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venerdì 20 luglio 2018

LA GRANDE BELLEZZA

180_LA GRANDE BELLEZZA  Italia, 2013;  Regia di Paolo Sorrentino.

Già il titolo ci dice dell’implicita presunzione del film di Sorrentino: e, in effetti, la messa in scena e la capacità di ripresa del regista napoletano rispettano in pieno le pretese del titolo. Così come è grande la bellezza autentica dello sfondo metropolitano della Roma antica, messa in risalto, per contrasto, dal testo filmico in primo piano. E qui ci si ferma con gli aspetti piacevoli, gradevoli. In effetti non è certamente piacevole la trama: ma è evidente che non è la narrazione che interessa Sorrentino. E non sono piacevoli i personaggi e il loro mondo, un autentico circo, (con tanto di nani e animali esotici come giraffe e fenicotteri), con i loro party che sono un’ode al cattivo gusto. Ne sono, o possono essere, in qualche modo piacevoli, o almeno interessanti, i protagonisti di tale spettacolo. Nemmeno Jep Gabardella (Tony Servillo), intendiamoci: alla fin fine è solo un personaggio che detiene il primato, ma di un mondo che lui stesso, all’occorrenza, denuncia in tutto il suo squallore. Naturalmente può essere considerata positiva la desolante rappresentazione della società romana, (che poco o tanto riflette quella italica); il fatto è che il film di Sorrentino si pone nei confronti di essa, come il suo protagonista. Ha valore, (e se lo ha, che valore può essere?), una critica che usa gli stessi stilemi della società che lei stessa mette alla berlina? La grande bellezza è, probabilmente “anche”, ma comunque “è” quelle scene, ripetute più volte, della movida romana: sono girate magistralmente, inquadrature aberranti, primissimi piani su corpi ostentati ma decadenti, in contrasto con la perfezione dei monumenti e delle statue della Roma antica. Così come, per fare un altro esempio, La grande bellezza è nei selfie cinematografici con Fanny Ardant e Antonello Venditti. 

Verrebbe da chiedere, a Sorrentino, se lui l'ha capito, il senso della vibrazione; perchè La grande bellezza ci ricorda molto 'l'artista' che, nel film, si vede sbattere la testa contro il muro, senza saper spiegare il significato artistico del suo gesto, il senso della “vibrazione”, appunto. Certo Sorrentino è senz’altro più abile, più furbo e, soprattutto, più scaltro del suo personaggio e, nel caso, se il paragone fosse d’avvero calzante, l’attesa per l’impatto sul muro sarebbe dilatata fino a venir meno totalmente il momento dell’impatto stesso.
Un po’ come il senso del suo cinema.



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