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venerdì 17 settembre 2021

CAPITAN FRACASSA

893_CAPITAN FRACASSA Italia, 1958; Regia di Anton Giulio Majano.

Tra i primi romanzi di respiro internazionale che la Rai decise di mettere in scena coi suoi celeberrimi sceneggiati, ci fu Capitan Fracassa nel 1958. Il programma televisivo fu diretto da Anton Giulio Majano, mentre il soggetto era naturalmente il romanzo d’appendice Il Capitan Fracassa di Thèophile Gautier, un’opera che, nell’Ottocento, ebbe grande successo. L’idea di prendere spunto da un racconto già strutturato in puntate dev’essere parsa congeniale agli autori Rai, in quanto l’architettura dei romanzi d’appendice prevedeva una serie di vicende minori quasi autoconclusive che erano collegate poi da una trama portante. In questo senso, anche le necessarie sforbiciate al voluminoso testo d’origine da portare sullo schermo, divenivano quindi possibili senza compromettere il senso generale dell’opera. In effetti lo sceneggiato televisivo aveva molti punti in comune con questo tipo di letteratura, dovendo garantire una certa autonomia della puntata che si iscrivesse in quella più generale del film completo. Il dopoguerra, particolarmente lungo in Italia, non aveva ancora del tutto lasciato il posto all’emancipazione, anche nei gusti narrativi, legata al boom economico e così, un racconto di cappa e spada, ambientato nella Francia del XVII secolo, fu accolto con favore. Il romanticismo che furoreggiò negli anni 50 al cinema aveva infatti delle attinenze con le vicende del barone di Sigognac (uno smagliante Arnoldo Foà) che, quando lascia il castello in rovina per unirsi ad un carro di una compagnia di attori itineranti, assume appunto il nome d’arte di Capitan Fracassa. 

Il nobile decaduto presto si innamora di Isabella (una Lea Massari gradevolmente acerba), con un moto sentimentale che sembra smarcarsi dalla tradizione. Infatti, nel ‘600, non era abitudine per i nobili mischiarsi con chi avesse origini popolari; almeno non farlo con intenzioni serie. Perché approfittare dell’avvenenza delle attricette (nel film c’è anche Scilla Gabel nel ruolo di Zerbina), era pacifico: così su Isabella mette gli occhi anche il Duca di Vallombrosa (il grande Nando Gazzolo) che finirà naturalmente per scontrarsi con Capitan Fracassa. Riguardo alla Gabel, sorprende la carica sensuale che venne concessa al suo personaggio e stupisce anche di più come l’attrice nata a Rimini, pur avendo solo vent’anni, sembrasse più matura, non nel senso di invecchiata ma di più consapevole della propria avvenenza, rispetto alla venticinquenne Massari che, in questa occasione, ha davvero ha un fascino all’acqua di rose. Il film è divertente, la stoffa teatrale degli interpreti approfitta dei tanti tempi morti per emergere qua e là, mantenendo desta l’attenzione. Ubaldo Lay, Alberto Lupo, Warner Bentivegna, Leonardo Cortese, Margherita Bagni, Fiorella Mari e molti altri: il cast è, come d’abitudine per gli sceneggiati del tempo, di grande livello. Tra gli intrighi che si dipanano si finisce per scoprire che Isabella aveva origini aristocratiche: il che era un po’ il vizio europeo, in chiave narrativa, di tirare il sasso e nascondere la mano. Si mostra coraggiosamente che è giusto potersi amare anche tra appartenenti a classi sociali diverse ma, tanto per non sbagliare o avere problemi, prima della fine si risistema il tutto; nella maggioranza dei casi si scopre che l’eroe di umili origini era in realtà nobile o, come in questo caso, la ragazza popolana è anch’essa di sangue blu. 

In pratica ci si preoccupa di non smentire il dogma narrativo (l’eroe è nobile per definizione) che precedentemente si è cercato di mettere in discussione. Mentre sopraggiunge la conclusione lo sceneggiato esagera un po’ con le sdolcinature, e non sono nemmeno troppo funzionali gli inserti umoristici come quello coi quadri degli avi del barone che, come già negli episodi precedenti, si animano per commentare la situazione cercando di essere divertenti (senza riuscirci, in onestà). Il finale è naturalmente lieto, con il barone e Isabella che si apprestano a vivere serenamente insieme. Nel romanzo di Gautier addirittura il barone di Sigognac trova seppellito nel castello un tesoro con il quale può tornare a guardare con pari dignità economica sua moglie, ora divenuta nobile e ricca. Il ritrovamento è costruito con uno stratagemma divertente: Belzebù, il gatto di casa, non abituato ai banchetti che adesso il barone si può permettere, stramazza. Nel seppellirlo, viene appunto rinvenuto il tesoro dei Sigognac. Questo ultimo passaggio, come detto, nello sceneggiato non c’è: buon per il gatto.  
 

  Lea Massari



Scilla Gabel




Fiorella Mari




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