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venerdì 6 luglio 2018

TUTTI GLI UOMINI DEL PRESIDENTE

173_TUTTI GLI UOMINI DEL PRESIDENTE  (All the president's men). Stati Uniti, 1976;  Regia di Alan J. Pakula.

Com’è noto, Tutti gli uomini del presidente racconta i fatti dello scandalo watergate, che portò alla richiesta di impeachment contro Richard Nixon. Gli avvenimenti narrati nel film occorsero nel 1972, la vicenda si concluse nella seconda metà del 1974, con le dimissioni del presidente; il film di Alan J. Pakula uscì nelle sale americane nella primavera del 1976. Se consideriamo l’epoca, gli anni ’70, che erano tempi meno globali e frenetici di oggi, si può osservare come l’opera possa essere considerata praticamente un instant-movie. Il che comincia a renderci l’idea della notevole aderenza alla realtà che poi la pellicola mostra sullo schermo, proiettandoci con i due protagonisti (nientemeno che Robert Redford e Dustin Hoffman) nelle sfumate e sfuggenti situazioni della loro indagine. Le due star interpretano la coppia di giornalisti del Washington Post, Redford è Bob Woodward e Hoffman è Carl Bernstein, autori dell’indagine e anche del libro (spronati a farlo dallo stesso Redford che voleva acquistarne i diritti) alla base del soggetto. Al tempo, la presenza di attori come Redford e Hoffman aggiungeva certamente credibilità critica al racconto, mentre Pakula, che terminava con Tutti gli uomini del presidente la cosiddetta trilogia della paranoia (dopo Una squillo per l’ispettore Klute e Perché un assassinio?) da parte sua era addirittura uno dei massimi esponenti della New Hollywood, una corrente che cercava di portare il cinema verso temi più attinenti alla quotidianità e ai problemi contemporanei. Da questo quadro era perciò lecito attendersi non solo un film ottimo, ma soprattutto sul pezzo

Il risultato fu notevole e si può osservare come, a contribuire a fargli fare il botto, l’assist glielo offrirono Nixon e la sua cricca, con il loro, al tempo imprevedibile (almeno ai più) comportamento. Perché trovare conferma (mentre si cercava di capire qualcosa su quella che, a prima vista, sembrava un semplice intrusione notturna in alcuni uffici) che proprio negli Stati Uniti, la terrà della libertà, le forze politiche conservatrici (e quindi, almeno in teoria, custodi dei valori fondanti della nazione) tramavano spiando in modo illegale la controparte più progressista, era davvero impensabile, e destabilizzava totalmente tutto l’establishment

In effetti il titolo scelto fa riferimento ad una filastrocca per bambini, Humpty Dumbty, in cui l’uovo antropomorfo protagonista va in pezzi cadendo da un muro; e non basteranno tutti gli uomini e i cavalli del re per rimetterlo insieme. Insomma, un guaio a cui non c’è rimedio; in pratica quello che il watergate significava: il tradimento della cieca fiducia nell’onestà del proprio paese, tradimento oltretutto aggravato essendo l’America la stato che si professava il baluardo delle libere opportunità. Da un punto di vista cinematografico, se anche Pakula si fosse esaltato dal poter realizzare un testo tanto scottante (in pratica un film che incarnava in modo programmatico lo spirito della New Hollywood) non lo diede a vedere nella sua regia.

La quale segue una trama che, a sua volta, segue un’indagine meticolosa, realistica, fatta di telefonare e di interviste, di incontri con l’informatore (il celebre gola profonda), con niente o pochissimo di spettacolare. L’inchiesta è quindi un puzzle da assemblare pezzo dopo pezzo, oppure come una serie di lettere, intese come caratteri, della macchina da scrivere, impressi sulla carta, uno dopo l’altro, lentamente, con costanza, senza perdersi d’animo per gli scarsi risultati, l’incomprensibilità dei singoli frammenti o l’ostilità dei piani alti man mano che ci si avvicina all’epicentro del intrigo. Naturalmente la presenza di Redford e Hoffman sostiene la narrazione, ma le digressioni dal lavoro giornalistico dei loro personaggi sono minime; c’è, ad esempio, un piccolo ammiccamento alla collega a cui chiedere un favore, ma l’eventuale aspetto secondario (una storia sentimentale oppure una riflessione sul mero opportunismo dei due uomini) è lasciato cadere nel vuoto.
La patata è troppo bollente e quindi Pakula si attiene saggiamente alla traccia politica, supportato da una sceneggiatura prevedibilmente giornalistica (visto il soggetto), e dalla fotografia neutra di Gordon Willis. A parte la coppia di star, importante il cast nel suo complesso: Jason Robards, Martin Balsam, Hal Hollbrook, Jack Warden, tra gli altri.
Un film secco e asciutto: ad alimentare l’enfasi del racconto, basta la gravità dell’argomento. Forse oggi anche più di allora.



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