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giovedì 17 febbraio 2022

I CINQUE DELL'ADAMELLO (repost)

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540_I CINQUE DELL'ADAMELLO ; Italia 1954. Regia di Pino Mercanti.

Curioso film che racconta di cinque alpini rimasti sepolti sotto una coltre di ghiaccio durante la Prima Guerra Mondiale, I cinque dell’Adamello di Pino Mercanti, riesce, pur con qualche fatica di troppo, a portare a casa un risultato più o meno dignitoso. Non è certo un capolavoro, è evidente, e nemmeno un film di particolare rilievo: ma Mercanti ci mette cura nell’imbastire la sua trama corale e anche se non possiede il ritmo narrativo per appassionare con quello lo spettatore, si aiuta in quel senso con i tanti intermezzi musicali. Le tante canzoni, nel film, più che far pendere il genere della pellicola verso il musical, cercano di alleggerire la narrazione restituendo, nel contempo, l’atmosfera del tempo, e quest’ultima cosa in modo certamente efficace. Possono invece poco per dare più verve al testo, che è anche gravato da alcuni orpelli stucchevoli come i ripetuti stacchi palesemente ridondanti (la bambola punita picchiandola sul lavandino che si dissolve nell’analogo movimento della bacchetta dell’ausiliario nella classe scolastica e via di questo passo). E va anche detto che il tema degli accennati struggenti passaggi musicali di fatto alimenta la vetusta retorica dell’epoca che, nel film, fa più di qualche capolino qua e là. Può essere che, nel 1954, con l’Italia che faticava ad uscire dal dopoguerra, si cercasse di recuperare lo spirito patriottico legato alla Grande Guerra, ma di fatto il ricorso ai temi d’annunziani fa correre più di un rischio al tenore del racconto. E’ un peccato, dal punto di vista cinematografico, perché si tratta di uno stile pesante ed eccessivo, ma non se consideriamo l’opera come una sorta di ‘documento storico’ su un certo modo italiano, retorico ed accorato, di ‘raccontare’ la patria. Questi aspetti, certamente presenti nel film, non lo permeano del tutto, perché la storia corale ha il vantaggio di avere tanti personaggi, in particolar modo i cinque alpini poi finiti sotto ghiaccio che, con la loro carica umana, chi più chi meno, alleggeriscono i toni e rendono anche divertente il racconto. La vicenda narrata è un lungo flashback, incorniciato dalle scene ambientate nei più recenti giorni in cui furono rinvenuti i poveri alpini. 

Tra gli interpreti Fausto Tozzi è Leonida, figlio di uno dei cinque alpini del titolo, un giornalista piuttosto scettico sull’opportunità di andare a recuperare le salme; teme che la retorica popolare e delle istituzioni sia in agguato, non sospettando il tiro mancino che gli riservano gli autori. Proprio mentre commenta con disappunto la preghiera rivolta dai suoi compaesani ai cinque caduti, che sono stati riseppelliti sotto una nuova valanga, il vento gli porta tra i piedi il cappello di uno di loro, che scopre essere quello di suo padre. Passaggio in tutta onestà davvero eccessivo ma, a quel punto, persino tollerabile. Il padre di Leonida, Renato, è l’alpino di idee rivoluzionarie interpretato da Franco Balducci; Mario Colli è Momi, il padre della bambina un po’ capricciosa; Dario Michelis è il d’annunziano Pinin; Walter Santesso è Piero, il ricco che vuole fare l’inventore; Attilio Bossio è Doschei, il contrabbandiere. 

Buone comparse, ma nessuno con il piglio giusto per prendersi sulle spalle la storia e dargli almeno un bello strappo: e così quello che rimane è un lavoro collettivo comunque poco incisivo. Volendo, meglio fanno le ragazze della storia: perlomeno tra loro c’è un’attrice di rango come Nadia Gray, a cui bastano pochi minuti nei panni di Magda, la vedette del varietà, per tratteggiare un personaggio affascinante, probabilmente il migliore del film. Certo, il Phisique du Role l’aiuta, questo è innegabile; ma, che ci volete fare, il cinema è un arte prevalentemente visiva. E poi anche Piera Simoni e Rita Rosa, pur non essendo interpreti particolarmente memorabili, se la cavano in modo dignitoso. Ma certo non sono questi gli elementi che possano salvare I cinque dell’Adamello. Nel complesso il film risulta interessante perché  riporta alla memoria un’idea patriottica diffusa ai tempi della Grande Guerra e che la situazione tragica del secondo dopoguerra aveva certamente disperso. Sul piano prettamente cinematografico, con gli elementi a disposizione, si poteva certamente far meglio, ma tant’è.       


Sonia Gray





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