168_L'ULTIMA RIVA (The river's edge). Stati Uniti, 1957; Regia di Allan Dwan.
Diretto dal poco conosciuto
Allan Dawn (tra i tantissimi suoi film si può ricordare almeno Jiwo
Jima, deserto di fuoco con John Wayne), L’ultima riva è
certamente un’opera interessante, sebbene fortemente penalizzata da alcuni
aspetti formali non adeguati. E dire che il lungometraggio ha
molte caratteristiche per essere un autentico film di culto: si tratta di
un melò fiammeggiante, incendiato dalla presenza di una Debra
Paget (nei panni dell’ambigua Meg) convinta, forse anche oltre le proprie reali
possibilità artistiche (più che fisiche), di rendere sullo schermo il ruolo
della diva, e mentre Anthony Quinn (Ben) e Ray Milland (Nardo) se la
contendono, la storia scivola sul terreno western ma con
caratteristiche di quei noir esotici che si svolgevano al di
fuori delle classiche ambientazioni metropolitane. La vicenda ha luogo, intorno
a quegli stessi anni cinquanta, nel sudovest americano, ai confini con il
Messico; qui viene messo in campo il classico triangolo amoroso melodrammatico
ma, rispetto alla classica impostazione, si può notare come i tre componenti
abbiano tutti ruoli di forte ambiguità. Se Meg, (ovvero la donna del trio,
tipicamente l’elemento che, nel noir, conduce alla rovina il personaggio
protagonista) già stata redenta una volta da Ben, l’uomo che l’ha sposata,
mostra, nel corso della storia, qualche cedimento morale, anche il marito, che
interpreta il ruolo dell’onesto uomo di campagna, si rivela sempre un po’ troppo
influenzabile dalla possibilità di prendere possesso del denaro sporco della vicenda.
Ancora più interessante la figura di Nardo, criminale incallito che, per amore di Meg (sebbene in precedenza abbia provato anche ad eliminarla) finisce per perdere tutto (compreso la vita) proprio quando era riuscito ad espatriare con il grosso del malloppo. I personaggi sono quindi molto ben caratterizzati proprio nella complessità dei loro comportamenti: i due uomini sono, almeno nei momenti critici, governati dall’amore per la donna, e non sempre si comportano in un modo che appare logico allo spettatore. Ma l’atteggiamento di Ben, troppo arrendevole alle pretese di Nardo, trova poi spiegazione nel tentativo di riconquistare, alla fine di tutto, la moglie; dal canto suo, se Nardo appare molto più cinico, è vero che, nell’incipit, con il bottino già in valigia, torna a riprendersi Meg e, nel finale, pur di vederla sopravvivere (anche nelle braccia dell’altro) mette a rischio la sua fuga. Nemmeno la donna è un elemento totalmente negativo, sebbene non manchino i momenti in cui il suo atteggiamento è opportunistico; ma nel complesso, anche lei come gli altri due membri del triangolo amoroso, compie un significativo percorso evolutivo in senso completamente positivo. Dawn è bravo, e padroneggia bene le riprese ma le ricostruzioni artificiose di troppe scene non convincono, e si fatica ad accettarle anche in una pellicola un po’ sopra le righe come questa e che, nella stilizzazione estetica anche eccessiva, ha uno dei suoi tratti distintivi.
Purtroppo non convincono neanche alcune scene di azione (anche queste, volutamente enfatizzate) e, soprattutto, qualche passaggio superficiale nella sceneggiatura: ad esempio quando Ben arriva all’hotel e parcheggia ma non si vede l’auto di Nardo, che è arrivato poco prima e non se n’è ancora andato. Non è un passaggio secondario, visto che Ben sta cercando di impedire alla moglie di fuggire con l’ex amante e quindi l’attenzione è posta esattamente sui veicoli dei protagonisti e sulla tempistica dei loro movimenti. Può anche essere che un simile errore sia legato alle fasi del montaggio, e non tanto alla sceneggiatura, ma da un film hollywoodiano è comunque un’incongruenza che non si può accettare.
Ancora più interessante la figura di Nardo, criminale incallito che, per amore di Meg (sebbene in precedenza abbia provato anche ad eliminarla) finisce per perdere tutto (compreso la vita) proprio quando era riuscito ad espatriare con il grosso del malloppo. I personaggi sono quindi molto ben caratterizzati proprio nella complessità dei loro comportamenti: i due uomini sono, almeno nei momenti critici, governati dall’amore per la donna, e non sempre si comportano in un modo che appare logico allo spettatore. Ma l’atteggiamento di Ben, troppo arrendevole alle pretese di Nardo, trova poi spiegazione nel tentativo di riconquistare, alla fine di tutto, la moglie; dal canto suo, se Nardo appare molto più cinico, è vero che, nell’incipit, con il bottino già in valigia, torna a riprendersi Meg e, nel finale, pur di vederla sopravvivere (anche nelle braccia dell’altro) mette a rischio la sua fuga. Nemmeno la donna è un elemento totalmente negativo, sebbene non manchino i momenti in cui il suo atteggiamento è opportunistico; ma nel complesso, anche lei come gli altri due membri del triangolo amoroso, compie un significativo percorso evolutivo in senso completamente positivo. Dawn è bravo, e padroneggia bene le riprese ma le ricostruzioni artificiose di troppe scene non convincono, e si fatica ad accettarle anche in una pellicola un po’ sopra le righe come questa e che, nella stilizzazione estetica anche eccessiva, ha uno dei suoi tratti distintivi.
Purtroppo non convincono neanche alcune scene di azione (anche queste, volutamente enfatizzate) e, soprattutto, qualche passaggio superficiale nella sceneggiatura: ad esempio quando Ben arriva all’hotel e parcheggia ma non si vede l’auto di Nardo, che è arrivato poco prima e non se n’è ancora andato. Non è un passaggio secondario, visto che Ben sta cercando di impedire alla moglie di fuggire con l’ex amante e quindi l’attenzione è posta esattamente sui veicoli dei protagonisti e sulla tempistica dei loro movimenti. Può anche essere che un simile errore sia legato alle fasi del montaggio, e non tanto alla sceneggiatura, ma da un film hollywoodiano è comunque un’incongruenza che non si può accettare.
Peccato,
perché scenari davvero troppo posticci e superficialità di questo tipo,
finiscono per tarpare le ali a quello che avrebbe potuto essere un piccolo
gioiellino.
Nel
finale, si scopre che il film ha una trama circolare, perché le cartacce che
sembrano essere portate dal torrente che è ripreso durante i titoli di testa,
in realtà non sono altro che i bigliettoni del bottino di Nardo, che proprio in
quel corso d’acqua si perdono alla fine del lungometraggio. Concetto circolare
ribadito anche dal ritorno del tesoro (in questo caso in forma di banconote) al
fiume, dal quale in tantissimi altri casi (cinematografici e non) è invece
stato cavato l’oro; ma anche, in modo ben più esplicito e importante, dal
ritorno di Meg tra le braccia di Ben.
Soltanto
Nardo, nel momento in cui decide di andare a cercare soccorso per Meg e Ben,
devia non solo dalla possibile ricca e agiata salvezza, ma anche dal suo corso
predestinato, perdendo così la vita ma, al contempo, riscattandola davvero all’ultima riva.
Debra Paget
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