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martedì 26 giugno 2018

L'ULTIMA RIVA

168_L'ULTIMA RIVA (The river's edge). Stati Uniti, 1957;  Regia di Allan Dwan.

Diretto dal poco conosciuto Allan Dawn (tra i tantissimi suoi film si può ricordare almeno Jiwo Jima, deserto di fuoco con John Wayne), L’ultima riva è certamente un’opera interessante, sebbene fortemente penalizzata da alcuni aspetti formali non adeguati. E dire che il lungometraggio ha molte caratteristiche per essere un autentico film di culto: si tratta di un melò fiammeggiante, incendiato dalla presenza di una Debra Paget (nei panni dell’ambigua Meg) convinta, forse anche oltre le proprie reali possibilità artistiche (più che fisiche), di rendere sullo schermo il ruolo della diva, e mentre Anthony Quinn (Ben) e Ray Milland (Nardo) se la contendono, la storia scivola sul terreno western ma con caratteristiche di quei noir esotici che si svolgevano al di fuori delle classiche ambientazioni metropolitane. La vicenda ha luogo, intorno a quegli stessi anni cinquanta, nel sudovest americano, ai confini con il Messico; qui viene messo in campo il classico triangolo amoroso melodrammatico ma, rispetto alla classica impostazione, si può notare come i tre componenti abbiano tutti ruoli di forte ambiguità. Se Meg, (ovvero la donna del trio, tipicamente l’elemento che, nel noir, conduce alla rovina il personaggio protagonista) già stata redenta una volta da Ben, l’uomo che l’ha sposata, mostra, nel corso della storia, qualche cedimento morale, anche il marito, che interpreta il ruolo dell’onesto uomo di campagna, si rivela sempre un po’ troppo influenzabile dalla possibilità di prendere possesso del denaro sporco della vicenda.

Ancora più interessante la figura di Nardo, criminale incallito che, per amore di Meg (sebbene in precedenza abbia provato anche ad eliminarla) finisce per perdere tutto (compreso la vita) proprio quando era riuscito ad espatriare con il grosso del malloppo. I personaggi sono quindi molto ben caratterizzati proprio nella complessità dei loro comportamenti: i due uomini sono, almeno nei momenti critici, governati dall’amore per la donna, e non sempre si comportano in un modo che appare logico allo spettatore. Ma l’atteggiamento di Ben, troppo arrendevole alle pretese di Nardo, trova poi spiegazione nel tentativo di riconquistare, alla fine di tutto, la moglie; dal canto suo, se Nardo appare molto più cinico, è vero che, nell’incipit, con il bottino già in valigia, torna a riprendersi Meg e, nel finale, pur di vederla sopravvivere (anche nelle braccia dell’altro) mette a rischio la sua fuga. Nemmeno la donna è un elemento totalmente negativo, sebbene non manchino i momenti in cui il suo atteggiamento è opportunistico; ma nel complesso, anche lei come gli altri due membri del triangolo amoroso, compie un significativo percorso evolutivo in senso completamente positivo. Dawn è bravo, e padroneggia bene le riprese ma le ricostruzioni artificiose di troppe scene non convincono, e si fatica ad accettarle anche in una pellicola un po’ sopra le righe come questa e che, nella stilizzazione estetica anche eccessiva, ha uno dei suoi tratti distintivi.


Purtroppo non convincono neanche alcune scene di azione (anche queste, volutamente enfatizzate) e, soprattutto, qualche passaggio superficiale nella sceneggiatura: ad esempio quando Ben arriva all’hotel e parcheggia ma non si vede l’auto di Nardo, che è arrivato poco prima e non se n’è ancora andato. Non è un passaggio secondario, visto che Ben sta cercando di impedire alla moglie di fuggire con l’ex amante e quindi l’attenzione è posta esattamente sui veicoli dei protagonisti e sulla tempistica dei loro movimenti. Può anche essere che un simile errore sia legato alle fasi del montaggio, e non tanto alla sceneggiatura, ma da un film hollywoodiano è comunque un’incongruenza che non si può accettare.

Peccato, perché scenari davvero troppo posticci e superficialità di questo tipo, finiscono per tarpare le ali a quello che avrebbe potuto essere un piccolo gioiellino.
Nel finale, si scopre che il film ha una trama circolare, perché le cartacce che sembrano essere portate dal torrente che è ripreso durante i titoli di testa, in realtà non sono altro che i bigliettoni del bottino di Nardo, che proprio in quel corso d’acqua si perdono alla fine del lungometraggio. Concetto circolare ribadito anche dal ritorno del tesoro (in questo caso in forma di banconote) al fiume, dal quale in tantissimi altri casi (cinematografici e non) è invece stato cavato l’oro; ma anche, in modo ben più esplicito e importante, dal ritorno di Meg  tra le braccia di Ben.

Soltanto Nardo, nel momento in cui decide di andare a cercare soccorso per Meg e Ben, devia non solo dalla possibile ricca e agiata salvezza, ma anche dal suo corso predestinato, perdendo così la vita ma, al contempo, riscattandola davvero all’ultima riva.





Debra Paget











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