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mercoledì 6 giugno 2018

IL LABIRINTO

158_IL LABIRINTO (The Maze). Stati Uniti1953;  Regia di William Cameron Menzies.

Il labirinto è un prodotto che viene spesso sbrigativamente archiviato come un mediocre esempio di quei B-Movie che, negli anni ’50, affollavano gli schermi americani, in genere realizzati per meri scopi commerciali. E probabilmente l’analisi potrebbe anche essere vicina al vero; ma è anche innegabile che, ai nostri occhi, questi film possiedono comunque un certo fascino, un po’ naif, d’accordo ma, vista la genuina ingenuità, viene spontaneo guardarli con simpatia. E poi anche questo Il labirinto, come già altri suoi coevi film di genere fantastico, qualche freccia al suo arco c’è l’ha. Innanzitutto è opportuno definirlo come appartenente al genere fantastico perché rimane in bilico tra le due maggiori correnti cinematografiche, diciamo così, meno realistiche: l’horror e la fantascienza. La storia ha uno spunto fantascientifico (l’origine del mostro) ma poi l’ambientazione è tipicamente quella di un film dell’orrore. Che è anche quella che, a dir la verità, funziona meglio: l’incipit del lungometraggio, sebbene stereotipato sui canoni del genere, è inquietante e la tensione regge molto bene. Si potrebbe pensare ad una storia di vampiri (i pipistrelli) o di fantasmi (il castello dalla fama sinistra); invece l’origine dell’inquietudine è il mostro, anche se, volendo ben vedere, fin qui saremmo ancora pienamente nel campo horrorifico. In realtà la spiegazione scientifica per l’origine della bizzarra creatura protagonista della storia rivela la matrice illuminista dell’opera di Menzies che, oltre a dare una motivazione più o meno plausibile (se non proprio credibile) ne smorza, volutamente, il lato inquietante. 
Nel finale viene infatti sostanzialmente detto che non c’è nulla di terrorizzante nel mostro, che altri non è che un povero disgraziato, un diverso: in questo senso Il labirinto si può considerare uno dei precursori di quei film di fantascienza del dopoguerra che concretizzavano sullo schermo, in modo più consapevole, la paura del diverso (spesso con riferimento oltrecortina, ovvero ai russi nella Guerra Fredda). Quello di James Cameron Menzies, in quest’ottica, diventa così un film interessante, dettato da un buon intuito, e del resto il regista aveva già realizzato pellicole come La vita futura e Gli invasori spaziali, non capolavori, certo, ma comunque opere degne di nota. Vero è che nella seconda parte il film perda parte della sua efficacia, ma nel complesso si tratta di una pellicola simpaticamente apprezzabile. 





Veronica Hurst





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