989_I CACCIATORI DELL'ORO (The Spoilers). Stati Uniti 1942; Regia di Ray Enright.

Ad Hollywood dovevano pensare che la novella di Rex Beach The Spoilers fosse un testo davvero
valido visto che, prima de I cacciatori
dell’oro, erano stati già ben tre gli adattamenti cinematografici. Quello
di Ray Enright del 1942 è però davvero memorabile, non fosse altro che per gli
illustri interpreti: Marlene Dietrich, John Wayne e Randolph Scott! Arrivata
dalla Germania nel 1930, la
Dietrich si era ambientata alla grande, nel cinema americano,
dimostrando di sapersela cavare anche nei western, sebbene I cacciatori dell’oro ne fosse un esempio atipico, ambientato com’è
in Alaska. Comunque Marlene era in grado di piegare ai suoi stilemi anche un
genere dalle peculiarità così spiccate come quello ambientato alla frontiera, soprattutto se a dirigerla c’era
un regista come quello de I cacciatori
dell’oro. Ray Enright non era forse quello che si definisce un maestro di cinema, ma conosceva il suo
lavoro ed era particolarmente attento alla definizione delle figure femminili.
Anche nei suoi western, in cui l’aspetto esteriore di quell’attenzione si può
facilmente osservare nella cura del vestiario delle sue protagoniste. In questo
la Cherry Malotte
interpretata da Marlene ne è un esempio eclatante, con i suoi voluminosi e
ricercatissimi abiti mentre cammina sulle passerelle malmesse delle vie fangose
di Nome, la cittadina dove è ambientata la vicenda. Sebbene possa sembrare
strano, la sua sintonia con John Wayne era notevole: i due avevano già lavorato
insieme ne La taverna dei sette peccati
(1940, regia di Tay Garnett) e il Duca era in grado di lasciare una certa
egemonia alla Dietrich senza uscirne per questo sminuito.

Marlene era al
contempo una donna bellissima e la quintessenza insuperabile (e insuperata) di
fascino androgino e prova che la sua alchimia con un marcantonio come Wayne
fosse tuttavia perfetta è la scena in cui il monumentale attore attende la
compagna indossando uno dei suoi vistosi abiti. E’ la prima e unica volta in
cui John Wayne appare sullo schermo, seppur brevemente,
en travesti. Il terzo
vertice di un triangolo che ben difficilmente può definirsi melodrammatico è
Randolph Scott: nonostante possa sembrare oggi un po’ strano, l’attore
americano aveva al tempo già una discreta fama oltre che una notevole
esperienza nei generi più disparati e non solo legata ai western.
Ad esempio, nel
1940 aveva infatti avuto un ruolo importante nella leggera commedia americana
Le mie due mogli, (di Garson Kanin) e
questa sua attitudine ai modi eleganti gli riesce perfetta nel ruolo di
McNamara. Il losco funzionario dell’agenzia mineraria, dietro l’impeccabile
aspetto, è la mente che organizza una truffa, dall’apparenza legale, per
defraudare i legittimi proprietari delle miniere della zona. Scott ha la
presenza scenica anche fisica per reggere l’urto di Wayne, caso assai raro
nell’intera storia del cinema, e proverà ad inserirsi tra il personaggio del Duca
e quello di Marlene, approfittando dei loro battibecchi, ma senza troppa
fortuna. Se l’aitante attore poteva tenere testa al giovane Wayne, come
testimoniato dalla lunghissima scazzottata tra i due, (quasi 4 minuti) che
demolisce l’intero locale di Cherry, con la formidabile donna il nostro non
riesce nemmeno ad imbastire un confronto.
Il tema del racconto può sembrare un
po’ scivoloso, sebbene vada ricordata l’appartenenza de
I cacciatori dell’oro alla corrente
romantica del genere. I western degli anni 40, celebrando spesso le
gesta dei fuorilegge, avevano un rapporto difficile con
la Legge e l’ordine; d’altronde
raccontavano con nostalgia il periodo più selvaggio del
selvaggio west, quando la cosiddetta civiltà era ancora una
miraggio. Sebbene ambientato in Alaska, ai tempi della febbre dell’oro,
I cacciatori dell’oro può essere
assimilato ad un
western romantico:
siamo pur sempre alla frontiera, c’è una diffusa autonomia dalla legge e dalle
istituzioni e, a livello cinematografico, spicca la presenza femminile della
protagonista, il personaggio della Dietrich ovviamente, che domina tutto quanto
il lungometraggio. Enright, forte della sua esperienza come regista di commedie
musicali, trovò subito il registro adatto al
western romantico, in questo caso approfittando anche della
presenza di Helen (Margaret Lindsay), che prova vanamente a rivaleggiare con
Cherry Malotte, insediando Roy. Può essere che, inizialmente, l’intento di
Helen sia una sorta di strategia, ma poi si innamora sinceramente dell’uomo. Sulle
prime intenzioni sentimentali della ragazza può sorgere infatti qualche dubbio:
arrivata a Nome insieme allo zio Horace (Samuel S. Hind), che si spaccia per il
giudice atteso in città, è invece parte di una banda di truffatori insieme al
congiunto e a McNamara.
Il quadro, seppur con tutti i distinguo del caso, non è
molto edificante: in un paesino di frontiera arrivano presunti rappresentanti
della Legge il cui unico scopo è defraudare i legittimi proprietari delle
miniere: Inoltre, la disputa tra Roy, favorevole a seguire un percorso legale,
e il suo vecchio socio Al (Harrey Casey), che invece riceve i suddetti
rappresentanti della Giustizia a colpi
di fucile, vede il secondo avere ragione. In sostanza se ne ricava che a Nome
possono fare benissimo a meno della Legge; volendo, c’è anche una sorta di
ironica critica alla moderne forme istituzionali. La comunità ha infatti eletto
a sua regina il personaggio di Cherry, che ha una improbabile pettinatura che
ricorda una corona d’oro oltre ad un guardaroba degno di una sovrana. Quando
passa per le citate passerelle in legno di Nome gli uomini si buttano nel fango
della strada pur di scansarsi ed è riverita da tutti, sebbene mantenga un certo
distacco e non approfitti di questo suo enorme prestigio. La sua regalità
innata
risolve anche la questione
razziale, un altro dei temi cari ai western romantici, visto che con la sua
cameriera personale Idabelle (Marietta Canty), una corpulenta donna di colore,
ha una naturale sintonia. Nel film Idabelle ha il compito, assolto alla grande,
di alleggerire il tono della vicenda ed è protagonista di un gustoso sketch con
John Wayne quando questi si tinge il volto di nero. Anche questo, la sua
versione
di colore, è un altro
unicum nella carriera del Duca. E, a
proposito del personaggio di Wayne, partner di Cherry Malotte, non a caso si
chiama Roy (che è scritto in modo assai simile a
roi, re, in francese) e nel film McNamara , tra l’altro, fa un
esplicito riferimento in questo senso quando prova a
salire sul trono. Un po’ come dire che nell’ovest il carisma di
personaggi come Cherry Malotte o Roy poteva benissimo supplire alle
infrastrutture sociali, tra l’altro più permeabili alla corruzione e al
malaffare.
Avendo Marlene Dietrich a disposizione, è un cambio che non
si farebbe fatica ad accettare nemmeno oggi.
Marlene Dietrich
Margaret Lindsay
e vabbè, un passo alla volta :)...non poteva essere disinvolto con entrambi, sarebbe stato troppo destabilizzante :D ...forse più dei vestiti di Marlene...e delle strane apparizioni del Duca :P
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