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venerdì 29 novembre 2024

QUI SQUADRA MOBILE - OMISSIONE DI SOCCORSO

1584_QUI SQUADRA MOBILE - OMISSIONE DI SOCCORSO . Italia, 1976; Regia di Anton Giulio Majano

Prosegue il momento proficuo della serie Qui Squadra Mobile, arrivata al quinto episodio della seconda stagione: Omissione di soccorso conferma quanto di buono visto nel precedente La polizia non deve essere avvertita. Anche in questo caso, il racconto filmico ha praticamente l’enfasi di un prodotto per il grande schermo, soprattutto nella prima parte, ricca si suspense e che riserva un colpo di scena clamoroso. Si può ravvisare, anche stavolta, qualche leggerissima lacuna nella recitazione, in particolare dei due personaggi secondari dei coniugi Brandolin (Gastone Pescucci e Jole Fierro), ma in generale bisogna ammettere che il racconto d’azione, genere in cui sempre più spesso scivolano gli episodi di Qui Squadra Mobile, non calza propriamente a pennello per interpreti di matrice teatrale. Tuttavia si tratta di sfumature perché, nel complesso, Omissione di soccorso è uno splendido esempio di come gli sceneggiati Rai dell’epoca fossero fatti con serietà e professionalità. Anche stavolta il tema trattato era al tempo assoluta attualità e gli autori, Felisatti e Pittorru e il regista Majano, non ci vanno certo leggeri: il problema della droga è affrontato senza sconti e il finale, particolarmente amaro, è la conferma della loro onesta e sincera volontà di denuncia. Un finale triste, con la morte della ragazza al centro del racconto (Silvana Panfili) e il sostanziale fallimento dell’operato della polizia, per un prodotto che veniva trasmesso sulla Rete 1, l’ammiraglia televisiva della TV si stato, era un atto di coraggio non da poco. Da un punto di vista tecnico, Omissione di soccorso si pregia di un’incalzante prima parte, nella quale la trama si snoda e rivela, preparando, come accennato, un primo colpo di scena già prima di superare il giro di boa. Pian piano entrano in gioco i protagonisti della serie e, anche stavolta, si può osservare il pregevole lavoro in sede di scrittura da parte degli autori. Il capo della Squadra Mobile, Salemi, il commissario Solmi e anche il commissario Argento, hanno relativamente meno spazio, essendo i volti ormai più noti; grazie al loro carisma e alla già avvenuta caratterizzazione dei personaggi, gli basta però poco spazio narrativo per lasciare la loro impronta. In questo modo hanno più possibilità di manovra i protagonisti secondari, in questo caso, su tutti il commissario Astolfi (Gino Lavagetto), come è anche logico essendo a capo della sezione narcotici della Squadra Mobile. Bene anche il commissario Moraldi e, soprattutto l’agente Di Franco, prototipo del poliziotto dal volto umano. Proprio la partecipazione sofferta di quest’ultimo, a fronte delle giovani vite spezzate dalla droga, insieme al coinvolgimento costante dell’ispettrice Nunziante e al carattere intenso del commissario Solmi, sottolineano il cambiamento di registro di questa seconda serie rispetto a quella d’esordio. Se nel 1973 si era sottolineato l’efficienza tecnica della moderna polizia italiana –il cervellone, la sala operativa, la polizia scientifica– ora si punta in modo deciso sul lato umano. Una scelta certo condivisibile; peccato siano unicamente racconti televisivi, verrebbe quasi da pensare.      


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