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sabato 17 novembre 2018

PAPER MOON - LUNA DI CARTA

242_PAPER MOON - LUNA DI CARTA (Paper Moon) Stati Uniti 1973;  Regia di Peter Bogdanovich.

Peter Bogdanovich prima di essere un regista era già un appassionato, un critico ed un esperto di cinema; il suo amore per il periodo classico di Hollywood, nel 1973, era quindi già noto, ma Paper Moon mette comunque in chiaro subito le cose. Si tratta di un omaggio al cinema degli anni tra le guerre mondiali, quelli del proibizionismo, del New Deal rooseveltiano e dei film di Frank Capra. Bogdanovich ha una gran mano, in regia, calibrata, dosata: le immagini anche troppo nitide in un bianco e nero che quasi sembra seppiato, opera della magia di Laszlò Kovàcs, e la recitazione un po’ troppo impostata degli attori, creano un effetto vintage che avvolge tutta quanta la storia. Storia che non è nulla di che: in Kansas, Moses Pray (Ryan O’Neil), si trova per le mani la figlia di una ragazza dai facili costumi deceduta e deve portarla nel Missouri, dalla sorella di quest’ultima. Il compito gli spetta perché si reca incautamente al funerale della giovane, dove le uniche due persone presenti (oltre al prete e alla figlioletta) lo riconoscono come amico della defunta. Nel ruolo della piccola Addie Loggins troviamo Tatum O’Neal, figlia di Ryan: così, quando nel film la bambina chiede a Moses se questi potrebbe essere suo padre, visto che frequentava la madre (o meglio, ‘l’aveva conosciuta in un bar’), qualche dubbio allo spettatore può venire, nonostante le smentite categoriche dell’uomo. Moses è un piccolo truffatore che escogita una serie di curiosissimi stratagemmi per racimolare qualche dollaro; la spiccata simpatia e la faccia da schiaffi di Ryan O’Neal, sorrette dal tono leggero della commedia, permettono al personaggio di attirare comunque i favori del pubblico. 
Addie, con il tipico atteggiamento indisponente e presuntuoso da fastidiosa mocciosa, sembra lasciar presagire una storia in cui il nostro eroe dovrà subire le angherie della piccola deposta. E, invece, Tatum coglie tutti in contropiede, recita con naturalezza, e si mangia letteralmente il film, di cui diviene la protagonista indiscussa. A parte il viaggio in quello che risulta un singolare road movie, nella storia padre e figlia sono un po’ le due facce del sogno americano, interpretato con lo sguardo cinico in luogo dell’ingenuità tipica dei film di Capra: Moses è un imbroglione che naviga di espedienti appena sopra la sufficienza e di questo vivacchiare fa la sua linea guida. Imbrogliando per pochi dollari si rischia comunque poco e si viene tendenzialmente tollerati. 
Quindi, il farsi strada da sé, che è la tipica ideologia del sogno americano, contempla già il non rispetto delle regole, il non aver troppi scrupoli, il non avere pudore (principalmente imbroglia povere donne vedove di fresco): insomma, opportunista anche nell’essere opportunista. Addie, se anche vede la scorrettezza di questi comportamenti, (è infatti una devota fan della politica solidale di Roosevelt), ha una capacità opportunistica in più, perché riesce a capire perfettamente quando è il tempo di calcare la mano (nella truffa alle vedove, chiede 24 dollari anziché solo 8 quando vede che la cliente è abbiente), oppure sollevarla (addirittura lascia dei soldi alla donna povera e con tanti figli). In nessun caso, comunque, si fa riferimento all’onestà intesa come rispetto della regola vigente: tutto è interpretabile, opinabile, il che è anche strettamente legato al periodo, l’America degli anni ’20, dove probabilmente si definì in senso moderno il sogno americano e, non a caso, i gangster vestivano come eleganti persone per bene. 
Del resto, nel film, l’unica figura istituzionale di rilievo è lo sceriffo Hardlin (John Hillerman) fratello di un trafficante di whiskey e forse più intenzionato a proteggere i traffici di quest’ultimo che a far rispettare la legge. Questo senso di ambiguità, che è il vero spirito americano, si condensa nel finale, quando Moses, al termine di un lunghissimo viaggio, consegna la piccola Addie alla zia. La ragazzina lascia una busta sullo sgangherato furgone dell’uomo, come saluto: una mossa astuta, come tipico della arguta protagonista del film. Nella busta c’è solo una foto, una foto scattata al luna park, con Addie seduta su una luna di cartone (Paper Moon, come dal titolo del film), e una semplice dedica. 

L’immagine verte su una serie di inganni, di falsi: la luna è ovviamente una luna finta, ma anche il ricordo, in parte lo è, perché non riporta alla mente un momento felice, in quanto Moses, in quel luna park, rifiutò di fare la foto con la ragazzina perché troppo interessato allo spettacolo di Trixie Delight (Madeline Kahn), l’avvenente danzatrice che poi accompagnerà i nostri per parte del tragitto. L’immagine non ricorda quindi un momento della vita vissuta insieme ma piuttosto una mancanza di Moses nei confronti di Addie e, quindi, come messaggio d’addio suona un po’ fuori luogo. In realtà è strategico e in effetti la capacità di scegliere strategie è fondamentale nell’attività di doversi arrangiare e anche questo è un tratto distintivo del sogno americano; anche se alla fine, tutto può suonare un po’ troppo studiato e quindi posticcio, fasullo, come una luna di cartone. Finzione, insomma; come il cinema di Hollywood. Ma non è finta l’emozione quando, in fondo alla strada, compare la sagoma di Addie che corre incontro a Moses per il delicato finale. Ma è solo un attimo, poi ricominciano con i finti ricatti e i siparietti comici alla Stanlio e Ollio; in questo caso, per nascondere la commozione.   


Madeline Kahn


Tatum O'Neil





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