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lunedì 4 febbraio 2019

UOMINI E LUPI

297_UOMINI E LUPI . Italia 1957. Regia di Giuseppe De Santis.

La preziosa attitudine di Giuseppe De Santis alla rappresentazione quasi documentaristica dei contesti storici in cui ambienta le sue vicende, riesce ancora a sorprenderci con il bellissimo Uomini e lupi, film del 1957 girato interamente in Abruzzo. Al centro della storia c’è la figura del luparo, ovvero di colui che si accollava il compito di uccidere i pericolosi lupi che infestavano i paesini di montagna della selvaggia regione italiana. Tra l’altro sorprende che un simile contesto decisamente affascinante sia tutto sommato passato inosservato al cinema, quando avrebbe potuto essere un’ambientazione ideale per moltissimi film che fossero anche solo di avventura. De Santis, com’è intuibile, mira più in alto, e ci fornisce una pellicola che, pur con solide basi d’intrattenimento melodrammatico/avventurose, si distingue soprattutto come uno degli ultimi spunti del neorealismo. Dal punto di vista formale l’opera è rimarchevole: bellissimi i paesaggi, tra l’altro ripresi durante la copiosa nevicata del ’56, illustrati da una fotografia dai tenui colori pastello da sembrare pittorici. Anche le scene con gli animali, sia domestici ma soprattutto coi lupi, sono di notevole effetto.
Nel paesino di Vischio, in cui un branco di lupi sta facendo strage di animali domestici, arrivano contemporaneamente due lupari: uno è il tradizionalissimo Giovanni (Pedro Armendàriz), l’altro, Ricuccio (Yves Montand), sembra piuttosto un dongiovanni vagabondo. Il primo è accompagnato dalla moglie Teresa (Silvana Mangano, nientemeno) e dal figlietto Pasqualino, il secondo cerca subito di conquistare le grazie di Bianca (Irene Cefaro) figlia di don Pietro (Guido Celano), il classico padrone di mezzo paese. 

Se Giovanni è un vero luparo, indipendente, solitario, scontroso, non disposto a lavorare al soldo di nessuno ma deciso a fare tutto da sé, Ricuccio è un millantatore, non essendo affatto del mestiere. De Santis è un abile narratore e la storia procede prima soprattutto sul piano avventuroso e sfocia lentamente su quello sentimentale, con una serie di triangoli melodrammatici che, a quel punto, incendiano le innevate scene abruzzesi. Ricuccio, snobbato da Bianca perché povero, sembra insediare Teresa; Giovanni è lesto ad accorgersene e la rivalità amorosa si sovrappone a quella ‘sportiva’ (gli animalisti mi passino il termine improprio) in qualità di lupari. Poi Giovanni soccombe in un tentativo di catturare da solo un lupo vivo, e la tensione sentimentale si sposta sul triangolo Teresa-Ricuccio-Bianca, una volta che quest’ultima, visto che l’uomo si stava defilando, decide di riprendersi la scena. Intanto i lupi scorazzano e Ricuccio, con un occhio sempre rivolto comunque a Teresa, nella contesa con le belve cerca di riguadagnare un po’ di prestigio agli occhi del paese, in precedenza perso dopo un tentativo di truffa.


La Mangano è brava nella parte un po’ trattenuta, anche dalla condizione di lutto, della donna che vorrebbe ma non può, Montand gigioneggia, cercando di capire quale partito scegliere, sebbene la ricchezza di Bianca è una tentazione troppo forte. La ragazza è ora ben disposta verso l’uomo, sebbene gli neghi comunque ogni speranza di accedere, anche tramite matrimonio, alla condizione agiata; la differenza di classe è un fatto insormontabile. Lo stallo sentimentale è rotto da un’irruzione di ritorno nella trama della traccia avventurosa: il branco di lupi irrompe selvaggiamente in paese e attacca a spron battuto mietendo numerose vittime tra gli animali domestici. Le scene sono appassionanti e girate con maestria.

Ricuccio si distingue prima nella difesa con la doppietta, poi si erge ad eroe catturando un lupo vivo, proprio là dove aveva fallito Giovanni. Sia Teresa che Bianca ora gli si concedono apertamente e l’uomo sceglie la seconda, non per amore ma per la mai sopita speranza di migliorare la propria condizione economica tramite gli averi della giovane. Ma don Pietro non è affatto d’accordo e intende salvare casta di famiglia e onore della figlia; al che interviene proprio Teresa a benedire l’unione tra Ricuccio e Bianca, convincendo anche il recalcitrante padre. Il finale, lunghissimo e struggente, vede Ricuccio rimuginante scortato da padre e fratello di Bianca che lo riportano al paese, per legalizzare l’unione con la ragazza. Teresa e Pasqualino (anch’egli affezionatisi a Ricuccio) lasciano invece Vischio lacrime agli occhi.
Poi, finalmente Ricuccio si divincola dai due uomini e corre da Teresa, schivando le pallottole di un furibondo don Pietro. Il lieto fine premia con la Mangano, una vera diva dell’epoca, Ricuccio, un personaggio moderno, mentre quelli più tradizionali, da Giovanni a don Pietro, ma anche Bianca, così attaccata alla roba manco fosse la protagonista di un racconto di Giovanni Verga, sono destinati all’oblio.
Il neorealismo stava davvero finendo.


Silvana Mangano






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