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giovedì 28 giugno 2018

THE MISSING

169_THE MISSING Stati Uniti, 2003;  Regia di Ron Howard.

Ron Howard, regista tipicamente mainstream, si cimenta con il western dopo Cuori ribelli, la precedente incursione nel genere risalente ad una decina di anni prima. The missing è un film strano, nel quale si prova quasi una sensazione di vertigine, alimentata dalla macchina da presa in semicostante movimento e che si concede spesso escursioni aeree. D’altronde la storia ci racconta di una difficoltà da parte dei protagonisti, più o meno tutti, a capire da che parte stare: indiani che si arruolano nell’esercito tradendo la loro gente, e poi disertano tradendo anche la controparte, sceriffi che non inseguono i banditi, soldati che non inseguono i rinnegati, donne e bambine che invece di stare a casa se ne vanno all’inseguimento di una banda di predoni rapitori di ragazze. In effetti, il film si apre in modo spiazzante, con il southwest americano, visto in tanti film western assolato e torrido, coperto da un manto di neve con il bestiame che rischia di morire dal freddo. Al centro della scena Cate Blanchett, una donna di frontiera ancora bella ma indurita a tal punto da essere quasi antipatica, e Tommy Lee Jones, un attore che se fosse nato una quarantina di anni prima sarebbe diventato un habitué del genere western. In ogni caso, vedere Lee Jones interpretare Samuel/ Chaa-duu-ba-its-iidan (che nella lingua apache dovrebbe voler dire qualcosa come cazzo sfortunato), ovvero un bianco rinnegato che ha vissuto con gli Apache abbandonando la famiglia, ma anni dopo abbandona anche gli indiani per tornare dalla figlia Maggie (la Blachett), vale da solo il prezzo del biglietto.

Tornando alla poco chiara situazione generale, se poi ci mettiamo che la suddetta figlia fa la guaritrice, in realtà con metodi rozzi ma scientifici, e che proverà sulla propria pelle l’efficacia della medicina indiana, abbiamo ulteriori conferme dello stato confusionale in cui versa il paese che Howard vuole mostrarci. E’ un film di incomprensioni, di equivoci, di ribaltamento di ruoli. Le ragazze rapite stanno per essere salvate da un indiano, ma si spaventano, vanificando il tentativo e facendo finir male il loro soccorritore. 

Tra Maggie e suo padre, non c’è dialogo né mai c’è stato: la donna, per conoscere meglio il padre, chiede informazioni ad un estraneo, indiano per la precisione. In pratica una donna bianca chiede che uomo fosse il proprio padre ad un Apache, e lo fa in spagnolo, che non è né la sua lingua né quella dell’interlocutore. Alla fine, Maggie troverà la forza di chiedere direttamente al padre il perché dell’abbandono ma, nel momento più commovente, chiuderà la questione con un “tanto non avrai il mio perdono”. Al che, giusto per rimarcare l’estrema difficoltà di dialogo, l’uomo ribatterà “Né io te lo chiedo”.Il film regge, visto che il regista conosce il suo mestiere, e finché sembra una sorta di moderno spaghetti-western in versione de-luxe, assolve il suo compito. Il finale, però, tradisce le ambizioni di Howard, che, purtroppo per lui, non è Michael Mann (tanto per fare un nome) e la chiusura di The Missing appare anni luce distante dalla solennità di L’ultimo dei Mohicani. Ecco, questo è il vero limite dell’opera, che è poi forse anche il limite dell’autore: gli ingredienti validi ci sono tutti, ma quando è il momento di dare la stoccata decisiva, manca la cifra autoriale e, in un genere come il western, quando si cerca di riportare in luce l’epica del cinema classico (o neo-classico) non si può mascherare il bluff. Ma, al netto della sensazione di incompiutezza finale, che peraltro rimarca la scarsa definizione dei ruoli dei protagonisti, il film, sebbene irrisolto, rimane godibile.
E allora il missing del titolo forse non è tanto la ragazza scomparsa, ma la mancanza di un vero cuore alla storia di questo film. Che forse è più acuto di quanto si possa pensare.
Che sia il cuore, che manchi all'America?





Cate Blanchett




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