240_SPIDER-MAN: HOMECOMING ; Stati Uniti, 2017. Regia di Jon Watts.
A volte abbiamo visto come il titolo di un film ci offra già
la chiave di lettura dell’opera, o almeno uno spunto per un’intuizione. Stavolta
il titolo è già di per sé un punto nevralgico: a cosa si riferisce l’homecoming che denomina il film di Jon
Watts, viene infatti da chiedersi? Piccola annotazione: probabilmente i due
punti dopo il nome del super-eroe
protagonista sono messi proprio per evidenziare il significato del termine, homecoming, appunto, ritorno a casa; l’interrogativo
rimane, quindi, anzi ne esce sottolineato. Un tempo, e pensiamo a quando L’Uomo Ragno era solo un personaggio dei
fumetti o dei cartoni animati (o al massimo di qualche improbabile tv movie di
fine anni 70), un meccanismo assai diffuso noto come sospensione dell’incredulità, permetteva ad autori e appassionati
di ‘credere’ alle mirabolanti
avventure dell’arrampicamuri. Quando
Spider-Man arrivò finalmente al cinema, nel 2002, Sam Raimi sapeva già di avere
a che fare con spettatori divenuti molto più smaliziati, molto più
consapevoli, per cui l’approccio fu più ammiccante: tra autore e spettatore
c’era una sorta di intesa per cui si poteva passar sopra ai tanti presupposti
che stanno alla base delle avventure dei supereroi e che volendo potrebbero
essere opinabili sotto l'aspetto della credibilità. Non era certo questa la peculiarità più importante del lavoro
di Raimi su Spider-Man, ci mancherebbe, ma questo passaggio è importante perché
serve a capire come uno dei presupposti di Spider-Man:
Homecoming sia il risultato di una sorta di sviluppo progressivo. In
origine il prodotto era semplicemente veicolato
dall’autore al fruitore (lettore o spettatore che fosse); poi, ai tempi di
Raimi, lo spettatore fu maggiormente coinvolto, serviva il suo tacito accordo,
una sua maggiore condivisione.
Oggi, con una consapevolezza ancora superiore dei propri
mezzi, autori e produttori, sono divenuti maggiormente autoreferenziali, cioè
in sostanza sembra che si preoccupino molto meno di cosa possa dire o pensare
il grande pubblico. Quindi la progressione è stata: 1_il lettore/spettatore
ingenuo rimane estasiato e si beve ogni cosa; 2_lo spettatore competente deve
ed è complice; 3_il personaggio è così affermato che gli autori e la casa di
produzione si relazionano più tra di loro e con i fedelissimi che con il resto
della platea, che seguirà l’onda senza porsi troppi problemi. La cosa di per sé
non è assolutamente un limite, ma potrebbe diventarlo. Ma, tornando all’opera
in questione, a cosa si riferisce, insomma, questo ritorno a casa?
Riguarda, come è noto, il ritorno del personaggio
Spider-Man in seno alla Marvel, intesa nel senso cinematografico, ovvero
l’approdo dell’Uomo Ragno al Marvel
Cinematic Universe. I diritti dell’arrampicamuri
furono infatti acquistati dalla Sony, che ci ha fatto cinque film nell’arco di
12 anni; film che sono però fuori da quell’universo Marvel che rappresenta la
versione cinematografica della celebre continuity,
uno degli storici marchi di fabbrica della Casa
delle Idee. Ecco quindi qual è il significato del ritorno a casa di Peter
Parker, il suo ri-approdo in seno alla casa madre. In tutto questo gossip c’è
però una cosa davvero significativa: ad avere l’onore di nominare il film, a
renderlo riconoscibile, è un aspetto che non è importante per la stragrande
maggioranza degli spettatori, (ovvero quelli che pagano e a cui in
fin dei conti è diretta l’opera) che possono tranquillamente vivere ignorando
tutto ciò; e detta maggioranza lo farà, perché la portata dei film dei
super-eroi è immensamente superiore a quella dei comics da cui derivano. Questo
significa che tantissime persone vedono il film ma nulla sanno, se non in modo
generico, della vita editoriale del personaggio e dei suoi travagli tra le majors cinematografiche; e ancor meno
gliene importa. Ma questo ci dice, di conseguenza, che la celebrazione, già
evidenziata nel titolo, del ritorno alla casa madre dell’Uomo Ragno non è tanto
rivolta agli spettatori, ma agli addetti ai lavori (e al massimo ai fan più
sfegatati).
Tutto questo discorso non è fatto per puro spirito di curiosità ma perché ci dice anche che la voglia di riappropriarsi del personaggio,
palesata in questo modo, sembra genuina: è un'autocelebrazione che non sposta
probabilmente gli incassi ma dimostra una passione che possiamo azzardare sincera.
In un film che rientra in tutto e per tutto nel cosiddetto cinema commerciale, dove tutto sembra calcolato in modo speculativo, è un piccolo ma significativo
segnale di come, oltre agli interessi di bottega, alla Marvel abbiano sinceramente a
cuore anche il destino dei loro eroi. E questo è certamente un fatto molto
positivo.
Detto questo il film è avvincente, vivace e un po’ sbarazzino e,
sebbene sia una sorta di ulteriore re-boot,
non perde inutile tempo per le origini del personaggio, si smarca pesantemente
rispetto a molti canoni classici della serie (a fumetti e non), mentre azzecca
perfettamente lo spirito dell’eroe.
Zendaya
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