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martedì 10 luglio 2018

IL GIORNO DELLO SCIACALLO

175_IL GIORNO DELLO SCIACALLO  (The day of the Jackal). Francia, Regno Unito 1973;  Regia di Fred Zinnemann.

Il giorno dello Sciacallo, prima che un film, è un libro di Frederick Forsyth; in particolare è il primo autentico best-seller dello scrittore britannico. Per la complessità dell’intreccio, questo film di spionaggio è quindi totalmente debitore al testo scritto, che il regista Fred Zinnemann si premura di rispettare nel profondo e non snaturare sostanzialmente mai. La messa in scena del regista di origine austriaca è però, almeno in un certo senso, molto personale, pur nella piena adesione al plot originario. ‘In un certo senso’ perché, in realtà, Zinnemann opera con un tale rigore asettico da sembrare impersonale, ma dobbiamo ricordare che è proprio questa la cifra stilistica dell’autore, che non a caso nel suo curriculum vanta anche un Oscar per il miglior cortometraggio documentario (nel 1952 per Benjy). Va da sé che lo stile freddo e asciutto del regista sembra fatto apposta per interpretare sullo schermo l’intricato meccanismo imbastito da Forsyth, che immagina un elaborato complotto volto ad uccidere Charles De Gaulle. Incaricato della missione, per conto dell’OAS che si oppone all’indipendenza concessa dal presidente francese all’Algeria, è il killer che si fa chiamare lo Sciacallo. Nel film il sicario è interpretato dal glaciale Edward Fox, un attore non particolarmente noto al grande pubblico: una scelta in linea con il basso profilo, parlando da un punto di vista strettamente spettacolare, scelto dal regista. La scansione del tempo, i rimandi al suo scorrere inesorabile verso un unico momento cruciale, i tantissimi orologi inquadrati nelle riprese, l’effetto suspense magistralmente alimentato con tecniche proprie del cinema (ad esempio il montaggio alternato), sono molti degli elementi che rimandano al capolavoro western del regista, Mezzogiorno di fuoco

Se un trattamento così scarno era stato congegnale alla perfetta riuscita del film con Gary Cooper e Grace Kelly, era anche per la semplicità del testo e la durata contenuta (85 minuti). In questo caso la sfida è assai più complessa, perché tenere sulla corda sospesa della suspense il pubblico, senza l’aiuto di star del calibro di Coop o della principessa Grace, per 145 minuti, con un intreccio particolarmente elaborato e uno sviluppo narrativo quasi documentaristico, pone l’opera a più di un rischio di perdere l’attenzione degli spettatori. Ma Zinnemann non molla la presa e tira dritto per la sua strada, fino al concitato finale. 

Il film è quindi una vera sfida, più che altro alle consuete leggi dello spettacolo e il regista può ben dire di averla vinta giocandola alla sua maniera. Il suo sguardo neutro ci regala un cattivo, lo Sciacallo del titolo, affascinante nella sua professionale freddezza, nella sua sostanziale assenza di moralità; il suo procedere in modo implacabile è inumano, freddo quanto lo stile di Zinnemann alla regia. Ma anche più interessante è la figura del poliziotto, il commissario Lebel, che davvero fatica a raccapezzarsi in mezzo ad una storia tanto grande quanto intricata e complessa. 
Già il suo nome, palindromo, lascia intendere una bi-direzionalità, una possibilità di cambiare verso senza mutare il risultato che, in un simile contesto, suona come un’incapacità di trovare una direzione che sia quella giusta. Considerazione poi suffragata da più di un dubbio che attraversa la mente del commissario durante lo svolgimento delle indagini, con il detective che in più d’una occasione dà la sensazione di sentirsi fuori posto.
Alla fine, il caso ci mette lo zampino, e la questione fantapolitica della trama si risolve ma lo spaesamento del detective, a fronte di simili intrighi internazionali, ci rimane addosso: una sensazione che, dagli inizi degli anni settanta ad oggi, non ci abbandonerà più.



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