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domenica 24 febbraio 2019

LO SPACCONE

308_LO SPACCONE (The Hustler). Stati Uniti 1961;  Regia di Robert Rossen.

Avevamo già capito che Paul Newman fosse il modello perfetto di eroe che andava a sostituire quello classico, in voga fino a tutti gli anni 50: John Wayne, Gary Cooper o James Stewart, per intenderci. Lo avevamo capito dai suoi precedenti film, valga per tutti La gatta sul tetto che scotta dove ha per le mani una splendida Liz Taylor e sembra non sapere bene che farci, proprio lui, quello che è considerato uno degli uomini più belli del mondo. C’è qualcosa che non gira per il verso giusto, almeno stando ai canoni classici, quando all’opera c’è Paul Newman. Ecco, Lo spaccone, film di Robert Rossen, certifica tutto ciò su uno splendido nero su bianco in CinemaScope, mostrando i dubbi, le incertezze, le debolezze dell’eroe, del campione a stelle e strisce, una volta che il Sogno Americano ha mostrato il suo lato oscuro. E questo non è il tema sotteso al film, il cosiddetto messaggio che possiamo trarre in sede di analisi più o meno approfondita; no, questo è proprio l’argomento esplicito della storia narrata. E’ un po’ come se Paul Newman, perlomeno il Paul Newman attore, recitasse un film dove il protagonista non è tanto l’Eddie Felson del racconto sullo schermo, ma piuttosto se stesso. La sua spavalderia (‘io sono il più forte’) unita a debolezze imperdonabili per chi gioca a fare il duro, la più clamorosa delle quali è la scarsa resistenza all’alcool, ci rendono perfettamente il quadro del moderno eroe anni sessanta. In fondo ha ragione il diabolico Bert Gordon (George C. Scott) quando lo apostrofa ‘nato battuto’: Felson non vince mai, anche nel finale, quando si prende la rivincita a biliardo contro Minnesota Fats (Jackie Gleason), in realtà ha perso la partita più importante, e l’ha persa in malo modo. 
E’ inutile la rabbia che Felson prova nei confronti di Gordon: la sua arringa finale, il suo pretendere di non dividere la vincita, non scalfisce quest’ultimo, che infatti lo lascia andare indenne. Gordon fa il suo, è una persona abietta che vive sulle debolezze altrui: gente del genere ce n’è, ce n’è sempre stata e ce ne sarà sempre. Il disprezzo di Felson non lo tocca minimamente; egli non è in nessun modo un eroe, un campione; non gioca a biliardo, lascia giocare gli altri e sfrutta in modo scaltro le opportunità. Non è un personaggio importante, e se se ne parla, è solo perché l’eroe interpretato da Newman è talmente debole e insicuro, da finirci imbrigliato. 

E nemmeno il finale riscatta il nostro eroe, anche perché avviene a partita ormai chiusa; con Eddie ‘nato battuto’ Felson comunque sconfitto. Il dramma di Felson è che potenzialmente egli è un vincente, allo stesso modo in cui il Sogno Americano è un modello che permette l’affermazione di ognuno: ovvero in linea teorica. Ma all’atto pratico, ecco che Felson si ubriaca, è stanco, non conosce bene il gioco, o trova un altro alibi per perdere; il punto è che l’idea competitiva e individualistica della società americana (rappresentata nel film dal gioco del biliardo) permette un solo vincitore. Quello che arriva secondo, in finale, per tutti è semplicemente il primo dei perdenti; questo è il risvolto amaro del Sogno Americano: ovvero che, se è possibile che tutti possano vincere, in realtà è sicuro che praticamente tutti (meno uno) perderanno. 
E mangeranno la polvere, perché non c’è nessuna gloria per il secondo classificato; non nel bigliardo e nemmeno in America. Quella del successo da conseguire a tutti i costi è una chimera, che Felson insegue senza riuscire a prendere mai, perché in realtà dentro di sé ne conosce la vacuità. E’ molto bello il discorso che fa a Sarah, quando si esalta parlando di un lavoro fatto bene, di un lavoro fatto mettendoci tutto il cuore possibile, di qualunque lavoro si tratti. E Sarah ha ragione vedendo in lui un uomo da amare; la ragazza, infatti, si innamora di Eddie in quel momento, e non quando ne vede i begli occhi azzurri. Ma di questo non se ne può certo accorgere un tipo come Gordon, che pensa invece che lei stia attaccata al suo pupillo come fosse all’ultima spiaggia; no, Sarah ama Eddie perché vede in lui il potenziale di un grande uomo. Un uomo diverso, che ama quello che fa, non per dimostrarlo agli altri, ma per se stesso, per il gusto del lavoro in sé. Un uomo in grado di innamorarsi di una ragazza non bellissima; e zoppa, per di più.
Era davvero un grande uomo, Eddie Felson.
Almeno potenzialmente.  









Piper Laurie




        


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