175_IL GIORNO DELLO SCIACALLO (The day of the Jackal). Francia, Regno Unito 1973; Regia di Fred Zinnemann.
Il giorno dello Sciacallo, prima
che un film, è un libro di Frederick Forsyth; in particolare è il primo
autentico best-seller dello scrittore britannico. Per la complessità
dell’intreccio, questo film di spionaggio è quindi totalmente debitore al testo
scritto, che il regista Fred Zinnemann si premura di rispettare nel profondo e
non snaturare sostanzialmente mai. La messa in scena del regista di origine
austriaca è però, almeno in un certo senso, molto personale, pur nella piena
adesione al plot originario. ‘In un certo senso’ perché, in realtà, Zinnemann
opera con un tale rigore asettico da sembrare impersonale, ma dobbiamo
ricordare che è proprio questa la cifra stilistica dell’autore, che non a caso
nel suo curriculum vanta anche un Oscar per il miglior cortometraggio
documentario (nel 1952 per Benjy). Va
da sé che lo stile freddo e asciutto del regista sembra fatto apposta per
interpretare sullo schermo l’intricato meccanismo imbastito da Forsyth, che immagina
un elaborato complotto volto ad uccidere Charles De Gaulle. Incaricato della
missione, per conto dell’OAS che si oppone all’indipendenza concessa dal
presidente francese all’Algeria, è il killer che si fa chiamare lo Sciacallo. Nel film il sicario è
interpretato dal glaciale Edward Fox, un attore non particolarmente noto al
grande pubblico: una scelta in linea con il basso
profilo, parlando da un punto di
vista strettamente spettacolare, scelto dal regista. La
scansione del tempo, i rimandi al suo scorrere inesorabile verso un unico momento
cruciale, i tantissimi orologi inquadrati nelle riprese, l’effetto suspense
magistralmente alimentato con tecniche proprie del cinema (ad esempio il
montaggio alternato), sono molti degli elementi che rimandano al capolavoro
western del regista, Mezzogiorno di fuoco.
Se un trattamento così scarno era stato congegnale
alla perfetta riuscita del film con Gary Cooper e Grace Kelly, era anche per la
semplicità del testo e la durata contenuta (85 minuti). In questo caso la sfida
è assai più complessa, perché tenere sulla corda sospesa della suspense il
pubblico, senza l’aiuto di star del calibro di Coop o della principessa
Grace, per 145 minuti, con un intreccio particolarmente elaborato e uno
sviluppo narrativo quasi documentaristico, pone l’opera a più di un rischio di
perdere l’attenzione degli spettatori. Ma Zinnemann non molla la presa e tira
dritto per la sua strada, fino al concitato finale.
Il film è quindi una vera sfida, più che altro alle consuete
leggi dello spettacolo e il regista può ben dire di averla vinta
giocandola alla sua maniera. Il suo sguardo neutro
ci regala un cattivo, lo Sciacallo
del titolo, affascinante nella sua professionale freddezza, nella sua
sostanziale assenza di moralità; il suo procedere in modo implacabile è inumano,
freddo quanto lo stile di Zinnemann alla regia. Ma anche più interessante è la
figura del poliziotto, il commissario Lebel, che davvero fatica a raccapezzarsi
in mezzo ad una storia tanto grande quanto intricata e complessa.
Già il suo nome, palindromo, lascia intendere una bi-direzionalità, una possibilità di
cambiare verso senza mutare il risultato che, in un simile contesto, suona come
un’incapacità di trovare una direzione che sia quella giusta. Considerazione
poi suffragata da più di un dubbio che attraversa la mente del commissario
durante lo svolgimento delle indagini, con il detective che in più d’una
occasione dà la sensazione di sentirsi fuori posto.
Alla fine, il caso ci mette lo zampino, e la questione fantapolitica della trama si risolve ma
lo spaesamento del detective, a fronte di simili intrighi internazionali, ci
rimane addosso: una sensazione che, dagli inizi degli anni settanta ad oggi,
non ci abbandonerà più.
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