1737_AFRICA DOLCE E SELVAGGIA , Italia 1982. Regia di Angelo e Alfredo Castiglioni
“La circoncisione degli adulti, esposta chiara e
tonda, può essere di per sé una visione abbastanza schifosa; ma i registi di Africa
segreta sono animati da evidenti interessi sadici e sotto i vostri occhi
non uno o due, bensì venti prepuzi cadranno al taglio delle cesoie”. [I.R., All’insegna del sadismo, «Avanti!»,
martedì 25 novembre 1969, pagina 9]. Questo commento del
recensore dell’«Avanti!», scritto ai tempi di Africa segreta, potrebbe
andar bene anche per Africa dolce e selvaggia, senonché i circoncisi
sono fanciulli e sono quasi in numero assai maggiore rispetto al conteggio stilato
dal giornalista. Erano passati 13 anni, ma il cinema dei gemelli Castiglioni
sembrava quindi fermo ai tempi dell’esordio; anzi, si potrebbe quasi affermare
che si fosse esasperato sulle medesime posizioni. Il problema era sempre lo
stesso: qual era il confine tra necessità etnografica di documentare usi e
costumi di popolazioni definite «primitive» –o comunque meno evolute nel nostro
intendere il significato del termine– e il gusto sadico di mostrare violenza,
sesso e temi scabrosi sullo schermo? Se prendiamo la prima scena delle
circoncisioni, posta quasi in apertura del film e, quindi, in un certo senso,
programmatica degli intendimenti degli autori, si può dire che i loro intenti
si fossero estremizzati. Non solo per il numero esorbitante di brutali
operazioni che vengono mostrate, ma anche per come viene efficacemente
organizzato il segmento narrativo. Al di là di tutta la preparazione
propiziatoria del rito, un aspetto che lavora nel creare una tensione
insostenibile, è la disperazione che assale i poveri ragazzini allorché si
avvicina il fatidico evento. Ai ragazzi in attesa, la visione della sorte
occorsa ai primi malcapitati, non fa che peggiorare la situazione, con il
panico generale che si diffonde. A questo punto, le scene delle rudimentali operazioni
sono assemblate con un montaggio frenetico –un taglio e via, sotto con il
successivo– in modo da rendere praticamente insostenibile la visione.
Un po’ a sorpresa, un recensore abitualmente critico con i Mondo movie, quelli
dei Castiglioni compresi, come Morando Morandini, dalle pagine de Il Giorno
ebbe un approccio più ponderato del solito al film: “Il tema conduttore di Africa
dolce e selvaggia sono i riti di iniziazione che sanciscono il passaggio da
un’età all’altra o da un gruppo sociale all’altro. Ma sono anche riti di
fecondità ed espiazione, prove di coraggio e addestramento (alla caccia di
rettili velenosi, per esempio), pratiche scaramantiche magiche.
I devoti di San Sadomaso, i delibatori di emozioni violente, gli emofans più o
meno perversi hanno pane per i loro denti. C’è da intenerirsi sulla
circoncisione di bimbetti piangenti, da svenire per la scalpellatura dei denti
incisivi, da fremere per operazioni estetiche di scarnificazione a lametta, da
impietosirsi per la castrazione dei dromedari per trasformarli in «mehari» da
corsa, da rabbrividire alle visioni di rettili micidiali. C’è anche un bel
momento di cinema all’improvviso, con un cobra che colpisce una guida negra. Ma
è soltanto una dimensione del film che, in bilico tra spettacolo e documentazione
etnologica, è sostenuto dal rispetto per gli usi e i costumi che descrive, da
un’apprezzabile rinuncia al sensazionalismo fine a sé stesso, da un ragionevole
assillo informativo. Sono qualità che si trovano nel misurato e limpido
commento dell’etnologo Guglielmo Guariglia dell’Università Cattolica di Milano,
detto dalla sobria voce di Riccardo Cucciolla, e nelle immagini, sempre di alto
livello professionale (Eastmancolor 16 mm), talvolta di suggestiva bellezza,
spesso di asciutta funzionalità. È un film che dà informazioni, soddisfa
curiosità, comunica emozioni ma che insegna anche a capire, a non respingere a
priori quel che è diverso soltanto perché è tale, a prendere atto che la
presenza del sacro e del rapporto con la natura possono avere modi e forme
diverse dalle nostre. È un film che tiene fede al suo titolo. E non è poco”. [Morando
Morandini, Il Giorno, primo ottobre 1982 da Fabrizio Fogliato e Fabio
Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 282].
In effetti il commento di Morandini lascia abbastanza spiazzati, a fronte della
posizione che aveva sempre avuto in materia. Tuttavia le sue sono osservazioni di
cui è utile far tesoro, anche perché non arrivano certo da un sostenitore del
cinema dei Castiglioni e, quindi, quello che di buono mettono in risalto, è
certamente meritevole. Senza trascurare, naturalmente, l’innegabile competenza cinematografica
del critico milanese.
Per la verità, le tipiche stroncature al film non mancarono: “Sarà poco originale dirlo, ma di riti
tribali nel Continente Nero e misterioso avevamo fatto definitivamente
provvista con Africa addio di Gualtiero Jacopetti. Invece i fratelli
Castiglioni, che da anni esplorano diligentemente l’Africa, ripropongono senza
approfondirli i fatti più crudeli che vanno a ripescare in migliaia di
chilometri di pellicole impressionate senza complessi di sorta: un «mondo cane»
in nero che colpisce ma non commuove lo spettatore. Non basta certo il commento
di un etnologo a rendere culturali le curiosità della cinepresa in occasioni di
impressionanti circoncisioni e clitoridectomie. I poveri bambini di colore
piangono e sudano sangue (non si fa per dire), i registi Castiglioni non si tirano
certo indietro per compunzione. Ci sono poi, e qui la novità si direbbe
assoluta, maestri catturatoli di serpenti e scorpioni i quali mostrano a volenterosi
allievi come ci si mitridatizza. Gli episodi si susseguono in tono acritico
finché giungiamo, per l’aggiornamento dato dalla permissività, alla sequenza
hardcore: in un rito della fertilità lo stregone (partner?) insinua nella vagina
della consenziente un serpente vivo e profanatore. Questa sarebbe l’Africa
dolce e selvaggia”. [p. per, A caccia di crudeltà e riti hardcore, La Stampa, anno
116, n. 262, martedì 30 novembre 1982, pagina 15].
La questione del serpente è, in effetti, un colpo di teatro dal sapore
sensazionalista, finanche sia probabilmente un fatto non ricostruito. Tuttavia,
gli aspetti più interessanti, e di cui è difficile sostenere la visione, sono
quelli citati in cui protagonisti sono i giovanissimi, costretti a subire un’autentica
forma di tortura, quale che sia il suo valore simbolico, rituale, religioso e altro.
A conferma di ciò, scrisse, infatti, un recensore: “Non sarà molto
professionale, ma io Africa dolce e selvaggia l’ho visto sempre con la
testa abbassata, sbirciando con le mani quando finissero i momenti truculenti.
Non finivano mai, e così, alla seconda ondata di circoncisioni, ho tagliato la
corda”. [Santuari, Paese sera, 11 ottobre 1982, da Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files,
Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 290]. Non ha tutti i torti,
il giornalista del Paese Sera, la visione è davvero dura da reggere. In
genere, perfino da questo ultimo critico citato, i gemelli Castiglioni sono considerati
esenti dal sensazionalismo «alla Jacopetti»; ma, allora, cosa giustifica una
tale scelta narrativa? La ripetizione estenuante di un momento crudo e violento
non era il tipico esempio di richiamo per il pubblico in cerca di sensazioni
forti, che più che il numero di volte che veniva reiterata un’efferatezza,
cercava piuttosto l’evento inedito, il fatto mai visto prima. Qui, poi, i
Castiglioni ritornano a quanto già mostrato nei loro primi lungometraggi;
niente di nuovo, quindi. Quello che nemmeno cambia, ma è semplicemente più
insistito, più ripetuto, è un determinato gesto violento e sadico. E qui viene
quasi naturale, coinvolgere in quella sadica violenza, anche gli uomini che
vediamo armeggiare a danno dei fanciulli. E, forse, ci viene finalmente un
dubbio. L’insistenza su questa barbarie, vestita a festa come rito
cultural-religioso, rivela il volto del vero sadismo, quello gratuito e «dipinto»
a fin di bene. I ragazzi di Africa dolce e selvaggia, devono compiere il
rito per divenire veri uomini; in questo senso la cerimonia è spacciata come
qualcosa di utile, per gli stessi giovani. Al netto del rispetto che si deve a
qualunque cultura o tradizione, è evidente che, in concreto, non è così. Eppure
la tradizione venne mantenuta a lungo. E, c’è da scommetterci, quei ragazzi, che
vediamo essere già abbastanza grandi da potersene ricordare per tutta la vita,
quando sarà il momento, si comporteranno esattamente come gli adulti che li
hanno obbligati a sottoporsi al rito. Che potrà anche avere un valore
simbolico, forse avrà anche un’utilità, nel senso che costringe i ragazzi a
dimostrare il loro valore, ma, nella sostanza, è una violenza gratuita. Un po’
come, nella nostra società, fatte le debite proporzioni, si presentava il
servizio di leva –quando ancora c’era– con lo sradicamento da casa e le
vessazioni del «nonnismo», fenomeno che affliggeva anche i «primini» nelle
scuole superiori. Naturalmente, facendo qualche accurata ricerca, si potrebbero
anche trovare esempi più calzanti, con tradizioni che, anche alle nostre
latitudini, sottopongano i novizi di qualunque situazione a sorta di riti di
iniziazione più simili alle atrocità mostrate nel film. Ma, concettualmente,
può bastare anche il becero bullismo da quattro soldi delle caserme o degli
istituti delle scuole superiori: perché è così arduo rompere la spirale di
violenza gratuita? Perché quando arriva il turno di chi, a suo tempo, aveva
subìto, questi si rivela un aguzzino tale e quale ai suoi predecessori? Forse perché
il sadismo non è questione di Jacopetti o dei fratelli Castiglioni, ma
dell’uomo. E, spesso, la religione, e non solo quella cristiana, è un alibi per
poter soddisfare i propri istinti sadici; come nel caso –anzi, nei
numerosissimi casi– mostrati in Africa dolce e selvaggia. Fanno specie,
a questo proposito, anche le motivazioni che vengono portate per «giustificare»,
o quantomeno provare, la natura di questo genere di operazioni sessuali
inflitte ai giovani: ai maschi, il prepuzio viene tagliato per eliminare ogni
similitudine con le femmine della specie. Alle ragazze spetta un destino anche
peggiore, perché l’intento di queste operazioni rituali è di eliminare, o
quantomeno ridurre, il piacere nell’atto sessuale. Oltre che rimarcare, anche
in questo caso, la differenza tra i sessi. L’accentuazione forzata del
dimorfismo sessuale nel genere umano non è chiaramente prerogativa dei popoli
primitivi, si pensi anche alla nostra educazione, alla cultura, che ha sempre
portato femmine e maschi a connotarsi in modo spiccatamente diverso, a volte
del tutto arbitrario e ingiustificato. É curioso come un simile orientamento
sia presente sin dalle culture primitive, e, volendo trovare un filo
conduttore, si evolva ma mantenga dei tratti evidenti in comune. Come mai, nel
corso dell’evoluzione, nessuna di queste storpiature, è stata corretta? Sono
domande, d’accordo, che esulano dal contesto di un film come Africa dolce e
selvaggia, ma vedere e riuscire, almeno in parte, a cogliere –forse proprio
grazie all’insistenza dei Castiglioni sulle efferatezze– come ci si abitua alla
violenza, ci fa riflettere sulla nostra capacità di ignorare la sofferenza
quando è altrui.
I genitori che spediscono i figli piccolissimi all’asilo nido o alla scuola
materna, soffrono, guardandoli piangere?
Naturalmente la risposta è sì, si tratta di una domanda retorica buona per
chiudere la questione –e questa recensione– con una battuta.
Al fenomeno dei Mondo Movie, Quando la Città Dorme ha dedicato il secondo volume di studi attraverso il cinema: MONDO MOVIE, AUTOPSIA DI UN GENERE, AUTOPSIA DI PAESE
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