171_LA LA LAND Stati Uniti, 2016; Regia di Damian Chazelle.
Difficile dire già oggi se La la land sia davvero un capolavoro o solo un film molto bello; di
certo è una scommessa vinta a mani basse dal regista Damien Chazelle. Al di là
del successo di critica e pubblico, il giovane regista statunitense opera con
coraggio, passione, talento, andando, nel far questo, contro il trend generale, e centra il bersaglio
sotto ogni profilo. Di più: la storia di questo film esalta proprio la tenacia
con cui devono essere inseguiti i propri sogni, anche contro le apparenti
circostanze poco favorevoli, che è esattamente la situazione in cui, è
prevedibile, si sia mosso Chazelle nella realizzazione della sua opera. Quindi
un film non tanto (almeno parzialmente) autobiografico, ma piuttosto composto, nel suo
più profondo essere, dalla stessa natura del racconto che poi ci mostra sullo
schermo. Metacinema, ovvero cinema
metalinguistico, che riflette su se stesso, insomma; e questo non deve far
pensare a qualcosa di impegnativo nel senso noioso del termine, naturalmente.
Anche Tarantino o i Coen, tanto per dire, fanno cinema metalinguistico; un
cinema, cioè, che prende come suo punto di riferimento non tanto la realtà ma
piuttosto il cinema stesso. E La la land
lo fa alla grande, prendendosi il lusso di confrontarsi, in modo tanto spudorato
quanto candido, (e senza mancare di rispetto), con il grande cinema di
Hollywood della golden age, citato in
tantissime occasioni durante lo scorrere della storia. La la land è una storia d’amore in musical; se il genere sentimentale sopravvive ancora annacquato in
commedie mielose e stucchevoli, per i film musicali
siamo messi certamente peggio e le rare uscite sono eventi al di fuori della
normale produzione cinematografica.
La bravura di Chazelle è che, esattamente come i
suoi protagonisti, si muove in senso contrario a questa tendenza generale e
riesce ad essere tanto convincente e trasportante nella sua appassionata messa
in scena che, alla fine, sembra quasi scontato che una bella storia d’amore, raccontata
con grande sentimento, senza alcuna pietà per lo spettatore e ben supportata
dai piacevoli e azzeccati momenti musicali, dia luogo ad un film tanto bello.
Un film che appare immediatamente classico:
tutto è calibrato con estrema perizia, con sublime precisione da sembrare semplice
e lineare, quando invece è sorretto costantemente ora dai ritmi musicali ora da
quelli di una sceneggiatura sopraffina.
I colori sgargianti o i momenti surreali rientrano
a pieno titolo nella logica del musical;
il montaggio, a tratti frenetico, si prende sapientemente i suoi momenti più
calmi per lo sviluppo dell’intreccio sentimentale. La trama circolare, scandita
dalle stagioni della love story, con
l’inserto magistrale che ci illude almeno un pochino nel finale, è poi
costellata da tantissimi spunti e citazioni, distribuite con garbo e ironia.
Basti citare come, in avvio, i nostri protagonisti cantino, nella canzone A lovely night, testualmente “e non c’è nessuna scintilla in vista”,
per rimarcare l’assenza di feeling tra di loro e poi, quando invece si accorgono del
contrario, si trovino ad osservare addirittura una bobina di Tesla
nell’Osservatorio di Griffith! Che si, è proprio quello di Gioventù bruciata, ma è meglio fermarsi con le citazioni se no non
si finisce più.
Perché è piuttosto il momento, e solo ora non per secondaria
importanza ma al contrario, di occuparci della coppia di protagonisti: Ryan
Goslin è Sebastian e Emma Stone è Mia. Se Goslin si conferma, per l’ennesima
volta, attore versatile capace di recitare in modo efficace pur tenendo il
profilo basso (in sottrazione, come
si suol dire), la Stone
è assolutamente strepitosa. Nello stesso film riesce a coprire per intero la
sua gamma recitativa, del resto interpreta il ruolo di un’attrice, e lo fa
rimanendo sempre deliziosa.
Ma alla sua Mia non perdoneremo mai di non aver aspettato Sebastian.
Emma Stone
Nessun commento:
Posta un commento