160_SOLO: A STAR WARS STORY Stati Uniti 2018; Regia di Ron Howard.
Cercare di capire quali siano stati i motivi
dell’allontanamento di Phil Lord e Chris Miller dalla regia di Solo: A Star Wars Story può anche essere
inutile; in fondo, al di là delle dichiarazioni anonime di un attore o di
qualche voce di corridoio, rimane poco e, in ogni caso, non si potrà mai sapere
se il nuovo spin off della saga stellare
avrebbe potuto essere qualcosa di concretamente diverso. E soprattutto di
realmente coinvolgente, appassionante e magari anche un pizzico sorprendente.
Perché, spiace naturalmente dirlo, il nuovo film di Guerre Stellari, poi diretto da Ron Howard, scivola via ponderatamente spettacolare certo,
magari non proprio rutilante come un banale blockbuster
hollywoodiano di recente produzione, ma insomma. Niente di grave, per carità; si
tratta di un film divertente e godibile, ma niente, o poco più, di questo.
Quando invece, sotto sotto, da quanto ha preso le redini di Star Wars, la
produzione Disney ci stava già abituando meglio: soprattutto il precedente ASWS (acronimo per A Star War Story, ovvero i film slegati dalla continuity e che approfondiscono temi o personaggi della saga), Rogue One, aveva davvero destato
un’ottima impressione. Ron Howard è un bravo regista, abituato anche alle grandi
produzioni, ma spesso il suo approccio può risultare eccessivamente omologato,
troppo conforme alla buona norma
mainstream. Se, in qualche circostanza, questo aspetto può anche essere
apprezzabile (in fondo è una forma di umiltà), in questo specifico caso, questo
suo evitare personali e autoriali sovraesposizioni, è decisamente un rischio.
Perché Guerre
Stellari e, nel dettaglio, Han Solo, sono elementi troppo ingombranti e, se
non si possiede l’autorevolezza per saperli e volerli gestire con manico,
finiscono per occupare la scena con il peso del loro passato, schiacciando però
il possibile presente. Che è quello che accade a questo Solo: A Star Wars Story, in cui troviamo più o meno quello che ci
si poteva aspettare, nel senso di fatti e avvenimenti che trovassero poi giustificazione
nei film della saga successivi (riferendosi alla cronologia interna di Guerre Stellari, visto che questo è
sostanzialmente un prequel della
vecchia trilogia).
Se da un lato può anche essere divertente (a patto
di essere appassionati di Star Wars;
ma si può non esserlo?) trovare le citazioni e i rimandi, bisogna prepararsi al
prevedibile esame dei fan più talebani, che certamente troveranno possibili (o
anche impossibili) incongruenze, per una volta legittimati a farlo dalla stessa
regia (e produzione) che si è sostanzialmente messa su questo stesso piano
nella realizzazione dell’opera. Ecco, il vero peccato di questo film non è
l’occasione persa per osare un po’ di più; sicuro che la Disney ci riproverà ancora,
almeno finché il pubblico le darà corda.
Il vero rammarico è che, forse il primo vero film dal braccino corto della saga, il primo
episodio che tradisca cioè per troppa prudenza, ma forse addirittura per un
eccesso di timore riverenziale, quasi sacrale, alla figura del protagonista,
sia quello interamente dedicato proprio ad Han Solo, personaggio che della
sfrontatezza faceva una delle prerogative fondamentali del suo carisma. Ma è
anche vero che, proprio a questo proposito, forse il finale prova addirittura a
rimettere un po’ le cose in carreggiata su un piano più vasto.
La parabola discendente di Solo, in effetti, era cominciata
dal restyling di George Lucas ai suoi
vecchi film, con la celebre e discutibile svolta politically correct: la scena originale (del 1977) nel bar di Mos
Eisley era semplice ed efficace, e le giustificazioni del creatore in merito al
ritocco del ventennale (apportato nel 1997), non sono mai state troppo
convincenti. Han Solo sparava e non per primo, come recita invece lo slogan dei
nostalgici Han shot first: sparava
infatti solo lui e non il cacciatore di taglie Greedo, che veniva freddato dal
nostro eroe svelto di mano. Han Solo uccideva quindi a sangue freddo si, ma per
salvarsi la pelle. Che poi è quello che fa il giovane Han nel finale di Solo: A Star Wars Story, e quindi, oltre
alla citazione (sebbene la scena ricordi forse di più quella famosissima di
Indiana Jones che spara all’uomo armato di spada, del resto Indy era interpretato sempre da Harrison
Ford, lo storico Han Solo) ci si può
quindi leggere una sorta di ironica ripicca
da parte della produzione Disney ai danni di Lucas e delle sue convinzioni
riguardo al carattere del suo
eroe.
A pensarci bene, era dura ipotizzare che proprio la Disney invertisse questa
rotta; e invece…
Emilia Clarke
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