990_FRONTIERE SELVAGGE (Trail Street). Stati Uniti 1947; Regia di Ray Enright.
Far West: nella prigione del paese, sono asserragliati
l’eroe tutto d’un pezzo, il suo valido amico con qualche difficoltà
esistenziale e il vecchietto brontolone. I banditi stanno arrivando in massa
per liberare i detenuti; ah, e non va assolutamente dimenticata la ballerina
del saloon dalle splendide gambe. No, non siamo in un western classico di Howard Hawks. Frontiere selvagge è infatti un western
romantico, di quelli degli anni Quaranta, opera del bravo regista Ray
Enright. Oltre a ciò, Frontiere selvagge
è un gran bel film: gli manca giusto il valore simbolico tipico dei classici ma, se si può definire questa
un’occasione persa da parte del regista (ovvero inserire un suo titolo insieme
a quelli di John Ford, Anthony Mann, Howard Hawks eccetera), bisogna
riconoscere che il suo film si colloca come caposaldo indiscutibile nel filone
del citato western romantico, la
corrente precedente alla gloriosa golden
age. Il che non è affatto una soddisfazione da poco perché, mentre gli
autori più capaci avevano cominciato da tempo (Ford, con Ombre Rosse, addirittura dal 1939) ad utilizzare il western con intenti più alti, il genere, pur di conquistarsi i favori del pubblico, si era
concesso qualche pericolosa licenza poetica di troppo. Proprio
Masterson fu un personaggio storico, un uomo di legge: già questo utilizzo di una figura realmente vissuta ma stavolta dalla parte della legalità, sembra una risposta ai tantissimi esempi in cui gli outlaw del west, come Jesse James o i fratelli Dalton, erano protagonisti dei film del periodo. Scott, che pure non aveva una grande gamma espressiva, è perfetto nel ruolo di uomo tutto d’un pezzo che si incarica di sistemare in modo spiccio le questioni che animano la turbolenta Liberal. E qui Enright assesta un altro pesante colpo alla mitologia del Far West: la disputa è tra allevatori, i gloriosi cowboy, e agricoltori, i più prosaici coloni. E le ragioni, il regista lo mostra in modo impietoso, sono tutte dalla parte dei secondi. Insomma, Enright, mette al centro del suo film un uomo di legge e non un bandito e mostra senza sconti i soprusi che gli allevatori perpetravano ai danni dei poveri contadini. Fuorilegge e cowboy sono così sistemati. Ma la verve del regista non è ancora appagata: in un western che non contempla la presenza degli indiani, Enright trova lo spazio per mostrare un pacifico nativo che dà un’indicazione ad Allen (Robert Ryan, per una volta in un ruolo completamente positivo), personaggio che affianca Bat nella battaglia contro gli allevatori. Quello dell’indiano è un dettaglio da nulla, ininfluente nella trama; ma proprio il suo essere gratuito ci dice che è stato evidentemente inserito per un motivo altro rispetto alle esigenze narrative.
Come mostrare l’indole pacifica e collaborativa degli indiani, che non furono il problema principale del Far West. Se questo aspetto fa riferimento ad una questione storica, Enright ha ben presente anche il west in senso cinematografico: il confronto tra la vera protagonista del film, la ballerina del saloon Ruby (una deliziosa Anne Jeffreys) e Susan (Madge Merendith), la fidanzatina di Allen, presenta analogie a quello nel citato Ombre rosse, tra la fulgida Dallas, la prostituta interpretata da Claire Trevor, e la smunta Lucia/Luoise Platt. La presenza di due donne che vanno ad intessere le loro vicende sentimentali coinvolgendo anche il cattivo della storia, Logan Maury (Steve Brodie) certifica l’appartenenza di Frontiere selvagge al filone romantico del genere. Le donne, nei film western degli anni Quaranta, hanno sempre un ruolo piuttosto rilevante e, a testimonianza dell’importanza di Frontiere selvagge, in questo caso Ruby si prende la scena a discapito degli altri personaggi, meritandosi il titolo di assoluta protagonista.
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