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lunedì 4 giugno 2018

IL CONFORMISTA

157_IL CONFORMISTA  Italia, Francia, Germania Ovest1970;  Regia di Bernardo Bertolucci.

Il conformista è un film di grande impatto visivo e dai molteplici piani di lettura: ma è soprattutto un film italiano (sebbene la produzione sia anche franco-tedesca). Volendo essere cattivi, la prima cosa che ci dice dell'italianità della pellicola di Bernardo Bertolucci è una certa fatica nello scorrere della trama. Il film, almeno in apparenza, è una vicenda di spionaggio, eppure il regista concede poco allo spettatore che si vuole divertire con una storia godibile; forse solo la scena del bosco, nel finale, è davvero coinvolgente alla stregua di un film americano. Ma il cinema italiano, a meno che non sia una commedia, raramente vuole farci divertire; e Il conformista, che commedia non è di sicuro, non fa eccezione. Niente da fare, il cinema italiano serio è un cinema impegnato: e anche su questo piano Bertolucci non smentisce l'origine della sua opera. C'è una evidente critica al fascismo, che il cinema italiano dal dopoguerra è antifascista quasi per definizione; e c'è anche una critica alla borghesia, che il cinema di casa nostra è sempre di sinistra. Queste cose non sono certamente difetti ma nemmeno niente di originale, proprio perché sono abituali della nostra cinematografia. Forse la cosa di cui Bertolucci può essere maggiormente orgoglioso, a proposito di questo Il conformista, restando in tema di italianità, è la sontuosa bellezza formale delle immagini. Spesso il cinema italiano si è dimenticato che l'Italia è il paese delle meraviglie artistiche, ma non questa opera del regista emiliano. Naturalmente la bellezza visiva delle immagini, delle scene, è piegata agli scopi del regista, ad esempio nei maestosi spazi chiusi degli edifici fascisti, che appaiono tanto imponenti quanto vuoti. 
Ma il tema più interessante rimane quello intimo, personale, e le tematiche sociali o politiche del film, ne sono più che altro una emanazione. In fondo, sia il fascismo che la borghesia, non sono altro che riflessi dell'incapacità dell'individuo di accettarsi, di accettare sé stesso e tutti i propri limiti, le proprie diversità. Il rifiuto della consapevolezza percorre tutto il film, e non solo riguardo alla omosessualità negata a sé stesso dal protagonista. Nel tono quasi farsesco della pellicola ci sono i passaggi di Italo, il cieco, che per definire un uomo normale, fa' l'esempio di uno che si volta a guardare il sedere di una bella donna, scoprendo di non essere il solo a farlo. 

Il che detto da un non vedente potrebbe anche essere autoironico; ma non quando lo stesso personaggio poco dopo dice convinto "io non mi sbaglio mai" mentre l'inquadratura mostra le scarpe che indossa, che sono spaiate. Poco più che divagazioni, per quello che è un viaggio all'inferno intimo e personale per Marcello Clerici, il protagonista del film interpretato da  Jean-Louis Trintignant, accompagnato dal personale Caronte, ovvero Gastone Moschin nei panni dell'agente speciale Manganiello. Personaggio, questo, che è poco più che una macchietta; degno di un fumetto comico da poche lire, come del resto altri nel film, valga per tutti la Giulia interpretata dalla Sandrelli.

Personaggi farseschi, marionette, che sminuiscono l'aspetto drammatico della trama del film, che non è l'argomento che interessa Bertolucci. D’altra parte, la storia d'amore con lieto fine, la fuga in Svizzera con Anna, è solo un sogno che Marcello racconta a Manganiello, il quale lo liquida buttandola in burla, cantandoci sopra una canzone da due soldi. Che è un po' quello che Bertolucci fa con la trama drammatica di questo film. Al regista di Parma non interessa il lavoro che Marcello deve svolgere, la sua missione per conto dei servizi segreti fascisti. E' un altro il percorso che il protagonista deve fare, affrontando, anzi riaffrontando via via i propri fantasmi, le umiliazioni ed esclusioni subite da bambino prima, dai compagni di scuola, e poi da adulto. I suoi tentativi di dirsi e proclamarsi normale (l'adesione al fascismo, il matrimonio)  non lo salveranno: ad attenderlo, nella scena finale, c'è il suo personale inferno. Un fuoco ardente di un falò da strada, le sbarre di una cancellata, a precludergli idealmente ogni via di fuga, e li vicino un pederasta nudo, sdraiato su uno squallido materasso, che suona una musica seducente. Poco prima, sotto il colonnato, erano passati i compagni, in massa, compatti, inneggiando ora bandiera rossa ora l’Inno di Mameli  per festeggiare la caduta del Fascismo. E per dettare il nuovo corso del conformismo.



Stefania Sandrelli



Dominique Sanda







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