157_IL CONFORMISTA Italia, Francia, Germania Ovest, 1970; Regia di Bernardo Bertolucci.
Il conformista è un film di grande impatto visivo e dai
molteplici piani di lettura: ma è soprattutto un film italiano (sebbene la
produzione sia anche franco-tedesca). Volendo essere cattivi, la prima cosa che
ci dice dell'italianità della
pellicola di Bernardo Bertolucci è una certa fatica nello scorrere della trama. Il film, almeno in apparenza, è una vicenda di spionaggio, eppure il regista concede poco allo spettatore che si vuole
divertire con una storia godibile; forse solo la scena del bosco, nel finale, è
davvero coinvolgente alla stregua di un film americano. Ma il cinema italiano,
a meno che non sia una commedia, raramente vuole farci divertire; e Il conformista, che commedia non è di
sicuro, non fa eccezione. Niente da fare, il cinema italiano serio è un cinema impegnato: e anche su questo piano Bertolucci non smentisce
l'origine della sua opera. C'è una evidente critica al fascismo, che il cinema
italiano dal dopoguerra è antifascista quasi per definizione; e c'è anche una
critica alla borghesia, che il cinema di casa nostra è sempre di sinistra. Queste cose non sono certamente difetti ma nemmeno niente di originale, proprio
perché sono abituali della nostra cinematografia. Forse la cosa di cui Bertolucci può
essere maggiormente orgoglioso, a proposito di questo Il conformista, restando in tema di italianità, è la sontuosa bellezza formale delle
immagini. Spesso il cinema italiano si è dimenticato che l'Italia è il paese
delle meraviglie artistiche, ma non questa opera del regista emiliano.
Naturalmente la bellezza visiva delle immagini, delle scene, è piegata agli
scopi del regista, ad esempio nei maestosi spazi chiusi degli edifici fascisti,
che appaiono tanto imponenti quanto vuoti.
Ma il tema più interessante rimane quello intimo,
personale, e le tematiche sociali o politiche del film, ne sono più che altro
una emanazione. In fondo, sia il fascismo che la borghesia, non sono altro che
riflessi dell'incapacità dell'individuo di accettarsi, di accettare sé stesso e
tutti i propri limiti, le proprie diversità. Il rifiuto della consapevolezza
percorre tutto il film, e non solo riguardo alla omosessualità negata a sé
stesso dal protagonista. Nel tono quasi farsesco della pellicola ci sono i
passaggi di Italo, il cieco, che per definire un uomo normale, fa' l'esempio di
uno che si volta a guardare il sedere di una bella donna, scoprendo di non
essere il solo a farlo.
Il che detto da un non vedente potrebbe anche
essere autoironico; ma non quando lo stesso personaggio poco dopo dice convinto
"io non mi sbaglio mai"
mentre l'inquadratura mostra le scarpe che indossa, che sono spaiate. Poco più
che divagazioni, per quello che è un viaggio all'inferno intimo e personale per
Marcello Clerici, il protagonista del film interpretato da Jean-Louis Trintignant, accompagnato dal
personale Caronte, ovvero Gastone Moschin nei panni dell'agente speciale
Manganiello. Personaggio, questo, che è poco più che una macchietta; degno di un
fumetto comico da poche lire, come del resto altri nel film, valga per tutti la Giulia interpretata dalla
Sandrelli.
Personaggi farseschi, marionette, che sminuiscono l'aspetto
drammatico della trama del film, che non è l'argomento che interessa
Bertolucci. D’altra parte, la storia d'amore con lieto fine, la fuga in Svizzera
con Anna, è solo un sogno che Marcello racconta a Manganiello, il quale lo
liquida buttandola in burla, cantandoci sopra una canzone da due soldi. Che è
un po' quello che Bertolucci fa con la trama drammatica di questo film. Al
regista di Parma non interessa il lavoro che Marcello deve svolgere, la sua
missione per conto dei servizi segreti fascisti. E' un altro il percorso che il
protagonista deve fare, affrontando, anzi riaffrontando via via i propri
fantasmi, le umiliazioni ed esclusioni subite da bambino prima, dai compagni di
scuola, e poi da adulto. I suoi tentativi di dirsi e proclamarsi normale (l'adesione al fascismo, il matrimonio) non lo
salveranno: ad attenderlo, nella scena finale, c'è il suo personale inferno. Un
fuoco ardente di un falò da strada, le sbarre di una cancellata, a precludergli
idealmente ogni via di fuga, e li vicino un pederasta nudo, sdraiato su uno
squallido materasso, che suona una musica seducente. Poco prima, sotto il
colonnato, erano passati i compagni,
in massa, compatti, inneggiando ora bandiera
rossa ora l’Inno di Mameli per festeggiare la caduta del Fascismo. E per
dettare il nuovo corso del conformismo.
Stefania Sandrelli
Dominique Sanda
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