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lunedì 13 settembre 2021

I QUATTRO DELL'AVE MARIA

891_I QUATTRO DELL'AVE MARIA  Italia, 1968; Regia di Giuseppe Colizzi.

Secondo episodio della trilogia iniziale della coppia Terence Hill e Bud Spencer, rispettivamente nei panni di Cat Stevens e Hutch Bessy, I quattro dell’Ave Maria di Giuseppe Colizzi è uno spaghetti western di onesta fattura. Il film ha forse uno slancio minore rispetto al precedente Dio perdona…io no! e, sebbene in qualche passaggio persino l’espressione truce di Terence Hill cominci a vacillare, la vena ironica che pervade tutto il film non è sfruttata in modo congruo e consapevole dal duo. Colizzi, dal canto suo, si affida anche a Eli Wallach (Cacopoulos), un attore che è in grado di gestire sia il registro drammatico che quello comico, volendo in modo simultaneo. Del resto, al tempo, la chiave ironica era uno degli elementi portanti degli spaghetti-western, sebbene la trilogia di Colizzi, pur disponendo della coppia che poi porterà all’estremo questo tema, la lasci comunque un po’ troppo sottotraccia. Tra i due, Spencer è chiamato ad un ruolo che gli è comunque congeniale, sia che la vena ironica sia tanto esplicita o che lo sia meno; è un personaggio esagerato, almeno fisicamente, e quindi sopra le righe lo è già naturalmente, mentre Hill fatica molto di più. L’attore veneziano, infatti, non ha il carisma di Clint Eastwoood, (visto nello stesso ruolo nei film di Leone, a cui Hill si ispira come tutti gli interpreti principali degli spaghetti), non ha l’espressione seria e determinata di Franco Nero (Cat Stevens ricalca fedelmente il personaggio Django interpretato appunto da Nero), e nemmeno la simpatia spaccona di Giuliano Gemma e del suo Ringo. Terence Hill troverà poi, con Trinità, un personaggio indimenticabile e perfetto ma, prima di allora, era solo un attore che giocava in un ruolo non del tutto suo. Il punto è che Terence Hill è, volenti o nolenti, il personaggio principale de I quattro dell’Ave Maria, e quindi, nonostante il buon apporto di Spencer, Wallach e del bravo Brook Peters, il film non può certo dirsi perfettamente riuscito come scelta del cast e dei ruoli. Inoltre, Colizzi, pur girando con mestiere, si perde un po’ troppe volte il filo della narrazione, con passaggi poco funzionali e inerenti al tema del racconto; il che, in un’opera di 132 minuti, non è certo un vantaggio. 
Insomma, il film è certamente gradevole e divertente, ma si poteva fare meglio: Hill maggiormente centrato sul suo proprio registro e trama snellita e condensata. In quel caso, avremmo avuto un’opera certamente più funzionale.    











 

2 commenti:

  1. Hill un po' come Berardi... ai tempi gloriosi in versione western, poi spostatosi in campo sentimentale, Don Matteo alias Julia...

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