248_IL LUNGO ADDIO (The Long Goodbye); Stati Uniti 1973; Regia di Robert Altman.
“Il vero mistero è
dove sia finito il gatto”. Ovviamente Robert Altman, il regista dello
splendido Il lungo addio stava scherzando. E ovviamente (coerentemente con sé stesso e la sua poetica) ci dava al contempo la chiave di
lettura del suo film. O una delle, se vogliamo non rischiare di contraddirlo
troppo. Comunque, torniamo al gatto, che è una buona traccia: all’inizio del
film, Philip Marlowe (Elliott Gould) è svegliato in piena notte dal suo gatto,
che ha fame. Non ha però in casa il cibo per gatti a cui l’animale è abituato e prova con qualcos’altro, ma il micio rifiuta; così esce in piena notte e si
reca in un tipico market aperto 24 ore al giorno, ma compra il cibo di un’altra
marca visto che non trova il prodotto giusto. Una volta a casa, prima di
versare il cibo nella ciotola, siccome sospetta che il gatto venga scoraggiato
dalla vista di una lattina diversa, ne prende una vuota del solito alimento e opera
uno scambio per ingannare il felino: l’animale però si accorge del trucco e
rifiuta anche questa proposta. In sostanza, Marlowe tradisce la fiducia
dell’amico animale (non dandogli da mangiare il solito cibo) e cerca anche di
imbrogliarlo (spacciando per il solito cibo uno diverso), confidando che sia la
vista il senso cruciale; dopodiché il felino sparisce e nessuno lo vede più.
Ovvero, la trama in sintesi de Il lungo
addio: il tradimento di un amico e la sua conseguente scomparsa.
Nel
racconto, ispirato all’omonimo romanzo di Raymond Chandler, il tradimento è
operato da Terry Lennox che inganna l’amico Marlowe e si defila in Messico,
per poi sparire; nello specifico
inscenando un suicidio per potersi godere una nuova vita con Eileen (una
fulgida Nina Van Pallandt), la sua ricchissima amante. La trama, come da prassi
per il genere hard boiled, è
parecchio ingarbugliata: Terry era l’amante di Eileen, ma si diffonde la voce
che fossero i rispettivi consorti ad avere la tresca.
Roger Wade (Sterling
Hayden, notevole) il marito della donna, è uno scrittore in crisi e ormai psicologicamente
malato; di Sylvia, la moglie di Terry, si sa ben poco, se non che è bella e
ricca e che viene assassinata. E i sospetti puntano su Terry, che è fuggito in
Messico, aiutato da Marlowe, che viene così messo sotto torchio dalla polizia prima e ingaggiato
da Eileen poi, finendo coinvolto nell’intrigo. Se nel genere noir dei tempi d’oro questi intrecci
ripetuti servivano per comunicare l’idea di un mondo come un labirinto confuso
e senza apparente via di uscita, Altman aggiorna il genere lasciandoli un po’
sullo sfondo e concentrandosi su un altro aspetto.
A essere messo in
discussione è l’importanza data al senso della vista, che forse si potrebbe
interpretare in senso politico/sociale con una critica al culto dell’apparenza:
d’altra parte il film è ambientato per lo più nella società ricca e ben più che
benestante di Los Angeles e Malibu. In ogni caso, nel film si ripetono i
tentativi di confondere la vista con la presenza di superfici riflesse:
nell’interrogatorio della polizia attraverso il vetro a specchio; sulla vetrata
di casa Wade in riva al mare durante il litigio tra Eileen e Roger, confuso dal
riflesso di Marlowe, e ben più gravemente quando lo scrittore annega senza
essere visto attraverso il vetro. Oppure anche tramite l’uso manipolato di
immagini, come le fotografie probabilmente preparate
dal coroner messicano sul presunto suicidio di Terry.
E poi non dimentichiamoci
che già Marlowe aveva tentato di imbrogliare il gatto cercando di rifilare al
micio non il solito cibo per gatti. Tra l’altro, il tema degli animali è usato
da Altman con la consueta ironia: se il rapporto tra Marlowe e il suo gatto, in
parte è e in parte rispecchia (nel senso che si rovesciano
le parti) quello tra l’uomo e il suo amico Terry (tradimento, sparizione), il
doberman feroce ma in fin della fiera innocuo ricorda Roger, mentre in Messico,
prima vediamo due cani che si accoppiano (Terry e Eileen) e poi un cane che si
riposa pigramente (Terry). Ma questo tema per prima cosa ci dice che non
dobbiamo fidarci unicamente dei nostri occhi, visto che col fiuto il gatto di
Marlowe scopre l’inganno del suo padrone; il quale farà tesoro di questa
lezione quando, ricevendo in dono dal compagno di letto d’ospedale un’armonica,
simbolicamente si svincola dalla sua stretta dipendenza dall’organo visivo (tra
l’altro è un investigatore, un occhio
privato) cedendo, in cambio di una nuova propria identità, quella vcchia e legata
all’apparenza. Infatti, all’infermiera che cerca il signor Marlowe, Philip
indica il vicino di letto, quello tutto bendato come una mummia, anzi, come l’uomo invisibile, mentre ne approfitta
per uscire dall’ospedale. A quel punto Marlowe smette così di essere
invisibile: "Non sapevamo neanche avesse
un gatto, Mr. Marlowe", gli aveva detto una delle simpatiche vicine, sovrapponendo
l’indifferenza verso l’uomo a quella verso il suo piccolo animale, ribadendo la
metafora. Ma è naturalmente la doppia scena con Eileen in auto e Marlowe a
piedi, una sorta di scena specchiata tra gli Stati Uniti e il Messico, tra
prima e dopo il dono dell’armonica, a rendere esplicita questa trasformazione
nell’uomo. Prima della scena dell’ospedale, Marlowe sta camminando e vede
Eileen in auto, la chiama, la insegue a lungo, ma lei non lo vede mai, non si
accorge minimamente delle grida e della rincorsa dell’uomo.
Uomo che a sua
volta non si accorge di un’altra auto e finisce investito, e di lì
all’ospedale. Quando, nel finale, la scena si ripete, in Messico, l’uomo
cammina indifferente, e la donna lo guarda sorpresa con insistenza, stupendosi
probabilmente di cosa ci faccia in quel luogo; fatto sta che lo vede e lo
riconosce. Si tratta di una scena simile ma di fatto opposta alla precedente.
Poi l’uomo suona un po’ l’armonica, la gente del posto sente la musica e una
signora si mette a ballare con lui, per la strada. Ed è chiaro che è la musica, e quindi il senso dell'udito, a stabilire il contatto socievole tra i due. Ma prima di questo
consolatorio finale, Marlowe aveva chiuso il conto al suo amico Terry,
colpendolo a sangue freddo, facendolo finire nella piscina, rompendo finalmente
lo specchio (d’acqua). E nella versione originale americana, all’amico, prima
di ammazzarlo, quando questi gli dice ‘Tu
non impari mai. Sei un perdente nato’, risponde amareggiato: ‘Si, ho perfino perso il mio gatto’.
Quello che credeva un amico.Nina Van Pallandt
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