242_PAPER MOON - LUNA DI CARTA (Paper Moon) Stati Uniti 1973; Regia di Peter Bogdanovich.
Peter Bogdanovich prima di essere un regista era già un
appassionato, un critico ed un esperto di cinema; il suo amore per il periodo
classico di Hollywood, nel 1973, era quindi già noto, ma Paper Moon mette comunque in chiaro subito le cose. Si tratta di un
omaggio al cinema degli anni tra le guerre mondiali, quelli del proibizionismo,
del New Deal rooseveltiano e dei film
di Frank Capra. Bogdanovich ha una gran mano, in regia, calibrata, dosata: le
immagini anche troppo nitide in un bianco e nero che quasi sembra seppiato,
opera della magia di Laszlò Kovàcs, e la recitazione un po’ troppo impostata degli attori, creano un
effetto vintage che avvolge tutta
quanta la storia. Storia che non è nulla di che: in Kansas, Moses Pray (Ryan O’Neil),
si trova per le mani la figlia di una ragazza
dai facili costumi deceduta e deve portarla nel Missouri, dalla sorella di
quest’ultima. Il compito gli spetta perché si reca incautamente al funerale della giovane, dove le uniche due persone presenti
(oltre al prete e alla figlioletta) lo riconoscono come amico della defunta. Nel ruolo della piccola Addie Loggins troviamo
Tatum O’Neal, figlia di Ryan: così, quando nel film la bambina chiede a
Moses se questi potrebbe essere suo padre, visto che frequentava la madre (o meglio, ‘l’aveva
conosciuta in un bar’), qualche dubbio allo spettatore può venire,
nonostante le smentite categoriche dell’uomo. Moses è un piccolo truffatore che
escogita una serie di curiosissimi stratagemmi per racimolare qualche dollaro;
la spiccata simpatia e la faccia da schiaffi di Ryan O’Neal, sorrette dal tono
leggero della commedia, permettono al personaggio di attirare comunque i favori
del pubblico.
Addie, con il tipico atteggiamento indisponente e presuntuoso da
fastidiosa mocciosa, sembra lasciar presagire una storia in cui il nostro eroe
dovrà subire le angherie della piccola deposta. E, invece, Tatum coglie tutti
in contropiede, recita con naturalezza, e si mangia letteralmente il film, di cui diviene la protagonista
indiscussa. A parte il viaggio in quello che risulta un singolare road movie, nella storia padre e figlia sono un po’ le due facce del sogno americano, interpretato con lo sguardo cinico in luogo
dell’ingenuità tipica dei film di Capra: Moses è un imbroglione che naviga di
espedienti appena sopra la sufficienza e di questo vivacchiare fa la sua linea
guida. Imbrogliando per pochi dollari si rischia comunque poco e si viene
tendenzialmente tollerati.
Quindi, il farsi
strada da sé, che è la tipica ideologia del sogno americano, contempla già il non rispetto delle regole, il non
aver troppi scrupoli, il non avere pudore (principalmente imbroglia povere
donne vedove di fresco): insomma, opportunista anche nell’essere opportunista. Addie,
se anche vede la scorrettezza di questi comportamenti, (è infatti una devota
fan della politica solidale di Roosevelt), ha una capacità opportunistica in
più, perché riesce a capire perfettamente quando è il tempo di calcare la mano
(nella truffa alle vedove, chiede 24 dollari anziché solo 8 quando vede che la cliente è abbiente), oppure sollevarla
(addirittura lascia dei soldi alla donna povera e con tanti figli). In nessun
caso, comunque, si fa riferimento all’onestà intesa come rispetto della regola
vigente: tutto è interpretabile, opinabile, il che è anche strettamente legato
al periodo, l’America degli anni ’20, dove probabilmente si definì in senso
moderno il sogno americano e, non a
caso, i gangster vestivano come eleganti persone per bene.
Del resto, nel film,
l’unica figura istituzionale di rilievo è lo sceriffo Hardlin (John Hillerman) fratello di
un trafficante di whiskey e forse più intenzionato a proteggere i traffici di
quest’ultimo che a far rispettare la legge. Questo senso di ambiguità, che è il
vero spirito americano, si condensa nel finale, quando Moses, al termine di un
lunghissimo viaggio, consegna la piccola Addie alla zia. La ragazzina lascia
una busta sullo sgangherato furgone dell’uomo, come saluto: una mossa astuta,
come tipico della arguta protagonista del film. Nella busta c’è solo una foto,
una foto scattata al luna park, con Addie seduta su una luna di cartone (Paper Moon, come dal titolo del film), e
una semplice dedica.
L’immagine verte su una serie di inganni, di falsi: la luna è ovviamente una luna
finta, ma anche il ricordo, in parte lo è, perché non riporta alla mente un
momento felice, in quanto Moses, in quel luna
park, rifiutò di fare la foto con la ragazzina perché troppo interessato
allo spettacolo di Trixie Delight (Madeline Kahn), l’avvenente danzatrice che
poi accompagnerà i nostri per parte del tragitto. L’immagine non ricorda quindi
un momento della vita vissuta insieme ma piuttosto una mancanza di Moses nei confronti di Addie e, quindi, come messaggio
d’addio suona un po’ fuori luogo. In realtà è strategico e in effetti la
capacità di scegliere strategie è fondamentale nell’attività di doversi arrangiare e anche questo è un tratto distintivo del sogno americano; anche se alla fine, tutto può suonare un po’
troppo studiato e quindi posticcio, fasullo, come una luna di cartone.
Finzione, insomma; come il cinema di Hollywood. Ma non è finta l’emozione quando, in
fondo alla strada, compare la sagoma di Addie che corre incontro a Moses per il
delicato finale. Ma è solo un attimo, poi ricominciano con i finti ricatti e i siparietti comici alla Stanlio e Ollio; in questo caso, per nascondere la commozione.
Madeline Kahn
Tatum O'Neil
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