1734_PIOMBO ROVENTE (Sweet smell of success), Stati Uniti 1957. Regia di Alexander Mackendrick
Prima di argomentare a proposito del film di Alexander Mackendrick,
occorre una piccola precisazione utile, se non a giustificare, almeno a trovare
una motivazione per la scelta del titolo Piombo rovente, in luogo
dell’originale Sweet Smell of success, operata dagli ineffabili
distributori italiani. Nonostante il titolo italiano sembri echeggiare un
gangster movie se non addirittura un western, e il piombo rovente sarebbe
quindi quello delle pallottole, il riferimento tutto sommato legittimo è alla «lega tipografica». In
tipografia, infatti, i blocchetti che costituiscono i caratteri con cui si
compongono le parole e quindi gli articoli dei giornali, sono realizzati in
piombo, antimonio e stagno. In sostanza, i distributori italiani, scegliendo Piombo
rovente, hanno voluto sottolineare come l’ambiente della stampa americana,
vero fiore all’occhiello della società yankee, possa essere paragonato a quello
della malavita. Del resto, quello di Mackendrick è in genere classificato come
noir ma potrebbe essere un gangster movie a tutti gli effetti, con tanto di
boss malavitoso senza scrupoli, J. J. Hunsecker (Burt Lancaster, granitico come
suo solito) e il coprotagonista aspirante tale, con ancora meno scrupoli, Sidney
Falco (Tony Curtis). Hunsecker è in realtà un famoso editorialista che ha anche
una rubrica televisiva quotidiana, ed è talmente influente da determinare il
destino delle persone su cui disserta; Falco è un giovane e cinico addetto
stampa che procaccia le notizie che sottopone poi allo stesso Hunsecker. La
trama del film è relativamente importante: il nocciolo della questione è che
Hunsecker non gradisce che la sua giovane e innocente sorellina, Susan (Susan
Harrison), frequenti o peggio si fidanzi con il musicista Steve Dallas (Martin
Milner). Il ragazzo è un giovane chitarrista jazz ma Hunsecker probabilmente ritiene
i 19 anni di Susan troppo pochi per mettersi a fare sul serio. Il problema è
che quando Hunsecker parla esige essere ascoltato e, soprattutto, obbedito,
cosa che, al contrario, Susan e Steve continuano ad ignorare di fare.
Il
compito di far desistere il musicista è affidato a Falco che, dal suo punto di
vista, vede quindi essere messo a rischio la carriera dai capricci di due innamoratini
troppo ostinati. Il soggetto è tutto sommato tutto qui, ma è scritto da un
califfo quale Ernst Lehman, Mackendrick in regia parte a cannone sin da subito
e non molla mai, le musiche sono di Elmer Bernstein, il bianco e nero è opera
di James Wong Howe, insomma, la confezione formale è di prim’ordine. I dialoghi
sono ficcanti e gli scambi taglienti e anche il cast, è quasi banale dirlo, non
delude. Lancaster è praticamente impossibile lo faccia, Curtis rivela come la
sua faccia simpatica possa essere presa a schiaffi con piacere e, in merito a
interpretazioni un po’ stereotipate, è da segnalare quella di Emile Meyer nei
panni del tenente di polizia Harry Kello. Un vero brutto ceffo: perché in un
film che critica aspramente la stampa non è che la polizia possa sperare di
farci bella figura. Troppo critico, Mackendrick? Macché. Al contrario, ben
centrato sulla questione.
E allora cos’è che non va in Piombo rovente? Perché fu un fiasco al botteghino? E perché ancora oggi è misconosciuto? Intanto va detto che la critica lo accolse subito benevolmente e anche oggi il film ha un’ottima reputazione. E giustamente, perché come detto Piombo rovente è un film eccellente che parla chiaro e mette spalle al muro la società americana (e quindi occidentale in generale) prendendosela proprio con il «quarto potere», che dovrebbe essere piuttosto l’ultima garanzia di giustizia. Ma sembra non ci sia verso di risolvere il problema dei problemi che stava tanto a cuore all’ideale democratico: l’indipendenza del potere giudiziario ha semplicemente creato un nuovo centro di potere e anche la libera stampa, che dovrebbe ulteriormente sorvegliare con un occhio imparziale, si è rivelata già da tempo, come dimostra appunto Piombo rovente, un’altra fonte di potere con cui chi comanda deve semplicemente fare i conti. Espressioni artistiche –come appunto il cinema– a parte, per cercare un minimo di verità, sebbene possa sembrare assurdo, i vituperati social media paiono poter essere l’ultima risposta. Un nuovo potere, forse già a sua volta asservito, ma la cui natura anarchica può lasciarci un minimo di speranza.
E allora cos’è che non va in Piombo rovente? Perché fu un fiasco al botteghino? E perché ancora oggi è misconosciuto? Intanto va detto che la critica lo accolse subito benevolmente e anche oggi il film ha un’ottima reputazione. E giustamente, perché come detto Piombo rovente è un film eccellente che parla chiaro e mette spalle al muro la società americana (e quindi occidentale in generale) prendendosela proprio con il «quarto potere», che dovrebbe essere piuttosto l’ultima garanzia di giustizia. Ma sembra non ci sia verso di risolvere il problema dei problemi che stava tanto a cuore all’ideale democratico: l’indipendenza del potere giudiziario ha semplicemente creato un nuovo centro di potere e anche la libera stampa, che dovrebbe ulteriormente sorvegliare con un occhio imparziale, si è rivelata già da tempo, come dimostra appunto Piombo rovente, un’altra fonte di potere con cui chi comanda deve semplicemente fare i conti. Espressioni artistiche –come appunto il cinema– a parte, per cercare un minimo di verità, sebbene possa sembrare assurdo, i vituperati social media paiono poter essere l’ultima risposta. Un nuovo potere, forse già a sua volta asservito, ma la cui natura anarchica può lasciarci un minimo di speranza.
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