304_TUTTO SU MIA MADRE (Todo sobre mi madre). Spagna, Francia 1999; Regia di Pedro Almodóvar.
Qualcuno ha efficacemente coniato il termine almodrama, per descrivere il cinema di
Pedro Almodòvar. E’ una buona chiave di lettura, nel suo universo, l’autore spagnolo è un genio, tanto da avere un genere cinematografico tutto suo: in
questo senso il suo è un cinema trans
gender, ovvero tra i generi del cinema, melodramma, commedia, dramma, ma
anche tra le arti, il cinema stesso, il teatro.
E’ quel ‘nel suo
universo’ messo in mezzo alla frase
che ne celebra la genialità, che stona effettivamente un po’. Ma è un commento
doveroso, per chi, in quell’universo si trova alieno. Perché, in fondo, come lo
stesso Almodòvar (forse) insegna, quello che si vuole è unicamente essere se
stessi, anche andando a guardare un film, non solo nel dirigerlo.
E allora,“una è più
autentica tanto più assomiglia all’idea che ha sognato di se stessa”,
sembra una frase illuminante. Che dire, Tutto
suo mia madre, ma forse tutto il cinema di Pedro Almodòvar, almeno per chi
lo guarda con un certo distacco, può
essere riassunto già in queste parole dette da Agrado (Antonia San Juan), una
delle protagoniste del suo film. E quel distacco
citato, non è certo voluto dallo spettatore: è già intrinseco in quelle stesse
parole, messe in bocca ad Agrado ma effettivamente importanti anche per
l’autore, tanto da reggere la sostituzione, in sostanza, anche di uno
spettacolo teatrale. Perché è evidente che Agrado, (e Almodòvar), ha come
riferimento unicamente se stessa: una persona per essere autentica deve assomigliare
all’idea che si è fatta di se stessa. E’, di fatto, un cortocircuito
referenziale, ma dell’immaginarsi, del vedersi, non dell’essere.
Perché sarebbe
molto più semplice dire: una è più
autentica tanto più è quello che è, ovviamente, ma costringerebbe
l’individuo a fare i conti con la realtà. Invece, in questo modo, nel modo e
nel mondo di Almodòvar, la realtà non esiste, (ad esempio, la positività
all’HIV recede da sola), e l’unica cosa che conta è quello che sogniamo di
essere. Attenzione, non vogliamo e
quindi diventiamo; no, sogniamo, e quindi il sogno come fuga
dalla realtà, e assomigliamo e perciò
qualcosa di simile, non vera, ma allora semplicemente un tarocco, un falso (curioso che invece si cerchi poi di spacciarlo per autentico). Insomma, quello che è un
transessuale per una donna; una cosa simile, percepita anche come tale, ma
diversa nella sostanza. Sostanza, ovvero il membro maschile, che ossessiona i
dialoghi in Tutto su mia madre, passando
di bocca in bocca a personaggi, maschi o femmine o altro che siano,
naturalmente in discorsi e non in scene esplicite; ma il continuo girare intorno
all’argomento risulta comunque un po’ sospetto. Tanto che il senso delle parole
di Agrado (vera bocca della verità,
verrebbe da pensare) rivolte all’attore teatrale potrebbe essere
metaforicamente girato allo stesso Almodòvar: davvero pensa che sia un argomento di discussione tanto interessante,
la pratica orale?
Che poi è, anche in questo caso, un curioso cortocircuito di
termini: parlare di una pratica orale. Pratica che ha senso solo nella
sua esecuzione, nel suo essere fatto concreto, essendo una attività sessuale
unicamente deputata a provocare piacere (a differenza dell’atto sessuale
principale che ha anche uno scopo riproduttivo). Quindi, a che pro parlarne? Ma
è il cinema di Almodòvar: un cortocircuito, più che un cinema transgender, una involuzione narcisisticamente
e legittimamente avvitata su se stessa. Ad esempio, Tutto su mia madre: un tributo alla donna, meglio, alla donna come
madre, e al tempo stesso la negazione di ogni riconoscimento per la figura
maschile. Beh, è un’altra contraddizione: non ci sono madri senza uomini, non
in questo mondo. Ma è come con le foto strappate a metà da Manuela (Cecilia
Roth): un modo sbrigativo (e infantile) per risolvere la questione, sebbene di
una indiscutibile efficacia. Nel mondo di Tutto
su mia madre gli uomini diventano donne, mantenendo però l’organo genitale
maschile con cui svolgere la funzione riproduttiva (mondata però dai rischi ci
contagio). Interessante lettura, ma sembra anche l’esaltazione della incapacità
di comprendere la realtà e di modificarla secondo le fantasie (perlopiù
inerenti alla sfera sessuale) dell’autore. Curioso, anche; vien da pensare che
le fantasie sessuali potrebbero anche trovare sfogo nei luoghi preposti, ma è
pur vero che il cinema è uno di questi.
E, in ogni caso, se il
cinema è più autentico tanto più assomiglia all’idea sognata dal suo autore
e se questa idea vi soddisfa, allora Tutto
su mia madre è certamente non solo un film autentico, ma anche un
capolavoro.
Dipenderà forse dal fatto che state sulla parte della foto
non strappata e distrutta.
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