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domenica 27 marzo 2022

POCAHONTAS

993_POCAHONTAS . Stati Uniti 1995;  Regia di Mike Gabriel e Eric Goldberg.

Considerato erroneamente il punto di rottura del cosiddetto Rinascimento Disney (il fortunato periodo inaugurato da La Sirenetta che riportò negli anni 90 lo studio ai vertici artistici), Pocahontas è in realtà un assoluto capolavoro e forse proprio la vetta di questo clamoroso moto qualitativo. La forza dirompente di Pocahontas è intrinseca al soggetto e questo è un fatto che vale doppio, essendo sostanzialmente il primo classico disneyano ispirato ad un fatto reale. E che fatto: si parla di Storia con la S maiuscola. Per la verità, almeno in prima istanza quello preso a pretesto sembrerebbe un episodio rilevante soprattutto per gli americani e, del resto, la Disney è americana e ha da sempre incarnato lo spirito del paese. Ma, in realtà, in un certo ambito l’America rappresenta storicamente il mondo perché è lì che più che in qualunque altro posto gli invasori europei (che si sono sostanzialmente cacciati ovunque, il che rende appunto universale questo discorso) hanno dovuto, volenti o nolenti, rendersi conto di quanto avevano combinato nel corso della Storia. La vicenda di Pocahontas è poca roba, nell’arco della Storia dell’Umanità, è ovvio, e oltretutto il film Disney la sintetizza alla bisogna di un film per ragazzi. Ma nella sua semplicità è di una potenza devastante: una semplice ragazza si oppone alla legge della civilizzazione e del progresso, i nomi che sono stati ipocritamente dati alla conquista, e il suo discorso non fa una grinza perché la verità, nel caso specifico come in tutti gli altri esempi del genere, è assai semplice. La violenza e la sopraffazione, sotto qualunque forma, sono sbagliate. 

Nel caso in questione non si tratta di fare un’apologia dei nativi americani che, in modo del tutto onesto, sono mostrati con sguardo nel complesso maturo: hanno certamente dei pregi, nel loro vivere in equilibrio con la natura, ma la vicenda comincia con i Powhathan che rientrano da una missione di guerra contro una tribù rivale, tanto per dire. E se il Capo Powhathan è saggio e paterno, Kocoum, il valoro guerriero che chiede in sposa sua figlia Pocahontas, si lascia facilmente dominare dalla gelosia. Ma va detto che è un sentimento umanamente condivisibile vedendo una sventola come quella che lui ormai crede sia la sua promessa sposa flirtare con un altro. Insomma, gli indiani americani sono visti come uomini, né più né meno. E lo stesso, pur con qualche distinguo, si può fare per gli inglesi: John Smith ha qualche ingenuo pregiudizio ma tutto sommato si rende velocemente conto dell’errore, così come i componenti della ciurma. Ecco, tra gli inglesi (che rappresentano gli europei e, più in generale, il nostro sistema di vita) è da rilevare la figura del Governatore Radcliffe. 

Si è letto, tra le cause della scarsa considerazione che gode il film Pocahontas presso la critica, che a questo classico disneyano manchi un cattivo di spessore. Il che è vero se prendiamo Radcliffe come esempio in sé e per sé: ma il governatore incarna le derive più insane della nostra civiltà, alcune delle quali sono perfino alla base del Sogno Americano, che la Disney ha spesso celebrato. L’ambizione, l’arrivismo, la bramosia, la meschinità, sono tutte componenti che spesso hanno accompagnato la scalata al vertice (sociale, economico, politico, artistico, ecc.) di molti personaggi poi celebrati dalla nostra società come vincenti. Ecco, Radcliffe rende manifeste, in quanto cattivo da quattro soldi, queste tendenze che sono però diffuse e distribuite, probabilmente in diverse dosi, tra tutta quanta l’umanità. Certamente anche tra gli indiani, tanto per restare alla storia in questione, sia chiaro, e l’esempio della gelosia di Kocoum è lì a dimostrarcelo. Il punto su cui riflettere è come è possibile che la nostra civiltà abbia finito per produrre come suo tratto distintivo il privilegio anziché la meritocrazia e la gestione responsabile del potere, una comparazione che si può fare tra il governatore Radcliffe e Capo Powhathan ma che i politici di oggi alimentano quotidianamente se comparati con i grandi del passato. 

Questi aspetti costituiscono le coordinate intrinseche del racconto che poi è sviluppato in modo scarno ed essenziale, aiutato in questo da una eccellente stilizzazione della grafica. E se è vero che la storia raccontata è molto romantica lo è appunto in modo estremo, quasi simbolico, del resto la stilizzazione rende perfino astratto il paesaggio in cui si muovono i personaggi; tuttavia le scenografie sono magnifiche come tradizione Disney impone. Pocahontas è una principessa strepitosa, la cui bellezza originale riesce a coniugare il suo essere profondamente nobile e, allo stesso tempo, selvaggia. Termine da prendere nella sua accezione più autentica, ovvero come proveniente dalla selva, dalla natura; quindi qualcosa a cui tutti, in definitiva, apparteniamo. 

La differenza è che Pocahontas e i nativi americani in generale, ne sono parte in modo puro e non ancora corrotto dalle citate correnti che percorrono la nostra civiltà. Lo specchio di questo discorso è reso manifesto dagli spassosi duetti tra Meeko, il simpatico procione, vero e proprio mariuolo, e Perlin, il sofisticato cane di razza carlino di Radcliffe. La storia d’amore è veloce, si è detto della stilizzazione del racconto in tutti i sui aspetti, ma dirompente e al pubblico, considerato che si tratta di un classico Disney, è risparmiato il finale tragico che è, per la verità, in precedenza apparecchiato alla perfezione. La scelta di non far morire John Smith, oltre che rispettare almeno grosso modo le direttive sommarie degli avvenimenti storici (Smith venne effettivamente rimpatriato in Europa in seguito ad una ferita), ha però una duplice funzione narrativa. Se è vero che il racconto non finisce in tragedia è anche vero che il pathos accumulato dalle concitate scene conclusive rimane sul momento inevaso non liberando lo spettatore dall’emozione in modo improvviso. Abitualmente, nei finali melodrammatici, la tensione è fatta sgorgare copiosa da un colpo di scena spesso tragico: il pubblico piange e si dispera ma, passato il momento, risulta appagato dall’emozione provata. Non in Pocahontas: accompagnando la ragazza sul promontorio, al cospetto della vastità della natura americana e osservando il veliero che riporta John Smith in Europa, le emozioni si diluiscono ma non si esauriscono del tutto. Non è un finale tragico, in fondo John non muore, ma neppure lieto, visto che i due giovani amanti sono costretti alla separazione. Pocahontas vorrebbe seguire John, ma sa che il suo posto è (almeno per il momento) tra la sua gente. Ecco, in questa capacità di reggere questa sospensione emotiva, che è la prova più ardua a cui ci costringe una vita in cui tutto è provvisorio, c’è la grandezza di Pocahontas, l’ennesimo capolavoro Disney.       











Pocahontas 



1 commento:

  1. no, infatti..punto di rottura no di certo, poichè ne sono arrivati altri belli pure dopo...anzi ammetto che all'epoca il seguito, Pocahontas II, mi era piaciuto pure di più :)

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