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lunedì 28 ottobre 2019

PERCHE' SI UCCIDE UN MAGISTRATO

433_PERCHE' SI UCCIDE UN MAGISTRATO ; Italia 1974Regia di Damiano Damiani.

Dopo qualche anno di pausa, il regista Damiano Damiani ritorna sui temi dell’impegno civile con il film Perché si uccide un magistrato, titolo a pensarci bene piuttosto scioccante. Ma ancora più spiazzante è la traccia metalinguistica presente nell’opera, dove il regista Giacomo Solaris (Franco Nero, puntuale) mette in scena un film in cui un magistrato corrotto paga con la vita la propria condotta. Nella narrazione, il film nel film è una palese opera di denuncia, una facilmente leggibile metafora dell’operato del giudice istruttore palermitano Alberto Traini (Marco Guglielmi). Soltanto che l’opera di fantasia (alquanto ispirata alla realtà, come si è detto) si scopre essere fin troppo profetica quando l’ambiguo giudice viene ammazzato per davvero. Qui subentrano i sensi di colpa di Solaris che, nel cercare di spiegare la sua posizione puramente dialettica, sembra invaghirsi della bella vedova del magistrato, Antonia (una Francoise Fabian molto brava, algida ma conturbante al tempo stesso). Tra il giornalista/regista che cerca di dimostrare la sua estraneità alla piega che hanno preso gli eventi e il gioco di potere tra mafiosi, politici, colleghi di giornale, mentre la vedova prova a difendere l’onorabilità del marito, ci attende una svolta imprevedibile. Ma prima, non si può fare a meno di leggere, nella complessità dell’intreccio, una sorta di punto della situazione di Damiani sulla sua opera in materia di impegno civile. E’ dunque pericoloso trattare i delicati temi della società in quelle opere di finzione che fungano anche da denuncia? 

C’è il rischio che qualcuno prenda alla lettera quelle che dovrebbero essere unicamente delle provocazioni artistiche, visto che, per quanto vi possa essere un ruolo di denuncia sociale, il cinema rimane comunque arte e quindi puramente concettuale? Insomma, c’è il rischio che il cinema d’impegno sociale possa venire strumentalizzato? La risposta di Damiani è un si, ma lo è in modo imprevedibile. Perché se è vero che l’opera di Solaris funge da spunto per uccidere il giudice Traini, le motivazioni dietro questo delitto sono del tutto estranee ai problemi affrontati dal regista interpretato da Franco Nero nel suo provocatorio film. Nello specifico il movente è una banale questione di corna che vede coinvolti il giudice Traini, sua moglie Antonia e il dottor Valgardeni (Giorgio Cerioni). Quindi c’è strumentalizzazione, ma manca il nesso. E allora la riflessione finale sembra essere che si, ci sono rischi nel raccontare i problemi reali del paese, ma non sarà mai il cinema ad essere la scusante per chi vuole delinquere.
Almeno non il valido cinema di Damiani o di chi opera in buona fede. 






Françoise Fabian





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