166_JOE KIDD Stati Uniti, 1972; Regia di John Sturges.
Joe Kidd è un film della Malpaso, la casa di produzione di Clint Eastwood, che ne è anche
l’attore protagonista, quel Joe Kidd, appunto, a cui è intitolato il
lungometraggio. E’ quindi evidente che tutto ruoti intorno alla figura
dell’attore, ormai giunto ad essere una autentica icona di Hollywood. Nello
specifico del cinema western, si può azzardare che Clint Eastwood rappresenti
per il western crepuscolare quello
che il mitico John Wayne era per quello cosiddetto classico. Il regista di Joe
Kidd è il valido John Sturges, ovvero proprio colui che forse sancì la
nascita della fase crepuscolare del
genere, con I magnifici sette, ma in
questo specifico caso sembra limitarsi ad una direzione onestamente
professionale, lasciando campo libero all’istrionico attore. E Eastwood la
ribalta se la prende in modo evidente, occupando il centro della scena con fare
compiaciuto: del resto si tratta di un attore che ha visto la sua consacrazione
con gli spaghetti-western di Sergio
Leone, e quindi è naturale, per il suo personaggio,ormai divenuto una sorta di maschera abituale, atteggiarsi un po’ sopra le righe. Cosa che, peraltro,
Eastwood fa con innata classe, e che lo rende appunto un’icona del cinema; una
di quelle figure immediatamente riconoscibili pur passando da un film
all’altro. Il film in questione, Joe Kidd,
si inserisce nel filone del western
revisionista, una delle correnti più rilevanti del tardo-western, ovvero di quella rilettura cinematografica degli
eventi legati alla conquista del west che permetteva, al contempo, agli autori
una critica verso la politica imperialista
degli Stati Uniti tra gli anni ’60 e ’70. Se era d’abitudine, per questo tipo
di pellicole, riconsiderare le ragioni degli indiani condannando l’opera
invasiva dei coloni bianchi, in questo caso ci si spinge oltre.
Perché da sempre, anche ai tempi del cinema western
classico, la contrapposizione era tra Natura (rappresentata dai pellerossa) e Cultura (intesa come progresso, ovvero
la civiltà dei bianchi): gli indiani
avevano la capacità di vivere in armonia con la Natura , di contro i bianchi
erano ambasciatori di una civiltà più evoluta, più progredita e che reclamava le risorse naturali per un migliore
(nel senso di più redditizio) sfruttamento. Erano due modi diversi di intendere
la vita, e quindi difficilmente paragonabili: se gli indiani potevano vantare
le ragioni di essere precedentemente stanziati nelle terre contese, era anche evidente che il modo
in cui le gestivano lasciava il campo alle obiezioni opportunistiche degli invasori. Tutto
questo non c’è in Joe Kidd ma,
essendo un western del 1972, gli autori li considerano elementi
risaputi.
E quindi spiazzano completamente lo spettatore,
introducendo un’ulteriore variabile: i messicani. Sinola è un piccolo paese al
confine tra Messico e Stati Uniti, e i peones
messicani erano i vecchi proprietari terrieri; nel film si apprende che gli
americani hanno sottratto loro le proprietà con stratagemmi illegali come
incendiare i vecchi archivi dove erano tenuti i precedenti certificati di proprietà, che attribuivano appunto la stessa terra
ai messicani ivi residenti. Cade quindi anche il primato civile degli yankees, con il quale giustificavano, almeno a se
stessi, l’aver usurpato i terreni agli indiani; se i pellerossa non erano usi
appropriarsi della terra (e in quel senso si poteva intendere che essi la
lasciavano libera), questo non valeva per i messicani di questo lungometraggio che, al contrario, avevano operato con
i crismi della cultura burocratica di derivazione europea.
E, nonostante questo, vengono defraudati ugualmente
dagli americani, verso i quali la critica di questo contro-western risulta quindi particolarmente acuta. L’aspetto
giuridico della vicenda è rimarcato dalle scene nell’aula del tribunale: locale
che, nell’incipit del film, è il centro d’attrazione e nel quale l’intera
vicenda si chiude. La storia ha quindi una spiccata impronta politica (non
faziosa come altre dello stesso filone, ma comunque ben presente) eppure
Eastwood, sebbene mantenga costantemente il centro del ring, non sembra voler
farsi particolarmente coinvolgere da questi aspetti sociali, conservando,
almeno apparentemente intatta, la sua indole individualista. Ma il finale, nel
quale dalla sedia più importante del tribunale uccide a sangue freddo il
cattivo di turno, Frank Harlan (Robert Duvall), non lascia dubbi: Eastwood
incarna ancora il suo tipico
anti-eroe, quel Dirty Harry di Ispettore Callaghan il caso Scorpio è tuo!
per intenderci, giudice e boia allo stesso tempo. Ma a non tutte le ciambelle
il buco viene centrato e il mezzo sorriso, un po’ fuori luogo, con cui saluta
la morte del rivale, certifica che il cortocircuito tra spietato risolutore di
problemi e dispensatore di giustizia fatica, in questo caso, a funzionare al
meglio.
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