236_L'UOMO DELLA STRADA FA GIUSTIZIA Italia 1975; Regia di Umberto Lenzi.
Uscito meno di un mese dopo il francese Appuntamento con l’assassino di Gérard Pirès, L’uomo della strada fa giustizia di Umberto Lenzi, ne condivide
molti aspetti, tra cui il riferimento comune, ovvero quel Il giustiziere della notte di Michael Winner con Charles Bronson
nelle vesti del protagonista, distribuito nelle sale l’anno precedente. In
sostanza si tratta di film che potrebbero essere accomunati, se non
dall’appartenenza ad un genere vero e proprio, ad una corrente, quella della vendetta personale, che prese piede
negli anni 70, quando la Giustizia non riusciva
in alcun modo a dare risposte concrete al disordine sociale, anche per via
delle pastoie burocratiche e legali che imbrigliavano le varie forze di
polizia. Si deve parlare di vendetta
personale, come del resto fa notare anche Vera (la bella Luciana Paluzzi) al marito
Davide Vannucchi (un inespressivo Henry Silva), nonostante in genere questi
film facciano riferimento ad una forma privata di giustizia, come si può intuire già dal titolo del film di Lenzi o
dalla definizione di giustiziere per
il personaggio di Charles Bronson in quello che è considerato una sorta di archetipo del filone. Ma è una teoria
che non regge in quanto, in una società civile, la giustizia non può essere
privata in nessun caso: se il testo americano di Winner sembra però propenso a
credere a questa soluzione per il problema sociale dilagante, in Europa la cosa
non sembra così scontata. Certo, la voglia di dare personalmente una sistemata
alle evidenti magagne sociali c’era anche da noi, e il fascino che debba essere
una sistemata energica, violenta, è lampante: ma sia il film francese di Pirès,
che quello italiano di Lenzi sottolineano i rischi connessi ad una simile
strategia.
E quello più grosso è che il giustiziere in questione prenda un
granchio e vada a punire le persone sbagliate, cosa che capita puntualmente in
tutti e due i film europei. In entrambi i casi i registi si rivelano piuttosto
indulgenti, con Vannucchi che va a fare il paio con il personaggio di
Trintignant di Appuntamento con
l’assassino in fatto di impunità, che nella realtà sarebbe cosa assai poco
probabile. D’accordo che ad andarci di mezzo, in luogo dei veri criminali
responsabili della morte gratuita della figlioletta del protagonista (nel caso
di L’uomo della strada fa giustizia),
sono altri malviventi, ma un far west come quello che si vede nel casolare sulla via di Tradate, in Italia non
sarebbe mai tollerato.
E’ probabile che in questi film ci sia un tentativo di
soddisfare differenti esigenze sociali: dare sfogo, sullo schermo, alla rabbia
della popolazione che subisce la dilagante violenza; cercare di far capire la
frustrazione delle forze di polizia impotenti di fronte a tali situazioni e,
attraverso gli errori di mira
nell’opera dei giustizieri, scoraggiare derive violente da parte dei cittadini.
Sebbene è più evidente il primo passaggio, e quindi questi film siano stati in
genere tacciati di un certo populismo
fascitoide, l’accondiscendenza con cui i funzionari di polizia accomodano
lo sfogo violento dell’uomo della strada è un preciso segnale per non mostrare le forze di polizia come nemiche della
popolazione e quindi ancora degne di fiducia. Al tempo stesso, gli sbagli, che
nei due film vengono effettivamente troppo indulgentemente tollerati, sono
comunque un monito per gli spettatori, forse un po’ paternalistico, ma certamente
esplicito: la giustizia privata,
qualora vi possa sembrare anche giusta, vi condurrà in errore. In definitiva, sebbene
si tratti quindi di un’opera che, come altre, cavalca la moda dei giustizieri
privati, L’uomo della strada fa giustizia cerca, a modo suo, di ricondurre questo diffuso sentimento d’insofferenza nei
sentieri istituzionali di fiducia nelle forze preposte all’ordine pubblico.
Il
che, per un anarchico dichiarato come Lenzi, sarebbe davvero un fatto
singolare; ma, in quest’ottica, è una conferma anche l’inespressiva maschera del
protagonista scelto per il suo giustiziere
della strada, (Henry Silva, l’uomo con una sola espressione) certamente
adatto al ruolo di duro ma che, per via della scarsa emotività trasmessa, non
consente nemmeno una grande immedesimazione da parte dello spettatore. Quello
che rimane è, quindi, un’opera fortemente stilizzata, simbolica, più che
realistica; a rendere credibile la vicenda è perciò l’ambientazione, nel caso
del film di Lenzi una Milano riconoscibilissima in moltissimi passaggi.
E il
piatto forte del film, in questo senso, sono gli inseguimenti dove, oltre alle location, si ergono a protagoniste le
automobili, vere e proprie star della
nostra vita di tutti i giorni e qui superbe nelle furibonde rincorse. Vannucchi
conduce prima una mitica Fiat 125,
che alcuni centauri in sella a motociclette Kawasaki
(che sembrano gli stessi del già citato Appuntamento
con l’assassino) malauguratamente distruggono
e, in seguito, una altrettanto apprezzabile Ford
Taunus.
Luciana Paluzzi
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