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mercoledì 15 settembre 2021

LA VALLE DEI MOHICANI

892_LA VALLE DEI MOHICANI (Comanche Station); Stati Uniti, 1960; Regia di Budd Boetticher.

Settimo film in cinque anni per la Ranown, una produzione associata tra l’attore protagonista Randolph Scott e Harry Joe Brown (da cui il nome, Ran-own), anche La Valle dei Mohicani vede alla regia il solido Budd Boetticher. Prima di tutto una precisazione: in Italia il titolo del film è stato cambiato da Comanche Station in La valle dei Mohicani, creando un’incongruenza storico/geografica ininfluente per la fruizione della pellicola, forse per risolverne un’altra legata all’aspetto degli indiani, che poco aveva a che fare con quello dei nativi del sudovest. Il film si pregia di un solido e semplice canovaccio, come da copione abituale della rodata coppia Burt Kennedy (sceneggiatore) e Budd Boetticher (regista). I personaggi sono pochi: oltre all’immancabile Randolph Scott (nei panni di Jefferson Cody), qui abbiamo il notevole Claude Akins (il poco rassicurante Ben Lane), che è affiancato da un paio di simpaticissimi malviventi che sembrano presi da un fumetto (Frank e Dobie, rispettivamente Skip Homeier e Richard Rust); la bella di turno è Nancy Lowe, a cui presta volto e fisico di prim’ordine una Nancy Gates in splendida forma. I dialoghi sono interessanti, ben costruiti e mai banali; i personaggi, pur nella loro semplicità, sono molto ben caratterizzati. Soprattutto il cattivo, Ben Lane, si rende protagonista di comportamenti che rivelano una struttura sfaccettata nella propria personalità. Lo sviluppo della trama si fonda nell’acquisizione di conoscenze di risvolti e presupposti passati ed è molto ben congegnato rendendo il film particolarmente avvincente. 

Questo è molto interessante in Boetticher, visto che i suoi personaggi hanno in genere un percorso già stabilito a cui è impossibile sottrarsi (si prenda ad esempio la fine di Ben Lane), ma in questo caso il regista riesce a mantenere comunque una dose di suspense superiore grazie a questa impostazione narrativa. Il finale, con i due colpi di scena, prima la vista del figlio di Nancy, poi la condizione del marito di lei (cieco), precludono ogni speranza a Cody, che ritorna al suo destino di cavaliere solitario. Bellissimi gli scenari e la fotografia, che dimostrano come anche produzioni cosiddette di serie-b, possano essere formalmente ineccepibili. Oltre che notevoli anche in senso assoluto, tanto che possiamo considerare La valle dei Mohicani in lizza per essere il migliore lavoro nella pregiata filmografia del regista. Da segnalare l’omaggio a Ombre rosse (1939, John Ford), film che raccontava di un viaggio in diligenza (Stagecoach, il titolo originale) e dove la meta era quella città di Lordsburg che, in Comanche station (titolo originale che fa riferimento ad una stazione di cambio della diligenza), viene citata in continuazione come destinazione senza che mai vi si arrivi. Come dire che quando il cinema di genere prende come fine ultimo di riferimento un grande classico, senza per altro pretendere di raggiungerlo, non fallisce di sicuro.











Nancy Gates








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