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martedì 8 febbraio 2022

LE SCARPE AL SOLE

969_LE SCARPE AL SOLE ; Italia, 1935; regia di Marco Elter.

“Nel gergo degli alpini mettere le scarpe al sole significa morire in combattimento”. Con queste parole Paolo Monelli presentava il suo Le scarpe al sole, libro da cui è tratto l'omonimo film del 1935 di Marco Elter. Quello del Monelli era una sorta di diario di guerra e la mano in regia di Elter ne sottolinea l’autenticità alla base con una deriva quasi documentaristica: con lente panoramiche mostra gli spettacolari panorami dolomitici teatro della Grande Guerra e anche quando deve entrare nelle vicende private dei vari personaggi, lo fa sempre con discrezione. Sebbene la coralità della messa in scena, la mancanza di un vero protagonista, ricorda la scuola cinematografica francese, in Le scarpe al sole sono evidenti i debiti verso il Bergfilm, il cinema di montagna tedesco. Sarà che gli elementi in gioco non è che siano poi molti, l’aspra montagna, le trincee arroccate, la crudezza degli scontri, con la prima a giocare un ruolo di vero protagonista, ma si può anche riconoscere qualche similitudine con Montagne in fiamme (1931, regia di Trenker e Hartl) uno dei testi di riferimento nel sottogenere che spopolò in Germania tra le due guerre. In ogni caso, si tratta di parentela legittima all’interno della medesima corrente cinematografica. Il tema romantico, tipico dell’epoca, è testimoniato dalle due coppie di personaggi: Tony (Carlo Lodovici) è fidanzato con Maria (Nelly Corradi) mentre Cesco (Giorgio Covi) è da poco sposato con Anna (Isa Pola). Il film, in effetti, si apre proprio con il banchetto nuziale di Anna e Cesco mentre, dopo le tante peripezie belliche, il sarto che prende le misure per un elegante gilet nero a Tony, sotto lo sguardo innamorato di Maria, sembra chiudere il cerchio con l’imminente matrimonio della coppia di fidanzati. In sostanza si può leggere la speranza (poi andata vana) che la guerra che aveva infuocato l’Italia fosse solo una parentesi all’interno di una vita da dedicare con maggior impegno alle questioni romantiche. Ma, come detto, questa è più che altro una sorta di cornice, al film vero e proprio, che si concentra maggiormente sulle citate fasi belliche. Non manca qualche scappatoia sentimentale anche durante il corpo del racconto, ad esempio nelle licenze o quando Tony viene ferito ma ad alleggerire il tema bellico è più che altro la vena ironica ben interpretata dall’attempato Bepo (Camillo Pilotto). 


Il vecio si imbosca prontamente in cucina, dove si darà da fare con qualche gag umoristica ma, nel momento decisivo, farà con onore la sua parte fino in fondo. Proprio il suo sacrificio evidenzia la messa in scena simbolica di Elter: Bepo, nel tentativo di rigettare una bomba a mano nemica, rimane ucciso sulla cima del monte su cui i nostri erano arroccati. La grande croce posta sulla vetta viene danneggiata dallo scoppio in uno dei bracci orizzontali e, in questo modo, riprende la figura del povero Bepo, morto e mutilato in modo simile e in quella stessa circostanza. Il sacrificio del personaggio più umano, il simpaticone della truppa e padre di famiglia, è un duro colpo per l’ottimismo che tutto sommato pervade il film. Ma dimostra ulteriormente la profondità del lavoro di Elter. Al quale, indubbiamente, manca un po’ di ritmo, per potersi dire effettivamente davvero godibile allo spettatore odierno. Eppure il raffinato simbolismo, ad esempio con gli uomini reclutati nelle valli dolomitiche che si uniscono man mano alla truppa e mostrati con un montaggio alternato ai torrenti di montagna che confluiscono nel fiume, tiene sempre desta l’attenzione. Le scene delle battaglie sui monti, le scalate, gli agguatti, gli assalti con gli sci, le furibonde lotte, i bombardamenti: tutto il corredo bellico è di prim’ordine. Eppure il passaggio più bello e divertente è una scena di pace, con le donne del paese che lavano i panni al ruscello. Anna, la ragazza che si è sposata con Cesco ad inizio film, non sta dandosi da fare col bucato come le altre matrone accanto a lei e, guardando alcuni bambini che fanno il girotondo, esclama, “mi sento tanto stanca!” Al che, le tre donne si interrompono dallo strofinare all’unisono e la guardano sorprese, visto che, come detto, non sembrava affatto affannarsi troppo. Sul successivo primo piano di Anna, la voce di una altra paesana risolve il passaggio: “quando si sta tanto mal l’è un maschio!”
Quando il cinema italiano era capace di raccontare. 




Isa Pola 


Nelly Corradi 

4 commenti:

  1. C'è anche una canzone di un vecchio Festival di Sanremo... :)

    https://youtu.be/NcvADJQe05g

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  2. Mai sentita. Nemmeno col tuo link, perchè si apre solo la pubblicità del formaggio di kaori :). In ogni caso, per curiosità ho fatto una ricerca sul tubo ma non ne ho trovato traccia. Mah.

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  3. Ah, ok. Vecchio scarpone la conosco benissimo, ce l'aveva nel repertorio mio padre e gliel'ho sentita cantare un centinaio di volte.

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