180_LA GRANDE BELLEZZA Italia, 2013; Regia di Paolo Sorrentino.
Già il titolo ci dice dell’implicita presunzione del film di Sorrentino: e, in effetti, la messa in
scena e la capacità di ripresa del regista napoletano rispettano in pieno le pretese del titolo. Così come è grande la bellezza
autentica dello sfondo metropolitano della Roma antica, messa in risalto, per contrasto, dal testo filmico in primo piano. E qui ci si ferma con gli
aspetti piacevoli, gradevoli. In effetti non è certamente piacevole la trama:
ma è evidente che non è la narrazione che interessa Sorrentino. E non sono
piacevoli i personaggi e il loro mondo, un autentico circo, (con tanto di nani
e animali esotici come giraffe e fenicotteri), con i loro party che sono un’ode
al cattivo gusto. Ne sono, o possono essere, in qualche modo piacevoli, o
almeno interessanti, i protagonisti di tale spettacolo. Nemmeno Jep Gabardella
(Tony Servillo), intendiamoci: alla fin fine è solo un personaggio che detiene
il primato, ma di un mondo che lui stesso, all’occorrenza, denuncia in tutto il
suo squallore. Naturalmente può essere considerata positiva la desolante rappresentazione
della società romana, (che poco o tanto riflette quella italica); il fatto è
che il film di Sorrentino si pone nei confronti di essa, come il suo
protagonista. Ha valore, (e se lo ha, che valore può essere?), una critica che
usa gli stessi stilemi della società che lei stessa mette alla berlina? La grande bellezza è, probabilmente “anche”, ma comunque “è” quelle scene, ripetute più volte,
della movida romana: sono girate magistralmente, inquadrature aberranti,
primissimi piani su corpi ostentati ma decadenti, in contrasto con la
perfezione dei monumenti e delle statue della Roma antica. Così come, per fare
un altro esempio, La grande bellezza
è nei selfie cinematografici con Fanny
Ardant e Antonello Venditti.
Verrebbe da chiedere, a Sorrentino, se lui l'ha
capito, il senso della vibrazione;
perchè La grande bellezza ci ricorda
molto 'l'artista' che, nel film, si vede sbattere la testa contro il
muro, senza saper spiegare il significato artistico del suo gesto, il senso
della “vibrazione”, appunto. Certo
Sorrentino è senz’altro più abile, più furbo e, soprattutto, più
scaltro del suo personaggio e, nel caso, se il paragone fosse d’avvero
calzante, l’attesa per l’impatto sul muro sarebbe dilatata fino a venir meno
totalmente il momento dell’impatto stesso.
Un po’ come il senso del suo cinema.
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