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mercoledì 1 settembre 2021

FORT SAGANNE

881_FORT SAGANNE . Francia, 1984; Regia di Alain Corneau.

I 154 minuti (180 nella versione integrale) di durata sono già un chiaro indizio che l’intenzione del regista Alain Corneau era di fare con Fort Saganne un film monumentale. E poi il cast, a partire dalla massiccia (in tutti i sensi) presenza di Gérard Depardieu (è Charles Saganne, il protagonista), sorta di versione moderna e francese del John Wayne che giganteggiava nei western degli anni cinquanta. Ma in Fort Saganne troviamo anche un mostro sacro come Philippe Noiret (Dubreuil) e la deliziosa Sophie Marceau (è Madeleine), fresca fresca del doppio successo de Il Tempo delle mele 1 e 2 (regie di Claude Pinoteau, 1980 e 1982). Per non parlare della meravigliosa Catherine Deneuve (Louise) colpevolmente tirata in ballo per quella che è una semplice scappatella, risvolti specifici a parte, di Saganne. Piccola parantesi: quando si scrittura la Deneuve si dovrebbe avere l’obbligo morale di tenerla sullo schermo il più a lungo possibile, che diamine. Tornando a Fort Saganne: e che dire delle location? I paesaggi del Sahara e i suoi abitanti sono mostrati in lungo e in largo, posti meravigliosi e inospitali, gente misteriosa ma affascinante. Un luogo certamente estremo sotto ogni aspetto. In effetti a vedere Depardieu ci si può chiedere se il suo dimagrimento, il suo apparire effettivamente patito come era il suo personaggio nel film, sia voluto o frutto delle fatiche delle riprese. In ogni caso l’impatto formale di Fort Saganne è notevole e verrebbe da fare facile il paragone con Lawrence d’Arabia (1962, di David Lean), visto anche certe affinità degli argomenti trattati. Ma il parallelo non regge perché Fort Saganne è soltanto un buon film che le roboanti premesse, citate sopra, finiscono per affossare anche più del dovuto. 

Non è infatti un’opera brutta o particolarmente mal riuscita, quella di Corneau, dal momento che formalmente riesce tutto sommato a tenersi in piedi. Ma la vena di incoerenza che la percorre ne mina la possibilità di riscuotere quanto seminato, soprattutto in tema di epicità: un’incoerenza che probabilmente è lo specchio del tempo, il film è del 1984 e il romanzo omonimo di Louis Gardel, da cui è tratto, del 1980. Ha senso (ma un senso che deve reggere la vena epica rincorsa da tutto quanto l’impianto dell’opera), ha senso, si diceva, che il protagonista, un contadino divenuto ufficiale, che subisce sulla sua pelle le discriminazioni di classe, si comporti poi con lo stesso ottuso pregiudizio nei confronti di Lucien (Florent Pagny), suo fratello minore? 

Lucien aveva una storia d'amore con una donna già compromessa che, quindi, avrebbe mandato all'aria la sua carriera militare. L’intransigenza di Charles nei confronti del fratello, aveva quindi causato la morte della donna in questione e questo fatto, inaccettabile per una giornalista progressista come Luoise, l'aveva allonanta dal Saganne. Questo per dire che gli autori si rendono conto della gravità del comportamento del protagonista, facendogli pagare lo scotto durissimo della perdita del grande amore. Ed è proprio questa consapevolezza che avrebbe avuto senso in un altro tipo di film; ma spacciarci per eroe epico, un personaggio che si macchia di una simile colpa, non ha una credibile giustificazione narrativa. E che sia lo stesso personaggio che tratta gli indigeni sahariani con rispetto, che non lascia morire da solo uno dei suoi uomini, anche se era solo un povero beduino, ed è venerato, appunto, come il Lawrence d’Arabia francese, alimenta ulteriormente la sensazione di incoerenza. Come è possibile che un uomo che ha una sensibilità umana tale da rischiare la vita semplicemente per tenere la mano nel nulla del deserto ad un povero soldato morente, sia lo stesso che non coglie che il suo ottuso atteggiamento nei confronti di Lucien è molto, troppo simile a quello che ha provato sulla sua pelle da parte dei genitori di Madeleine? 


In questa incoerenza di fondo c’è il limite più grande del film, il limite che non eleva Saganne a vero eroe nonostante la Legion d’Onore. Alla fine, oltre che per gli splendidi scenari sahariani, il film è memorabile perché ricorda il contributo di sangue chiesto alle truppe coloniche durante la Prima Guerra Mondiale. I poveri sudditi provenienti dalle colonie furono sostanzialmente usati come carne da macello e, stando alla lettera che un sottoposto africano chiede a Saganne di scrivergli, avendone piena coscienza:
“Signore, mi può scrivere una mia lettera prima che andiamo a farci massacrare?
Al capitano Marcheux, 3 ° deposito, Algeri.
Scriva esattamente quello che dico.
È mio onore riferirle ... che siamo nella merda profonda. Su 50 plotoni, dodici sono ancora in piedi. Tutti gli altri sono morti o feriti. Larbi ha perso un braccio. Big Mohammad ha perso un occhio. Ora capisco per cosa siamo qui: siamo qui per condividere la prima linea con i negri. Aggiungo che la saluto.
Mi lasci firmare. Grazie Signore.”
Grazie a te, soldato, per la preziosa testimonianza. 


Catherine Deneuve




Sophie Marceau



2 commenti:

  1. Ma infatti quel Gérard Depardieu è irriconoscibile! :-O
    Forse era così da giovane?
    Circa le contraddizioni del protagonista, quante possibilità ci sono che sia una cosa voluta per renderlo più sfaccettato? :)

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  2. Molte, ovviamente. Ma un personaggio sfaccettato in questo modo si scordi di passare come eroe come invece sembra l'intenzione del film. (E non funziona nemmeno come antieroe.)

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