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lunedì 21 gennaio 2019

SUSPIRIA (2018)

290_SUSPIRIA Italia, Stati Uniti 2018;  Regia di Luca Guadagnino.

Innanzitutto bisogna dire che hanno delle ragioni quelli che si chiedono se ha senso rifare un film che ha fatto epoca come Suspiria di Dario Argento. Se dovessimo rispondere in ottica nostalgica, probabilmente dovremmo dire no, e quindi riconoscere che hanno ragione quei puristi che hanno disdegnato l’opera di Luca Guadagnino, il discusso remake (o come lo si vuol chiamare) del capolavoro argentiano. Ma, in realtà, il discorso di Guadagnino c’entra relativamente con il film di Argento; oddio, la storia è più o meno quella e con gli stessi personaggi e quindi a livello formale non si scappa. Del resto il film si intitola allo stesso modo e nel suo complesso l’operazione è esplicita. Però, forse, il regista siciliano prende il film di Argento non tanto come opera in se stessa, ma come emblema di un certo periodo storico: il Suspiria originale, oltre ad essere un salto (non solo qualitativo) ulteriore nella cinematografia di Argento, arrivava nel periodo forse più critico della storia sociale degli anni settanta italiani ed europei. L’aspetto romantico della rivoluzione sessantottina era ormai un lontano ricordo e quello che rimaneva era solo l’atmosfera plumbea dei cosiddetti, appunto, anni di piombo. Suspiria era, insomma, la quintessenza, horror ça va sans dire, del 1977 e di quel periodo storico; certo, ne il cinema di Dario Argento ne il thriller all’italiana (conosciuto a livello internazionale col termine giallo) che spesso sconfinava nell’horror (come appunto Suspiria) avevano una consapevolezza politico/sociale; era cinema di cassetta, di intrattenimento. Ma, ‘guarda caso’, autori e pubblico del cinema del terrore si trovano sempre sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda in determinati periodi storici, forse perché la funzione primaria dell’horror è quella di cristallizzare sullo schermo le paure e le angosce collettive, con un effetto catartico a suo modo terapeutico. 
E Argento e i suoi colleghi italiani, con i loro truci lavori, furoreggiarono negli anni ‘70 mentre, nel decennio successivo, non riuscirono più a cogliere in modo adeguato l’aria che tirava negli edonisti eighties.
Ma, cosa c’entra, tutto questo con il Suspiria di Luca Guadagnino? C’entra eccome, perché serve a capire innanzitutto il perché ci si sia preso la briga di scomodare un simile testo filmico, ovvero l’originale argentiano. E per comprendere meglio anche un altro azzardo del regista nato a Palermo, ovvero l’innesto sulla trama horror delle questioni legate all’Olocausto e al terrorismo dell’epoca. Soprattutto il riferimento al dramma della Shoah può lasciare perplessi, essendo un argomento delicato (anche più di rimettere mano ad  un capolavoro del cinema horror osannato e tutelato dai fan talebani). In sostanza (e anche stando alle stesse parole del regista) il nuovo Suspiria è un film sulla fine degli anni settanta, di cui il film di Argento è il migliore esempio per coagulare, attraverso un film di intrattenimento, le concrete vecchie angosce legate allo sterminio degli ebrei, al tempo non ancora risolte (Berlino città divisa), e quelle più recenti legate del terrorismo tipico degli anni 70.


Ma perché farlo oggi, oltre 40 anni dopo? Perché quella che viviamo è forse l’epoca da resa dei conti più inesorabile della Storia, con il pianeta che sta andando a picco sotto ogni punto di vista, dall’ecologia, all’economia, agli aspetti sociali. Stanno arrivando al pettine tutti i nodi lasciati colpevolmente in sospeso dall’opportunistica smemoratezza odierna (e a cui forse si rivolge, la protagonista nel finale dopo i titoli, inducendo la nostra dimenticanza?) Per cui, mai come adesso, può sembrare il momento propizio per cui la Madre Suspiriorium si presenti a raccogliere il suo tributo. 

C’è dunque più che altro una questione morale alla base del nuovo Suspiria, e non solo formalmente artistica, nonostante l’ambientazione in una compagnia di ballo. Lo dice espressamente Helena Markos (Tilda Swinton), non c’entra ne l’ambizione ne l’arte, nonostante Madame Blanc (sempre la Swinton, nel secondo dei suoi tre ruoli) avesse poco prima fornito una possibile traccia in quel senso. Secondo la Blanc, la propria arte deve fluire attraverso il corpo di Susie (Dakota Johnson) che, come interprete del ballo, deve divenire un potente strumento per il propagarsi del messaggio artistico. L’arte prevalga sulla vanità personale e sulla bellezza: l’arte deve rompere il naso alla bellezza, per la precisione. Di diverso avviso (e pericolose intenzioni) la Markos, che ne farebbe invece una questione meramente alimentare, cercando di rinvigorire la sua sopravvivenza. La Madre Suspiriorium è quindi contesa: Madame Blanc e l’arte o Helena Markos e l’avidità personale? Il fatto che siano interpretate dalla stessa attrice ci dice che si tratta di facce della stessa medaglia. Suspiria è quindi sia cinema d’arte che alimentare? Sia uno che l’altro, ma anche oltre, almeno nelle ambizioni. Perché il film di Guadagnino è ben confezionato, ipnotico e affascinante. E poi ci sono scene davvero terrorizzanti, tipo quella in cui il dottor Josef (ancora la Swinton!) non trova più la moglie e viene catturato dalle streghe, mentre sono notevoli e per stomaci forti le sequenze più splatter.


Ma il nuovo Suspiria è anche un cinema morale. La Madre Suspiriorium tanto invocata questa volta arriva davvero, ed è la più giovane del lotto. Non sono le vecchie streghe incartapecorite che dobbiamo temere, ma le nuove generazioni, quelle non accettate quando non volute (la madre di Susie che la odia), a cui stiamo lasciando un mondo in sfacelo e che arrivano a portarci il conto da pagare di anni e anni di errori e di orrori (nel film l’olocausto o il terrorismo, ma anche l’ambizione e l’avidità personale della Markos e delle sue sgherre).
L’arte non è quindi il messaggio che deve passare nel corpo dell’artista, ma il tramite attraverso il quale portare valori etici e morali. Chi ha sbagliato paghi. E chi invece non ha colpe così gravi, come il dottor Josef, smetta di tormentarsi, e viva senza rimorsi, sereno come una giornata di sole nella casa dove aveva inciso il suo sincero messaggio d'amore per la moglie.
E quindi, tornando all’inizio, ha avuto un senso rifare Suspiria.
Anzi, è stato dargli la piena consapevolezza del suo significato.
Il cinema horror italiano è diventato adulto.


Mia Goth


Dakota Johnson




Chloe Grace Moretz


Ingrid Caven

  

1 commento:

  1. considerazioni interessanti...
    non saprei dire cosa esattamente l'arte dovrebbe rappresentare... già solo avere alla base un'idea chiara di come procedere mi sembra tanta roba, ma forse non è sempre la cosa migliore da fare... però qui vedo molto rosso in queste fotografie e almeno questo direi che è intenzionale :-P

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