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lunedì 6 settembre 2021

L'ULTIMA PATTUGLIA (a seguire QUANDO LA STORIA... )

886_L'ULTIMA PATTUGLIA (Die Reiter von Deutsch-Ostafrika)Germania, 1934; Regia di Herbert Selpin.

Agile film d’avventura di matrice bellica, L’ultima Pattuglia di Herbert Selpin è ambientato in Africa Orientale allo scoppio delle ostilità della Prima Guerra Mondiale. I titoli di testa si aprono accompagnati da un’efficace musica che riecheggia una carica di cavalleria; in effetti, il titolo originale, Die Reiter von Deutsch-Ostafrika significa I cavalieri dell’Africa Orientale Tedesca. Il bianco e nero, forse troppo contrastato, non è particolarmente adatto al tipo di storia, con le tante scene che si svolgeranno in ombra e che diventano inevitabilmente troppo scure. Peter Hellhoff (Sepp Rist) e sua moglie Gerda (Ilse Stobrawa) sono coloni tedeschi e la loro fattoria è frequentata dall’inglese Cresswell (Peter Voß), anch’egli colono. Entrambi gli uomini ricevono la chiamata alle armi: mentre Peter si unisce alle Schutztruppe, le truppe coloniali tedesche, un reparto di militari inglesi, alla cui guida troviamo proprio Cresswell, occupa la fattoria degli Hellhoff. I britannici stanno presidiando tutti i luoghi dove si possa attingere acqua potabile, per costringere i nemici alla resa. Gerda, aiutata dal giovanissimo Klix (Rudolf Klicks), si mantiene in contatto col marito grazie all’uso dei piccioni viaggiatori. Cresswell sospetta qualcosa ma non prende provvedimenti, pur avvisando l’amica che, per un civile, uomo o donna che sia, aiutare i militari significa rischiare di essere messo a morte in qualità di spia. Ma l’impressione è che l’ufficiale inglese mai arriverebbe a tanto. Del resto la prospettiva della storia, pur se il film è del 1934, ovvero quando in Germania aleggiava già un’aria piuttosto pesante, non è affatto partigiana e, nel complesso, le parti in causa sono mostrate in modo abbastanza imparziale. Tanto che, nel 1939, il regime nazista proibì l’opera per il suo essere troppo tollerante nei confronti dei nemici inglesi. E va detto che anche nei confronti delle genti indigene c’è uno sguardo tutto sommato umanitario, fatta la tara dell’epoca. Probabilmente la vicenda risente di buona influenza legata alla reputazione degli Askari, le truppe africane al servizio dell’Impero Tedesco. Naturalmente l’indole austera germanica pretende anche in un film leggero come L’ultima Pattuglia il sacrificio di rito che, guarda caso, spetta al più giovane del lotto, il povero Klix. Il ragazzo offre la sua vita per portare l’acqua ai disperati soldati suoi connazionali: sulla sua tomba Peter gli promette di tornare, auspicio che si fonda sulla certezza di vincere la guerra. Per quel che conta, il povero Klix, starà ancora aspettando. 

Al termine della galleria fotografica del film, QUANDO LA STORIA... l'appendice storica di Antonio Gatti: 
WAKA WAKA - I TEDESCHI CHE NON SI ARRESERO





 Ilse Stobrawa



Appendice storica.

QUANDO LA STORIA... a cura di Antonio Gatti.

WAKA WAKA

I TEDESCHI CHE NON SI ARRESERO

Il fronte africano rappresenta una peculiarità rispetto agli altri scenari della Grande Guerra; non solo perché, ovviamente, i campi di battaglia si trovavano su un altro continente rispetto agli eserciti delle nazioni belligeranti; ma, in un certo senso, il conflitto si svolgeva in una maniera praticamente antitetica rispetto ai fronti bellici europei; se in Europa, eserciti di milioni di uomini si scontravano in pochi chilometri quadrati dando origine alla guerra di trincea, in Africa pochi uomini si affrontavano lungo distese di territorio immense, delle quali loro per primi spesso perdevano il controllo. Ci furono battaglie decise dagli insetti. La guerra africana, scostandosi dalla controparte europea, così brutale, grigia, quasi meccanica, conservò un alone di romanticismo che la fa guardare, a tutt’oggi, nonostante i molti morti e le tragedie, con un pizzico di ammirazione e di rispetto in più.
Il conflitto africano si rese inevitabile in un’epoca ancora prettamente coloniale, nella quale gli europei controllavano una parte maggioritaria del territorio africano, qualcosa che era accettato universalmente come normale allo scoppio delle ostilità. Le piccole colonie tedesche furono quasi tutte assorbite subito dall’Impero Britannico, tutte tranne l’Africa Orientale Tedesca, corrispondente grosso modo alla Tanzania, Ruanda e Burundi di oggi; un investimento importante in questa colonia aveva fornito ai tedeschi delle infrastrutture e un piccolo esercito con i quali tormentare gli inglesi a oltranza. La speranza di vittoria era praticamente nulla per il piccolo esercito coloniale del colonnello Paul Emil von Lettow-Vorbeck, ma nonostante questo i tedeschi africani combatterono ad oltranza, ligi al dovere patriottico di distrarre quanti più soldati inglesi (e più tardi, portoghesi) possibile dai fronti europei principali. L’11 settembre 1918 al momento dell’armistizio, von Lettow-Vorbeck e i suoi africani erano ancora armi in pugno: le deposero solo tre giorni dopo quando dall’Europa arrivò la notizia della resa del Reich. Essi sostennero che fu il Reich ad arrendersi. Non loro. La vittoria alla battaglia di Tanga, nel Novembre 1914, durante la quale in un migliaio, perlopiù ascari, volsero in fuga i quasi 9000 uomini del comandante britannico Aitken, rimane la loro impresa più nota e celebrata.


Una delle epopee africane più interessanti, rimane comunque quella dell’incrociatore Koenigsberg. Questa nave era un fiore all’occhiello della Hochseeflotte, la marina militare tedesca, con una velocità, per l’epoca notevole, di 24 nodi e un armamentario capace di incutere parecchio timore, con i suoi due tubi lanciasiluri, due cannoni da 88 mm e dieci da 105 mm.
Quando il 25 Aprile 1914 la nave lasciò il porto di Kiel con una pomposa cerimonia, i suoi due comandanti, Fregattenkapitaen Max Loof, che aveva preso le redini solo pochi giorni prima, e Korvettenkapitaen George Koch sicuramente non sospettavano che non avrebbero fatto più ritorno in Europa… non con la loro nave almeno. In quella che era una esibizione del potere navale tedesco fortemente voluta dall’ammiraglio von Tirpitz, il segretario di Stato Imperiale per la Marina, la Koenigsberg con una larga crociera che lambì i maggiori porti europei e coloniali, arrivò infine a giugno a Dar-es-Salaam, la capitale dell’Africa Orientale Tedesca. La giocosa atmosfera coloniale non era però purtroppo replicata in Europa, dove le nubi di guerra, di mese in mese, si facevano sempre più dense. Questo aveva naturalmente un riflesso sull’atteggiamento delle navi da guerra, anche quelle più distanti dalla madrepatria come il Koenigsberg. Gli ultimi giorni di luglio Max Loof ricevette da Berlino il preciso ordine di prendere il mare, cosa che fece il 31 luglio attorno alle quattro del pomeriggio, seguito da lontano dalla piccola flotta inglese dell’ammiraglio King-Hall, che ne aveva previsto le mosse. Loof quindi si trovò pronti e via circondato da tre navi da guerra inglesi, l’Astrea, la Hyacinth e il Pegasus, armate molto pesantemente ma abbastanza più lente del Koenigsberg. 

Usando la sua maggiore velocità e il suo carbone di maggiore qualità, Loof seminò la sua scorta inglese il primo agosto, approfittando di una piccola burrasca che mise in difficoltà i britannici ma non il più moderno Koenigsberg. Il 5 agosto la parola in codice “enigma” fu ricevuta dai marinai in attesa: quella parola significava guerra con l’Intesa. Il tenete Richard Wenig, uno dei molti giovani ufficiali del Koenigsberg, così ricorda le sensazioni al ricevimento della notizia: “Strano. La luna brilla come prima, il mare romba, l’attrezzatura a bordo fa lo stesso rumore di sempre. Niente è cambiato! Com’è possibile? La luna non dovrebbe nascondersi tra le nuvole? Il mare non dovrebbe tingersi di nero? Niente di tutto ciò! Essi ridono delle umane cose. Cosa interessa il litigio di alcuni microbi all’immenso universo?”

In pieno mare africano, in effetti, nulla sembrava cambiato. Ma la storia aveva mai preso una piega molto differente, l’Europa coloniale, nella quale Wenig e i suoi compagni erano cresciuti, stava per vivere i suoi ultimi, terribili anni.
Loof, sicuramente meno romantico di Wenig, ma parecchio pratico, stabilì subito la priorità: carbone. Aveva lasciato a Dar-es-Salaam tutte le sue scorte ed era intelligente abbastanza da capire che un rientro nella colonia lo avrebbe esposto al ritorno della flotta inglese; preferì arrangiarsi come poté e lo fece brillantemente, contattando mercantili tedeschi qua e là e catturando il primo mercantile inglese dell’intera guerra, il City of Winchester. Le cose sembravano andare abbastanza bene, con il Koenigsberg capace anche di trovare un punto di ritrovo con altre navi tedesche nella Somalia italiana e fare buona scorta di carbone quando, il 19 settembre, Loof apprese che una nave da guerra inglese era a Zanzibar: il Pegasus del capitano J.A.Inglis.
Loof decise di compiere un’azione che ricorda le guerre dei pirati, o dell’Armada spagnola: di sorpresa, battendo bandiera da battaglia, apparve nel porto di Zanzibar e aprì il fuoco sulla Pegasus la quale era scarsamente protetta, in parte sentendosi al sicuro e anche per via di alcune riparazioni che doveva fare. Dopo venti minuti il porto di Zanzibar era tutto circondato dal fumo, mentre la Pegasus era in fiamme, essendosi beccata 200 colpi dal Koenigsberg, con 31 membri dell’equipaggio caduti. La Koenigsberg non aveva subito un colpo. La risposta degli inglesi fu quella di mandare contro il Koenigsberg il rimorchiatore armato Helmuth, il quale si era già distinto in negativo per essersi fatto sfuggire il Koenigsberg da sotto il naso mentre quest’ultimo si avvicinava a Zanzibar. Al suo apparire, l’Helmuth si beccò tre proiettili ed esplose, mentre i marinai si gettavano nelle acque infestate dagli squali.

La vittoria del Koenigsberg in un campo, quello navale, considerato specificatamente inglese, esaltò molto l’opinione pubblica tedesca ma non agevolò la posizione di Max Loof, che si trovava da solo a compiere azioni di pirateria, in un fronte marino i cui porti erano controllati dagli inglesi.
La situazione fu resa ancora più complessa in quanto, a poche ore dalla vittoria, una grave avaria alle caldaie costrinse il Koenigsberg allo stop. Non fidandosi a tornare a Dar-es-Salaam, Loof fermò il Koenigsberg nel delta del fiume Rufiji. Gli ascari provvidero a portare, via terra, i pezzi da riparare a Dar-es-Salaam, mentre i marinai sbarcarono le mitragliatrici e si diedero da fare per camuffare la nave coprendola con fronde d’albero e cespugli.
Gli inglesi non stavano inoperosi nel frattempo. Lo smacco subito con il bombardamento di Zanzibar rischiava di compromettere il loro prestigio presso i portoghesi e le popolazioni indigene. Inoltre, si trattava pur sempre della presenza di un incrociatore ultima generazione che svolgeva azioni di pirateria in acque coloniali britanniche. 

Il Koenigsberg andava fermato e la priorità della flotta coloniale inglese fu la caccia all’incrociatore. I guai, per i britannici, non finirono quando finalmente il 3 novembre il nascondiglio del Koenigsberg nel delta del Rufiji fu localizzato. Il comandante inglese Drury-Lowe, capendo l’urgenza del momento, affondò un mercantile davanti al delta del fiume per impedire al Koenigsberg di riprendere il mare e replicare un raid come quello su Zanzibar. Purtuttavia, Drury-Lowe non riusciva a colpire il Koenigsberg, troppo ben scelto era il rifugio di Loof, le navi britanniche avevano un pescaggio eccessivamente alto e non riuscivano a portarsi a tiro dell’incrociatore tedesco. Clamorosamente, fu necessario l’intervento diretto di Londra, che inviò due monitori per lo scopo, il Severn e il Mersey. Il primo attacco portato da questi il 6 luglio 1915 fu un mezzo fiasco: pur portando a segno qualche colpo, i due monitori furono colpiti a loro volta e costretti alla ritirata. Il Koenigsberg, già ammantato di un’aurea leggendaria, sembrava veramente stregato per gli inglesi. Un nuovo attacco fu portato l’11 luglio. Gli inglesi, meglio organizzati, riuscirono finalmente a trovare una buona direttrice di tiro nei confronti del Koenigsberg che lottò comunque fino allo stremo, al costo della vita di una trentina di membri dell’equipaggio. Verso sera, Loof realizzò che aveva fatto quello che aveva potuto: per un anno aveva menato l’intera flotta inglese in Africa dietro di sé come al guinzaglio, permettendo ai mercantili tedeschi di rifornire le colonie e di tenere i contatti con la madrepatria, oltre che ad agevolare la campagna di terra di Lettow-Vorbeck. Non era possibile fare di più. Affondò la sua nave, ma rifiutò di arrendersi, unendosi alle forze di terra del colonnello von Lettow-Vorbeck con le quali vissero l’avventurosa campagna africana.
Ma questa è un’altra storia. 


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