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domenica 6 marzo 2022

OUR WORLD WAR: PALS

982_OUR WORLD WAR: PALS ; Regno Unito, 2014; regia di Ben Chanan.

Anche il secondo capitolo di Our World War, miniserie televisiva prodotta dalla BBC, si concentra su un tema specifico, come già il primo che raccontava del primissimo approccio inglese alla Grande Guerra. Anzi, in questo caso i temi in realtà qui sono due ma che ben si amalgamano e non disperdono l’attenzione dello spettatore, considerando che si tratta di un lungometraggio che non supera l’ora e quindi con un tempo limitato per approfondire gli sviluppi. L’argomento a cui fa riferimento il titolo dell’episodio, Pals, è originale e in genere poco visto sullo schermo. I Pals erano reparti composti da uomini che si erano arruolati insieme, amici, colleghi di lavoro, abitanti dello stesso quartiere: la promessa dell’esercito era di accomunare questi gruppi di conoscenti anche sotto le armi, dove non sarebbero stati divisi in modo arbitrario o a seconda di altre esigenze. Questo aspetto è inusuale e aiuta a comprendere parte di quell’euforia, a vederla oggi ben poco credibile, con cui molti giovani accettarono con entusiasmo di arruolarsi volontariamente. Ma la fratellanza con i commilitoni serve anche come base, almeno in linea di principio, per il secondo tema di questo Our World War - Pals, con il regista Ben Chanan che, con lo stile moderno di questa produzione, affronta anche uno dei temi più cari alla cinematografia inglese sull’argomento. Il film comincia con un colloquio notturno tra il soldato Paddy Kennedy (Luke Tittensor) e padre Brookes (Stuart Graham): il militare fatica a prendere sonno, è stato infatti comandato come membro del plotone d’esecuzione che, all’alba, fucilerà il soldato Hunt (Chris Mason). 

Il tema principale del racconto, quello della natura dei battaglioni noti appunto come Pals, offrirebbe il fianco ad una comprensibile ritrosia di Kennedy nel dover fucilare un suo amico di quartiere. Ma Hunt non è del reparto di Kennedy; cionondimeno è anch’egli giovanissimo e, soprattutto, aveva aiutato Kennedy quando questi era rimasto isolato nel bosco dopo un assalto finito male durante la Battaglia della Somme, nel 1916. Probabilmente la presenza di Hunt, che vagava da solo in un’area contesa, era sembrata sospetta anche a Kennedy: che il commilitone stesse cercando di tagliare la corda o quantomeno restare lontano dalla battaglia? Ma la stessa cosa poteva valere per lui, in quel momento. E, in effetti, a salvarlo da una possibile imputazione di diserzione era stato soltanto il foglio giustificativo che un ufficiale, incontrato in seguito, si era premurato di fornirgli prima di indirizzarlo verso il suo reparto. Se, quindi, Hunt fosse stato semplicemente sfortunato? 

Se da una parte la storia prevede un legame speciale tra i soldati, l’origine comune dei membri dei Pals, non è tanto a questa che si appella il regista per porci di fronte al dilemma di Kennedy. Padre Brookes non sembra avere dubbi, il disertore, anzi, il possibile disertore, va fucilato perché l’idea stessa della diserzione va sradicata prima che possa pericolosamente fare proseliti. Francamente la sua teoria non è mai soddisfacente, a maggior ragione provenendo da un ministro di una religione non violenta come quella cristiana. Alla fine Kennedy torna in branda, convinto a concedersi il giusto riposto. Ma non sono state le parole del prete, che cercavano, vanamente, di dare una forma ragionevole alle motivazioni della guerra a tranquillizzarlo. No, in guerra, l’unico modo per sopravvivere senza scontrarsi con la propria coscienza è quello di limitarsi a guardare il proprio specifico dovere. Essere una semplice rotella di un meccanismo può essere sopportabile, anche se il meccanismo produce qualcosa di aberrante, perché la cosa non riguarda la coscienza delle singole componenti. Il soldato Kennedy aveva capito il trucco di come funziona non tanto la guerra, ma l’intera società moderna. E ciò che sarà alla base di qualunque porcheria verrà perpetrata negli anni a venire, fino ai giorni nostri. E oltre. 


2 commenti:

  1. come dire "spengo il cervello e mi limito ad eseguire..." 🙁

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  2. Una prassi. Anche nella versione "spengo il cervello e la penso come mi si dice di pensare."

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