297_UOMINI E LUPI . Italia 1957. Regia di Giuseppe De Santis.
La preziosa attitudine di Giuseppe De Santis alla
rappresentazione quasi documentaristica dei contesti storici in cui ambienta le
sue vicende, riesce ancora a sorprenderci con il bellissimo Uomini e lupi, film del 1957 girato
interamente in Abruzzo. Al centro della storia c’è la figura del luparo, ovvero di colui che si accollava
il compito di uccidere i pericolosi lupi che infestavano i paesini di montagna
della selvaggia regione italiana. Tra l’altro sorprende che un simile contesto
decisamente affascinante sia tutto sommato passato inosservato al cinema,
quando avrebbe potuto essere un’ambientazione ideale per moltissimi film che
fossero anche solo di avventura. De Santis, com’è intuibile, mira più in alto,
e ci fornisce una pellicola che, pur con solide basi d’intrattenimento
melodrammatico/avventurose, si distingue soprattutto come uno degli ultimi
spunti del neorealismo. Dal punto di vista formale l’opera è rimarchevole:
bellissimi i paesaggi, tra l’altro ripresi durante la copiosa nevicata del ’56,
illustrati da una fotografia dai tenui colori pastello da sembrare pittorici.
Anche le scene con gli animali, sia domestici ma soprattutto coi lupi, sono di
notevole effetto.
Nel paesino di Vischio, in cui un branco di lupi sta facendo
strage di animali domestici, arrivano contemporaneamente due lupari: uno è il tradizionalissimo
Giovanni (Pedro Armendàriz), l’altro, Ricuccio (Yves Montand), sembra piuttosto
un dongiovanni vagabondo. Il primo è accompagnato dalla moglie Teresa (Silvana
Mangano, nientemeno) e dal figlietto Pasqualino, il secondo cerca subito di
conquistare le grazie di Bianca (Irene Cefaro) figlia di don Pietro (Guido
Celano), il classico padrone di mezzo paese.
Ricuccio si distingue prima nella difesa con la doppietta, poi si erge ad eroe catturando un lupo vivo, proprio là dove aveva fallito Giovanni. Sia Teresa che Bianca ora gli si concedono apertamente e l’uomo sceglie la seconda, non per amore ma per la mai sopita speranza di migliorare la propria condizione economica tramite gli averi della giovane. Ma don Pietro non è affatto d’accordo e intende salvare casta di famiglia e onore della figlia; al che interviene proprio Teresa a benedire l’unione tra Ricuccio e Bianca, convincendo anche il recalcitrante padre. Il finale, lunghissimo e struggente, vede Ricuccio rimuginante scortato da padre e fratello di Bianca che lo riportano al paese, per legalizzare l’unione con la ragazza. Teresa e Pasqualino (anch’egli affezionatisi a Ricuccio) lasciano invece Vischio lacrime agli occhi.
Poi, finalmente Ricuccio si divincola dai due uomini e corre
da Teresa, schivando le pallottole di un furibondo don Pietro. Il lieto fine
premia con la Mangano ,
una vera diva dell’epoca, Ricuccio, un personaggio moderno, mentre quelli più
tradizionali, da Giovanni a don Pietro, ma anche Bianca, così attaccata alla roba manco fosse la protagonista di un
racconto di Giovanni Verga, sono destinati all’oblio.
Il neorealismo stava davvero finendo.Silvana Mangano
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