1584_QUI SQUADRA MOBILE - OMISSIONE DI SOCCORSO . Italia, 1976; Regia di Anton Giulio Majano
Prosegue
il momento proficuo della serie Qui Squadra Mobile, arrivata al quinto
episodio della seconda stagione: Omissione di soccorso conferma quanto
di buono visto nel precedente La polizia non deve essere avvertita. Anche in
questo caso, il racconto filmico ha praticamente l’enfasi di un prodotto per il
grande schermo, soprattutto nella prima parte, ricca si suspense e che riserva
un colpo di scena clamoroso. Si può ravvisare, anche stavolta, qualche
leggerissima lacuna nella recitazione, in particolare dei due personaggi
secondari dei coniugi Brandolin (Gastone Pescucci e Jole Fierro), ma in
generale bisogna ammettere che il racconto d’azione, genere in cui sempre più
spesso scivolano gli episodi di Qui Squadra Mobile, non calza
propriamente a pennello per interpreti di matrice teatrale. Tuttavia si tratta
di sfumature perché, nel complesso, Omissione di soccorso è uno
splendido esempio di come gli sceneggiati Rai dell’epoca fossero fatti con
serietà e professionalità. Anche stavolta il tema trattato era al tempo
assoluta attualità e gli autori, Felisatti e Pittorru e il regista Majano, non
ci vanno certo leggeri: il problema della droga è affrontato senza sconti e il
finale, particolarmente amaro, è la conferma della loro onesta e sincera
volontà di denuncia. Un finale triste, con la morte della ragazza al centro del
racconto (Silvana Panfili) e il sostanziale fallimento dell’operato della
polizia, per un prodotto che veniva trasmesso sulla Rete 1, l’ammiraglia
televisiva della TV si stato, era un atto di coraggio non da poco. Da un punto
di vista tecnico, Omissione di soccorso si pregia di un’incalzante prima parte,
nella quale la trama si snoda e rivela, preparando, come accennato, un primo
colpo di scena già prima di superare il giro di boa. Pian piano entrano in
gioco i protagonisti della serie e, anche stavolta, si può osservare il
pregevole lavoro in sede di scrittura da parte degli autori. Il capo della
Squadra Mobile, Salemi, il commissario Solmi e anche il commissario Argento,
hanno relativamente meno spazio, essendo i volti ormai più noti; grazie al loro
carisma e alla già avvenuta caratterizzazione dei personaggi, gli basta però
poco spazio narrativo per lasciare la loro impronta. In questo modo hanno più possibilità
di manovra i protagonisti secondari, in questo caso, su tutti il commissario
Astolfi (Gino Lavagetto), come è anche logico essendo a capo della sezione
narcotici della Squadra Mobile. Bene anche il commissario Moraldi e,
soprattutto l’agente Di Franco, prototipo del poliziotto dal volto umano.
Proprio la partecipazione sofferta di quest’ultimo, a fronte delle giovani vite
spezzate dalla droga, insieme al coinvolgimento costante dell’ispettrice
Nunziante e al carattere intenso del commissario Solmi, sottolineano il
cambiamento di registro di questa seconda serie rispetto a quella d’esordio. Se
nel 1973 si era sottolineato l’efficienza tecnica della moderna polizia italiana
–il cervellone, la sala operativa, la polizia scientifica– ora si punta in modo
deciso sul lato umano. Una scelta certo condivisibile; peccato siano unicamente
racconti televisivi, verrebbe quasi da pensare.
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