di una star di Hollywood e questo, nel genere che più di ogni altro esalta la capacità di tenere il centro dello schermo dei suoi eroi, è un limite troppo grosso. Egan ha le fattezze del protagonista ideale di film epici ma manca infatti di quel fascino immediato necessario; e questo diventa un problema, negli equilibri del film. Perché la storia prevedeva che Ester, una semplice ragazza di origine ebraica, finisse per divenire regina di Persia e, nel suo essere umile ma determinata, riuscisse a tenere testa alla ricchezza e alla potenza del re, naturalmente facendo ricorso all’arma segreta per eccellenza di queste romantiche storie, l’amore. In effetti è quello che sostanzialmente avviene ma come detto c’è un inconveniente: la Collins aveva un carisma scenico che Egan, che sullo schermo ne è il re, non riesce a contrastare, togliendo così parte della tensione emotiva alla vicenda. 

Vicenda, e qui si nota l’influenza del cinema americano, che ha una sceneggiatura sorprendente per incastri e snodi narrativi notevoli (almeno fino all’ultimissimo passaggio). Certo, ci si allontana sia dalla realtà storica che dal presunto soggetto dell’opera, il biblico Il libro di Ester, ma l’ultimo scopo della produzione era quello di fare un resoconto attendibile dei fatti veri o della tradizione cristiana. Ciononostante, il lavoro di Giorgio Giovannini nella ricostruzione scenografica dell’antica Susa (Shushan), capitale del regno di Persia all’epoca degli avvenimenti, è pregevole e non privo di riferimenti quantomeno verosimili. Insomma, Ester e il re è, da questo punto di vista, una giusta miscela tra una vicenda romanzata e il fascino evocativo delle culture che hanno fatto la Storia, così come è anche un ottimo connubio tra la serietà professionale americana e l’inventiva degli autori italiani. Pur mantenendo riconoscibile una matrice hollywoodiana, nello sfarzo assai credibile degli interni, il film fu girato a Cinecittà e vede la partecipazione di molti addetti del belpaese, a partire da Mario Bava direttore della fotografia oltre che coregista. Con tutte queste buone premesse il film purtroppo poi non è questo capolavoro e nemmeno fu un crack al botteghino, sebbene fece buoni incassi. Il tentativo ardito di coniugare il sentimentalismo della favola alla Cenerentola (la ragazza di umili origini che diventa moglie del principe, in questo caso del re), con il tema sociale (Ester che rinuncia all’amore di Simone, nel film Rik Battaglia, per la salvezza del popolo ebraico) è sorretto dalle capacità della Collins ma non è ben bilanciato in sede di soggetto. 

Innanzitutto il sacrificio di Ester appare troppo comodo: in soldoni, per salvare la sua gente le viene proposto di divenirne regina. Joan si impegna ma non è che la cosa sembri poi così dura da accettare. Certo, c’è l’amore per il fidanzato storico che deve essere dimenticato in fretta ma guarda caso questo viene via via derubricato a semplice infatuazione di giovinetta; e a quel punto il sacrificio diventa tale solo di nome. Gli autori devono essersi resi conto che in questo modo era difficile incendiare il finale del film, laddove, con un maggior pathos, tutta quanta la storia avrebbe preso ben altro sapore. Ma i passaggi scelti per rimediare a questa situazione poco emozionante sul piano sentimentale, lasciano perplessi: dopo una serie di traversie ben imbastite della trama, Ester rifiuta la proposta di matrimonio del re, anche dopo che questi si è ravveduto e il motivo di tale diniego appare inspiegabile. 

Simone è morto, gli israeliti sono salvi, e lei ama, ricambiata, Assuero. Ma non accetta di sposarlo. Poi, quando lo vede tornare dopo la disfatta in guerra contro Alessandro Magno, cambia opinione; un passaggio che ribadisce l’importanza dell’amore sulla forza, d’accordo, ma che narrativamente regge poco e non riesce a scaldare più di tanto lo spettatore. Joan Collins, a ventisette anni, è al suo apice e regna da par suo sullo schermo; in un film che non rinuncia ai cliché più piccanti del genere, e c’è carne esibita sia maschile che femminile, l’attrice inglese non espone praticamente mai le sue grazie. La cosa è indubbiamente legata alla matrice biblica del personaggio ma, volendo, ce ne sarebbero state le occasioni; invece, come notato anche dall’eunuco di corte, la ragazza sceglie un profilo casto. Ma è pur sempre la Collins e sullo schermo vale comunque da sola il biglietto.        


Joan Collins





1 commento:

  1. sì infatti, si può trasmettere tanto fascino senza doversi necessariamente scoprire ;)

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