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lunedì 14 febbraio 2022

LA MONTAGNA CHE ESPLODE

972_LA MONTAGNA CHE ESPLODE ; Italia, 2006; regia di Marco Rosi.

Docufiction particolarmente efficace, La montagna che esplode, diretta da Marco Rosi, ricostruisce la Guerra di Mine per la conquista del Monte Lagazuoi. In seguito alla dichiarazione di guerra italiana all’Impero Austroungarico, le truppe di Francesco Giuseppe avevano preferito arretrare per attestarsi sulle creste dolomitiche, in modo da poter controllare dall’alto il nemico. Gli italiani erano così penetrati nel territorio imperiale ma, una volta arrivati alle postazioni militari austriache, non avevano avuto possibilità di smuoverle da quelle roccaforti naturali. Nella zona di Cortina, la postazione in cima al Monte Lagazuoi era stata a lungo inespugnabile: poi, gli alpini, con una manovra ardita, erano riusciti ad inserirsi in una feritoia orizzontale situata a mezza costa della montagna, in quella che diverrà nota come Cengia Martini. La nuova postazione italiana ruppe il totale predominio austriaco nella guerra di posizione, che vedeva gli imperiali chiaramente favoriti; la cengia era una vera spina nel fianco del fronte nemico. La posizione era strategica perché posta a metà di un costone di roccia e, quindi, permetteva agli italiani di ripararsi nelle gallerie interne quando erano sotto il fuoco nemico, per ritornare in postazione una volta finito l’attacco. Gli austriaci, che continuavano ad occupare la cresta sopra la cengia, mantenevano una posizione di vantaggio, ma non ne avevano più, per così dire, l’esclusiva. Per eliminare la postazione nemica, decisero quindi di ricorrere all’uso di mine, facendo franare sopra gli italiani la pietra della montagna. Il tentativo non andò a buon fine e fu ripetuto, ma senza grandi risultati nemmeno questa seconda volta. 

La replica italiana fu, al contrario, molto efficace soprattutto grazie alla portata della mina predisposta dai sudditi di Vittorio Emanuele III. Il racconto filmico di Rosi, che alterna in modo dosato diverse tipologie di immagini, risulta chiaro e particolarmente avvincente. La trama è strettamente legata alla cronologia degli avvenimenti ma è sostenuta dalle missive dei tre protagonisti realmente vissuti che sono presi a campione di tutte le persone coinvolte nelle drammatiche vicende. A dar loro corpo, tre interpreti che animano la ricostruzione filmica: Valentino Pagliei (Luigi Panicali, soldato italiano), Claudio Gianesin (Hans Berger, il suo corrispettivo austriaco) e Veronika Valentin (Carolina Dimai, donna ampezzana). Le immagini di repertorio alimentano il grado di credibilità delle parole del narratore, al quale vengono in soccorso anche le splendide scene tratte da Montagne in fiamme, capolavoro di Luis Trenker e Karl Hartl del 1931, perfino migliori di quelle storiche per evocare la tragica atmosfera della situazione. Meno nostalgiche, ma certamente utili alla comprensione, le ricostruzioni in Computer Grafica dei tunnel che italiani e austriaci scavarono nel ventre della povera montagna. Stefano Illing, ingegnere e storico appassionato, prova a convincerci che la guerra di mine sulle Dolomiti fu la dimostrazione dell’ingegno umano, visto che le condizioni ambientali misero a dura prova i contendenti bellici. Ha certamente ragione Illing, perché la guerra è da sempre il più potente acceleratore dell’attività umana. Inoltre, i due eserciti si trovarono a combattere in un contesto inedito, visto che mai si erano combattuto battaglie simili in cima alle montagne, e in simili condizioni proibitive, in primis per il freddo e per la fame: tutto vero. Come è anche vero che il fascino della guerra, e della Grande Guerra in particolare, è magnetico, praticamente irresistibile. Ma che furono sostanzialmente energie mal riposte è sempre meglio ricordarlo. Vedi mai. 


2 commenti:

  1. sarà anche "il più potente acceleratore dell'attività umana", ma io ne faccio volentieri a meno!
    Mentre è più difficile fare a meno di un arto che proprio una di quelle mine può portare via... 😢

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