292_LA SETTIMA STANZA (Siódmy pokój); Italia, Francia, Polonia, Ungheria 1995; Regia di Márta Mészáros.
La regista ungherese Márta Mészáros ha dichiarato che, nel
cinema, ci sono pochi autori geniali: Welles, Fellini, Antonioni, Godard… Non
c’è, quindi, almeno stando alle sue parole, Fred Zinnemann, che forse non era effettivamente
un genio nel senso inteso dalla Mészáros ma certamente era regista di
solidissimo mestiere e spesso di arte cinematografica sopraffina. Perché il
pregevole La settima stanza, film
appunto di Márta Mészáros, un po’ ricorda, almeno superficialmente, La storia di una monaca del regista di
origine austriaca. Poi, certo, La settima
stanza è incentrato sulla vicenda di Edith Stein, in seguito proclamata Santa Teresa Benedetta della Croce, una figura
storicamente molto più interessante di quella protagonista di The nun’s story. Ma, l’estremo rigore
formale della messa in scena, soprattutto nelle scene dell’ambito monastico, la
geometria delle inquadrature, l’attenzione ad ogni singolo fotogramma, un poco
ci portano alla mente il dramma hollywoodiano con Audrey Hepburn. Così come lo
ricordano le analogie tra le difficoltà incontrate nella vita claustrale dalle
protagoniste, qua una filosofa di intelligenza superiore, là una donna di
eccellenti cognizioni mediche, troppo legate al mondo scientifico per accettare
serenamente le dure regole del convento. Ma, va detto che, questi aspetti,
costituivano l’essenza completa del film di Zinnemann, e sono invece unicamente
la base di partenza (per così dire) del lavoro della Mészáros, dal momento che
il nocciolo di La settima stanza è
reso sullo schermo in modo più intenso.
Punto culminante dell’opera,
incute un certo timore il paragone che la regista osa tra il campo di Auschwitz
Birkenau e il castello di Santa Teresa
d’Avila, dove si trovava la settima
stanza, quella del definitivo congiungimento con Dio. Nell’arrivo
all’orribile sito nazista, la posizione fetale assunta da Edith, in uno spoglio
locale inondato di luce bianca, e la visione dell’immagine del materno
abbraccio della madre, sembrano chiudere in un cerchio la vita della donna, che
così ritorna al contempo col suo creatore divino. Per chi ha poca dimestichezza
con le complesse tematiche teologiche e non è in grado di accedere ai livelli
superiori dell’argomento, il campo di sterminio assume comunque la semplice
valenza della vita da affrontare sempre con la forza dell’amore nel cuore,
senza paura, senza timore.
In ogni caso, stando alla santificazione della donna da parte della Chiesa, si tratta di una prova chela Stein superò in modo
assolutamente degno della massima ammirazione anche in ambito strettamente
religioso. Ma Edith Stein fu una personalità eccezionale anche se prendessimo
la sua vita in ambito esclusivamente laico e, per restare al testo filmico in
oggetto, ammirevole nel coraggio e nella coerenza di affrontare il proprio destino
senza farsi piegare dal fato avverso. La Germania è la mia patria, ripete spesso la Stein manifestando la
volontà di non ricorrere ad un comodo esilio all’estero; per un’ebrea ai tempi
di Hitler, anche solo questo passaggio, può bastare per avere un posto di
rilievo nella Storia dell’Umanità. E
il cinema, nello specifico questo valido film di Márta Mészáros, le rende un
doveroso tributo.
In ogni caso, stando alla santificazione della donna da parte della Chiesa, si tratta di una prova che
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