241_FIRST MAN - IL PRIMO UOMO (First Man) Stati Uniti 2018; Regia di Damien Chazelle.
Dopo lo strepitoso successo ottenuto con La La Land e la sua
celebrazione del cinema, Damien Chazelle alza la posta in gioco, e affronta
quello che con ogni probabilità è, almeno simbolicamente, l’episodio culmine della
storia dell’umanità: la conquista
della Luna. E, soprattutto di questi tempi, il tema è particolarmente
scottante: le teorie complottiste, di
qualunque natura, hanno ormai preso piede ad ogni latitudine e su ogni aspetto
della vita sociale ma certo l’avventura di Neil Armstrong e soci è uno dei
temi maggiormente messi in discussione. Si potrebbe quasi dire che se fosse
vera la teoria che sostiene che l’allunaggio del 1969 sia stata una messa in
scena degli americani, verrebbe a mancare uno dei capisaldi dell’intera società
occidentale. Un po’ come dire: se si sono inventati una cosa del genere,
qualunque informazione mainstream può
e deve essere messa in discussione. I filmati originali della missione sono
stati spesso messi sotto esame e alcune presunte anomalie sono state sottolineate: è
forse anche per questo motivo che Chazelle opta per una messa in scena
credibilissima e tutt’altro che spettacolare dal punto di vista cinematografico
classico. Non sembra di essere al cinema a vedere un film sull’allunaggio, ma
piuttosto di essere nella navicella insieme agli astronauti. E’ una scelta
certamente convincente, perché comunica in modo efficace le sensazioni provate
dall’equipaggio, mostrando anche il lato umano
della missione, la sua precarietà e il senso di pericolo ivi connesso.
Proprio
l’onesta ammissione di generale improvvisazione, messa sotto accusa in modo
esplicito dalla moglie di Armstrong, Janet (una eccellente Claire Foy), è un
altro tassello molto interessante nella rappresentazione delle missioni. Ma gli
esami a cui il regista sottopone in
generale l’intera Nasa e, nello specifico di questa storia, il suo eroe, Neil Armstrong, (il primo uomo, interpretato dal solito
validissimo Ryan Gosling), sono almeno altri due. Il primo è sociale: vale la
pena sperperare tutti quei soldi per andare sulla Luna? Non ci sono modi più
utili per investire le tasse dei contribuenti?
Una buona domanda, molto in voga
all’epoca dei fatti, anche perché si era non solo nel pieno della Guerra Fredda coi sovietici, conflitto
che alimentava la competitività anche in campo spaziale, ma soprattutto perché
era in corso una travolgente rivoluzione generazionale. L’altro nodo spinoso è
famigliare. E' davvero il caso di rischiare la vita, mettere a rischio la serenità famigliare,
lasciare la moglie in pena a casa, in attesa di una notizia, spesso, troppo
spesso, nefasta? Vale la pena rischiare di lasciare due figli orfani? Il tema è doppio ma è evidente una sovrapposizione, perché si tratta sempre di un bilancio deficitario per Armstrong e per le sue ambizioni. In effetti il colloquio coi figli prima di partire, a cui lo costringe la moglie Janet, è molto simile alla conferenza stampa ufficiale che l’astronauta rilascia, e si conclude allo stesso modo: ci sono altre domande?
Insomma, la scelta di Armstrong non è certo razionale e nemmeno
ragionevole: ma è una scelta tipicamente umana. Nella missione Gemini vediamo
Armstrong sul cui occhio si riflette la luce di uno degli oblò della navicella,
e il nostro ricorda un moderno pirata con l’occhio bendato (di luce) che si
lancia all’arrembaggio in una missione quasi suicida; ma nella missione
decisiva, quella dell’allunaggio, nessuna luce cancella o abbaglia gli occhi
dell’astronauta, puntati e fissi sull’obiettivo, la Luna. In queste due
scene, nella loro differente rappresentazione, c’è una parte della natura dell’uomo:
coraggio, audacia, e poi tempra, decisione, determinazione. Qual è il
combustibile che alimenta la voglia dell’uomo di compiere simili azioni?
Nemmeno Armstrong lo sa e, infatti, quando glielo chiedono, risponde che ne
vorrebbe di più, per essere sicuro di farcela, anche a tornare. Sulla Luna, nel
momento assoluto, nel vuoto assoluto, l’astronauta rivede sua figlia, quella
morta di tumore ancora bambina; rivede scene in mezzo al verde terrestre con la
sua famiglia, una visione paradisiaca al cospetto della tetra e spoglia
superficie lunare. E’ quindi la morte di sua figlia, l’incapacità di
comprenderla, a spingere Neil?
Forse, ma forse è più la morte in generale,
compresa quella dei compagni di lavoro; forse è un problema maggiormente
maschile, perché le donne hanno la caratteristica peculiare di dare la vita e questo per loro potrebbe essere
un efficace antidoto che agli uomini manca. E allora Neil, nel finale, ricorda
moltissimo il protagonista di La La Land , e non solo per il
volto di Gosling, ma per via di quel vetro pieno di riflessi che lo separa da
Janet, che a quel punto sembra lontana quanto Mia da Sebastian. Certo non
lontana quanto la distantissima Luna; ma che, proprio in quel momento, sembra quasi più facilmente raggiungibile.
Nessun commento:
Posta un commento