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lunedì 18 febbraio 2019

TUTTO SU MIA MADRE

304_TUTTO SU MIA MADRE (Todo sobre mi madre). Spagna, Francia 1999;  Regia di Pedro Almodóvar.

Qualcuno ha efficacemente coniato il termine almodrama, per descrivere il cinema di Pedro Almodòvar. E’ una buona chiave di lettura, nel suo universo, l’autore spagnolo è un genio, tanto da avere un genere cinematografico tutto suo: in questo senso il suo è un cinema trans gender, ovvero tra i generi del cinema, melodramma, commedia, dramma, ma anche tra le arti, il cinema stesso, il teatro.
E’ quel ‘nel suo universo’  messo in mezzo alla frase che ne celebra la genialità, che stona effettivamente un po’. Ma è un commento doveroso, per chi, in quell’universo si trova alieno. Perché, in fondo, come lo stesso Almodòvar (forse) insegna, quello che si vuole è unicamente essere se stessi, anche andando a guardare un film, non solo nel dirigerlo.     
E allora,“una è più autentica tanto più assomiglia all’idea che ha sognato di se stessa”, sembra una frase illuminante. Che dire, Tutto suo mia madre, ma forse tutto il cinema di Pedro Almodòvar, almeno per chi lo guarda con un certo distacco, può essere riassunto già in queste parole dette da Agrado (Antonia San Juan), una delle protagoniste del suo film. E quel distacco citato, non è certo voluto dallo spettatore: è già intrinseco in quelle stesse parole, messe in bocca ad Agrado ma effettivamente importanti anche per l’autore, tanto da reggere la sostituzione, in sostanza, anche di uno spettacolo teatrale. Perché è evidente che Agrado, (e Almodòvar), ha come riferimento unicamente se stessa: una persona per essere autentica deve assomigliare all’idea che si è fatta di se stessa. E’, di fatto, un cortocircuito referenziale, ma dell’immaginarsi, del vedersi, non dell’essere. 

Perché sarebbe molto più semplice dire: una è più autentica tanto più è quello che è, ovviamente, ma costringerebbe l’individuo a fare i conti con la realtà. Invece, in questo modo, nel modo e nel mondo di Almodòvar, la realtà non esiste, (ad esempio, la positività all’HIV recede da sola), e l’unica cosa che conta è quello che sogniamo di essere. Attenzione, non vogliamo e quindi diventiamo; no, sogniamo, e quindi il sogno come fuga dalla realtà, e assomigliamo e perciò qualcosa di simile, non vera, ma allora semplicemente un tarocco, un falso (curioso che invece si cerchi poi di spacciarlo per autentico). Insomma, quello che è un transessuale per una donna; una cosa simile, percepita anche come tale, ma diversa nella sostanza. Sostanza, ovvero il membro maschile, che ossessiona i dialoghi in Tutto su mia madre, passando di bocca in bocca a personaggi, maschi o femmine o altro che siano, naturalmente in discorsi e non in scene esplicite; ma il continuo girare intorno all’argomento risulta comunque un po’ sospetto. Tanto che il senso delle parole di Agrado (vera bocca della verità, verrebbe da pensare) rivolte all’attore teatrale potrebbe essere metaforicamente girato allo stesso Almodòvar: davvero pensa che sia un argomento di discussione tanto interessante, la pratica orale?


Che poi è, anche in questo caso, un curioso cortocircuito di termini: parlare di una pratica orale. Pratica che ha senso solo nella sua esecuzione, nel suo essere fatto concreto, essendo una attività sessuale unicamente deputata a provocare piacere (a differenza dell’atto sessuale principale che ha anche uno scopo riproduttivo). Quindi, a che pro parlarne? Ma è il cinema di Almodòvar: un cortocircuito, più che un cinema transgender, una involuzione narcisisticamente e legittimamente avvitata su se stessa. Ad esempio, Tutto su mia madre: un tributo alla donna, meglio, alla donna come madre, e al tempo stesso la negazione di ogni riconoscimento per la figura maschile. Beh, è un’altra contraddizione: non ci sono madri senza uomini, non in questo mondo. Ma è come con le foto strappate a metà da Manuela (Cecilia Roth): un modo sbrigativo (e infantile) per risolvere la questione, sebbene di una indiscutibile efficacia. Nel mondo di Tutto su mia madre gli uomini diventano donne, mantenendo però l’organo genitale maschile con cui svolgere la funzione riproduttiva (mondata però dai rischi ci contagio). Interessante lettura, ma sembra anche l’esaltazione della incapacità di comprendere la realtà e di modificarla secondo le fantasie (perlopiù inerenti alla sfera sessuale) dell’autore. Curioso, anche; vien da pensare che le fantasie sessuali potrebbero anche trovare sfogo nei luoghi preposti, ma è pur vero che il cinema è uno di questi.  
E, in ogni caso, se il cinema è più autentico tanto più assomiglia all’idea sognata dal suo autore e se questa idea vi soddisfa, allora Tutto su mia madre è certamente non solo un film autentico, ma anche un capolavoro.
Dipenderà forse dal fatto che state sulla parte della foto non strappata e distrutta.  
     


        


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