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giovedì 26 luglio 2018

IL FILO NASCOSTO

183_IL FILO NASCOSTO  (Phantom thread). Stati Uniti, 2017;  Regia di Paul Thomas Anderson.

Innanzitutto va detto che Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson è quel capolavoro di cui tutti parlano. Formalmente impeccabile, si regge su un ritmo narrativo calibrato in modo sontuoso che ci prende per mano e non ci lascia mai distrarre un secondo, accompagnati da uno commento sonoro mai invadente ma costantemente presente. Notevole anche la capacità figurativa di Anderson, e di livello anche il cast, in particolar modo i tre attori principali che riescono ad assecondare con personalità le finalità del regista.
Spesso si dice che un film ha una struttura circolare quando nel finale assistiamo ad una scena analoga, o comunque riconducibile, ad una già vista all’inizio; nel caso di Il filo nascosto dovremmo invece parlare di spirale, in quanto la scena dell’insofferenza del protagonista Reynolds Woodcoock (un, al solito, strepitoso Daniel Day-Lewis) verso la propria compagna (chiunque essa sia) apre il film e ritorna altre due volte nel corso della storia. C’è quindi una sorta di avvitamento su sé stesso del racconto filmico e, in effetti, Woodcoock, che è uno stilista inglese degli anni ’50, vive in una sorta di universo chiuso, autoreferenziale, abitudinario, dominato dall’assenza della madre (morta da tempo) le cui veci pare rivestirle la sorella Cyril, interpretata da una bravissima Leslie Manville che ricorda la Judith Anderson nel ruolo della governante nel Rebecca di Alfred Hitchcoock.

E visto che abbiamo scomodato il maestro inglese, cogliamo subito i vari rimandi che Paul Thomas Anderson  dissemina: a parte il cognome Woodcock che ricorda quello di Hitch, abbiamo il carattere dello stesso sarto, nevrotico, ossessivo, maniacale, egoista, indisponente, capriccioso, insomma un uomo geniale che il proprio genio ha contribuito a far restare immaturo. Come del resto era Sir Alfred Hitchcoock nel sua vita privata; vita, nella quale, un ruolo chiave lo ebbe la moglie Alma, nome che, guarda caso, ritorna anche nella recente opera di PTA: si chiama infatti così la sgraziata e un po’ goffa cameriera di cui si invaghisce Reynolds.

Molto brava, nel film, Vicky Krieps a dar corpo ad una, a prima vista, ragazza semplice, finita nelle mani di un uomo più anziano, più esperto e più carismatico che, non senza un certo sadismo, la plasma e la trasforma nella propria musa ispiratrice. Che è un altro aspetto che ricorda sia l’Hitchcock fuori dallo schermo, alle prese con le attrici che modellava a piacimento, sia il cinema stesso del regista inglese, La donna che visse due volte, valga come esempio. Del resto Reynolds Woodcock fa il sarto, cioè prevalentemente taglia e cuce, allo stesso modo in cui un regista di cinema assembla il proprio film. Ma il nome Alma potrebbe avere anche un altro rimando: il suo significato è anima, il che sembra quasi fuori luogo visto che il film è imbastito nel mondo della moda, ovvero quanto più lontano da ogni approfondimento psicologico ci possa essere.

E il parallelo con il cinema, tra il sarto Woodcock e il cineasta Hitchcock, ci dice che anche la settima è un arte di superficie, visto che si manifesta su uno schermo; ma allora la sua anima, la salvezza, forse non è nascosta in profondità, magari anche solo nelle pieghe o negli orli di qualche vestito come del resto nemmeno nelle trame del film. Piuttosto, è proprio nelle cuciture di un abito, dove Alma troverà uno dei messaggi che Reynolds è solito lasciare: never cursed, mai dannato, come dire che non c’è nessun segreto nascosto, nessuna maledizione che affligge l’impenitente scapolo. Una sorta di MacGuffin, per restare in tema hitchcockiano, che funziona però un po’ al contrario, ovvero non è tanto un pretesto narrativo ma piuttosto smentisce una possibile lettura in profondità, tra le pieghe del discorso di PTA. Perché il filo, se è nascosto per gli spettatori italiani in originale è comunque un filo fantasma (Phantom thread il titolo anglofono) e quindi, anche se non si vede, c’è e vincola, in una sorta di legame sadomasochistico, Reynolds e Alma. La ragazza, infatti, è solo in prima istanza succube, ma si prende il turno per ribaltare il rapporto, e quando Reynolds riesce pienamente a comprenderlo, la coppia si ricompone.
Alla fine, il raffinato esteta, l’uomo dell’eleganza e dello stile, ha trovato la sua anima.
E così il cinema di Paul Thomas Anderson. 





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