182_ORE 15:17 - ATTACCO AL TRENO (The 15:17 to Paris). Stati Uniti, 2018; Regia di Clint Eastwood.
Alla fine rimaniamo col dubbio: ma in Ore 15:18 – Attacco al treno, Clint Eastwood, ci fa o ci è? Non è solo referenza per il maestro, sebbene un po’ c’è, è innegabile e comunque Clint se la
merita. Quello che rimane da capire è se il regista statunitense non si sia
accorto dei tanti (troppi) punti deboli del film, o li abbia lasciati sullo
schermo come effetti collaterali di un’operazione già concettualmente
coraggiosa quanto rischiosa. Perché l’idea di usare i tre eroici giovanotti
americani, proprio loro in persona, per interpretare sé stessi nel film che
porta sullo schermo lo sventato attacco terroristico sul treno diretto da
Amsterdam a Parigi nel 2015, è geniale. Ma molto rischiosa, visto che i tre ragazzi
non sono attori; e le loro vite, a parte il breve momento dell’attacco
terroristico, per nulla interessanti. L’idea è geniale non solo per il suo
essere completamente fuori dagli schemi, ma perché è congegnale allo spirito
dell’ultimo cinema di Eastwood, che trova conferma nell’intrinseca natura di
quell’intuizione. L’eroe americano è davvero l’uomo della strada: l’uomo
qualunque che, in circostanze straordinarie, si erge a paladino della
giustizia. Proprio nel suo essere un uomo comune c’è la differenza con l’eroe
della tradizione europea, che invece è sempre di nobile stirpe. Ma questi sono
concetti già visti guardando, decenni fa, ad esempio, James Stewart sul grande
schermo; ma Stewart era un attore (e che attore) mentre i tre ragazzi del treno
assolutamente no. Ma torniamo all’idea di un istant-movie: già Sully
era un film che trattava un argomento fresco, uscito infatti nel 2016
raccontava del famoso ammaraggio dell’Airbus A320 avvenuto nel 2009.
Sette anni
sono un tempo breve, che infatti accorciava già il ritardo cinematografico
dalla realtà rispetto al precedente capitolo di questa ipotetica trilogia eastwoodiana celebrativa dell’odierno eroe
americano, quell’American Sniper,
comunque sempre dal sapore tempestivamente contemporaneo. I due precedenti
capitoli della trilogia, sono però film convenzionali, che utilizzano cioè gli
strumenti del cinema; Ore 15:17 – Attacco
al treno porta all’estremo il suo essere un film d’attualità, (gli eventi
sono del 2015), soprattutto nel cogliere quella mania di condivisione da social
network imperante in questi tempi.
E’ un po’ come se Clint mettesse il suo
cinema a disposizione di Anthony Sadier (uno degli interpreti) per un gigantesco selfie
che immortali per bene tutta quanta la vicenda. Perché Ore 15:17 – Attacco al treno, all’atto pratico, sullo schermo, non
va oltre questo. Un selfie, e nemmeno
tanto riuscito, ma del resto i selfie
quasi lo sono per definizione. Ignoranti
molto più di un autoscatto, limitati da possibilità fisiche (la lunghezza del
braccio) a cui l’apposito bastone non riesce mai a porre efficacemente rimedio,
hanno la superficialità dello sguardo di Narciso nello stagno, ma mai e poi mai
la stessa bellezza d’immagine del personaggio mitologico.
E Eastwood che canta
le lodi dell’eroe comune americano, non sembra fare cinema, ma soltanto
cogliere l’attimo, immortalarlo, sovrapponendo le immagini reali della
premiazione con la Legione
d’onore con il girato, con il presidente francese Holland che ringrazia gli americani che ancora una
volta hanno salvato l’umanità. E meno male che a Clint è rimasta un po’ di
ironia, quando la guida tedesca ricorda l’importanza dei russi nella sconfitta
di Hitler, che i tre invece sembrano ignorare.
Le scene dell’attacco sono molto buone, vero cinema di
azione, ma nella valutazione complessiva pesano troppo le zavorre: la prima parte, l’infanzia dei ragazzi, è condita in modo
pesante dalla troppo contraddittoria retorica militarista antisistema tipica di
Eastwood (e di Trump), e le scene del viaggio in Europa sono di una banalità
sconcertante. Certo, sono i valori dell’America (sic), che insieme a questi,
cerca di convincerci Clint, veicola però anche il senso del dovere, della
giustizia. Insomma , saranno anche ignoranti e superficiali nella vita di tutti
i giorni, ma sono ancora loro i buoni.
Un filo troppo auto-celebrativo, in ogni caso.
E, attento Clint: Narciso, a furia di selfie autocelebrativi, nello stagno c’è finito.
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