294_E' DIFFICILE ESSERE UN DIO (Трудно быть богом). Russia 2013; Regia di Aleksej Jur'evič German.
Con la solita acuta ironia, Umberto Eco ha bruciato tutti
nel cogliere il prevedibile gioco di parole che può venire in mente vedendo E’ difficile essere un dio di Aleksei
German: “è probabilmente difficile essere
un dio ma è altrettanto difficile essere uno spettatore, di fronte a questo
terrorizzante film di German”. E ci sarebbe poco altro da aggiungere,
perché lo spettatore medio può sentirsi gratificato dall’aver avuto le stesse
difficoltà di un intellettuale come Eco, nel guardare l’enigmatica e
monumentale opera di German. Ma, forse, non è il caso, almeno non dopo essersi
fatti le ossa con il quasi altrettanto spiazzante Faust di Aleksandr Sokurov; che, volendo, non ha poi
un’ambientazione visiva così dissimile da questo E’ difficile essere un dio. Che sia una possibile recente e
certamente traumatizzante deriva del cinema russo?
Chiariamo subito: a livello scenico, E’ difficile essere un dio è un capolavoro. Non di bellezza in
senso classico, ma di ipnotico fascino malsano. In avvio, una cavernosa voce
narrante si premura di dirci che non ci troviamo sulla Terra, ma sul pianeta
Arkanar, un posto simile al nostro pianeta ma di 800 anni fa. Oddio, a occhio e
croce sembra un posto messo ben peggio, di quello che poteva essere il nostro
pieno Medioevo, ma non sottilizziamo.
Il punto di vista che ci propone German è immerso nel pieno delle deliranti
inquadrature ed è come se ci si trovasse anche noi impantanati nel terreno fangoso
di melma ed escrementi vari; e ci va ancora bene di non finire sotto gli
scrosci più o meno consistenti delle evacuazioni pubbliche che innaffiano
alcuni dei bizzarri abitanti di questo pianeta. Che per altro sembrano del
tutto umani.
Le riprese della mdp di
German sono spesso tanto ravvicinate ai soggetti che si fatica a capire quello
che ci sta letteralmente capitando addosso: come si è detto, nella maggior
parte dei casi, liquami di ogni genere, per di più organici, e puzze di ogni
tipo, tanto che l’olfatto è il senso più utilizzato dai personaggi del film. Pur
essendo un’opera di fantascienza (anche se sembra difficile a credersi), tratta
dal romanzo omonimo dei fratelli Strugatsky, a livello visivo i riferimenti più
evidenti sono alla pittura di Hieronymus Bosch o Pieter Bruegel il vecchio, annegati però in una viscida
e paludosa pseudo civiltà del tutto originale, sebbene imbastita utilizzando
unicamente elementi presi dal passato medioevale della cara e vecchia Terra.
La
regia lascia raramente la steadicam
per fornirci qualche panoramica; il nostro posto è mischiati ai personaggi
dannati dell’inferno umido, freddo e puzzolente che trasuda sporcizia ad ogni
fotogramma. Il protagonista, don Rumata (Leonig Yarmolnik) è un terrestre in
missione di esplorazione sul pianeta e viene creduto una sorta di Dio dai
locali; don Reba, un nobile del posto, pur nel marasma di una trama
difficilmente decifrabile, si accorge che l’uomo non è affatto una divinità, e
cerca di smascherarlo. La sua milizia, i ‘Grigi’,
sono i maggiori responsabili del mancato sviluppo del pianeta: il loro compito,
oltre ad opprimere la popolazione, è l’eliminazione di ogni intellettuale al
fine di evitare un possibile movimento di tipo rinascimentale.
Peggio dei ‘Grigi’ sono i ‘Neri’: pur se acerrimi rivali di questi, non sono che un’altra
forza di opposizione ad ogni possibile sviluppo. Non serve nemmeno una vendetta
tremenda, la vendetta divina, in un simile contesto che non ha nessuna
latitudine morale: non c’è ‘giusto’ o
‘sbagliato’, solo fango, freddo, umidità
e sporcizia maleodorante, anche e soprattutto in senso metaforicamente etico. Eppure
la diffusa mancanza di un quadro morale,
volendo ben vedere, qualcosa deve pur ricordarci.
Ma sì, dev’essere davvero dura essere un dio.
Chissà che non l’abbia pensato anche il nostro.
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