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martedì 5 novembre 2024

THOMAS L'IMPOSTEUR

1572_THOMAS L'IMPOSTEUR. Francia, 1965; Regia di Georges Franju

Nel 1965, quando Georges Franju dirige Thomas l’imposteur, Jean Cocteau autore del racconto all’origine, era morto soltanto da un paio d’anni. L’attenzione di Franju per un artista così importante può essere intesa dal ruolo di narratore fuori campo affidato a Jean Marais, collaboratore e amante di Cocteau. E forse anche dal suo muoversi con eccessiva circospezione: Thomas l’imposteur non è certamente un brutto film, eppure è quasi ossequioso o almeno sembra gli manchi qualcosa in termini di coraggio. Pare che Cocteau si disse entusiasta del fatto che fosse Franju a realizzare il film, dal momento che si fidava ciecamente del regista. Arrivò a dire che avrebbe preferito essere tradito da Franju piuttosto che da qualunque altro: il che lascia intendere quanto fosse profonda la stima reciproca tra i due. E’ forse anche questo a divenire un fardello troppo pesante da portare nel momento della realizzazione del film: o magari è solo la vena artistica di Franju a segnare un po’ il passo o la difficoltà ad interpretare la prosa di Cocteau, però se paragoniamo Thomas l’imposteur a Il delitto di Thérèse Desqueyroux, un altro film del regista bretone di ingombrante origine letteraria, è difficile non rimanere un pizzico delusi. Anche Emmanuelle Riva, interprete di entrambi i film, non sembra allo stesso livello in questa sua più recente interpretazione, almeno in termini di intensità. Il che potrebbe essere normale, sia chiaro. Se non fosse che ci sono alcuni particolari che incuriosiscono: Emmanuelle nel ruolo di Thérèse Desqueyroux non è che fosse imbruttita, per carità quello no, però nei dialoghi del film si sottolineava l’intelligenza del suo personaggio mentre veniva fatto un esplicito paragone con la Anne di Edith Scob, che veniva definita di una bellezza più delicata. Franju era stato anche attento, a non offendere la sensibilità della Riva, visto che queste parole erano pronunciate dal padre di Anne, e quindi era evidente che fossero di parte e tra l’altro la cosa era detta esplicitamente. Insomma, ne Il delitto di Thérèse Desqueyroux Emannuelle Riva era una donna intelligente e sensibile; certo non brutta ma a nessuno verrebbe da dire che fosse particolarmente bella. Ecco, il ruolo della Principessa de Bormes in Thomas l’imposteur sembra essere scritto per rimediare al precedente: Emmanuelle stavolta è davvero radiosa e bellissima anche se, per la verità, un po’ troppo frivola. Ma il film è scritto con garbo e misura, il che per un film ambientato durante la Prima Guerra Mondiale è in effetti abbastanza sorprendente. 


L’impostore del titolo è Thomas (Fabrice Rouleau) un ragazzino che si infila una divisa non sua e si spaccia per nipote di un importante generale, approfittando del prestigio usurpato per farsi bello agli occhi della principessa e della di lei figlia Henriette (Sophie Darès). Se la love story tra i due adolescenti è plausibile, l’infatuazione per un simile bamboccio da parte di una gran dama come la principessa lascia un po’ perplessi e serve tutta la classe della Riva per non scadere nel ridicolo, che forse è la cosa più onesta per definire la cosa. Ma Franju potrebbe lavorare su un altro piano, tornando ad affrontare l’istituzione famigliare come sottotrama ad un film che contesta apertamente quella militare. Nei suoi precedenti lungometraggi, da La fossa dei disperati a Occhi senza volto a L’uomo in nero, la famiglia di stampo patriarcale era fortemente criticata. In Thomas l’imposteur c’è forse un tentativo di vagliare le alternative, ma la domanda rimane senza risposta. Da un punto di vista sentimentale ci sono due triangoli pseudo melodrammatici – al film manca il pathos per potersi definire un melò – entrambi inconcludenti. Del primo si è già accennato, con Thomas conteso da Henriette e dalla principessa sua madre. Tra il personaggio della Riva e l’impostore del titolo c’è però anche un sentimento materno, il che pone qualche sfumatura incestuosa nel triangolo, tanto che Thomas e Henriette potrebbero essere scambiati per fratelli nelle scene in cui la Principessa de Bormes è presente. Se la relazione dei giovani non ha sostanziali risultati, ancora meno concreto è l’altro triangolo che si forma nello sviluppo della vicenda. Per il quale occorre tirare in ballo Pasquel-Duport (Jean Servais) attempato e facoltoso spasimante della principessa, lasciato dalla donna in perenne attesa. In questi frangenti la Riva è deliziosa (“dei miei pretendenti sei quello che NON mi piace di meno”), ma non si può dimenticare che poi il suo personaggio si perde frivolamente nella futile infatuazione per il bamboccio a cui è dedicata la storia. Pasquel-Duport, con il suo ruolo, è un importante editore, ricorda la figura patriarcale dei citati film di Franju ma non possiede la forza di opporsi al fascino della principessa. Ricollegandosi alla precedente pellicola con Emmanuelle Riva, l’autore francese sembra particolarmente amaro, sebbene sottotraccia: un po’ come dire che se la donna intelligente ed emancipata come Thérèse Desqueyroux non era stata in grado di opporsi efficacemente allo strapotere maschile, la frivola principessa, facendo ricorso alle classiche armi femminili, bellezza e glamour, riusciva nell’impresa. Ma era una vittoria sterile quanto il secondo triangolo sentimentale del film. Eppure questi temi, seppure possono essere trovati, sembrano appena accennati. Franju, infatti, nel film non affonda il colpo, lasciando Thomas fare il suo gioco infantile senza venir mai scoperto, o meglio quasi mai, comunque senza le conseguenze che sarebbe stato interessante vedere. Forse è la natura stessa dell’argomento trattato, la guerra, a creare qualche difficoltà in più. 


La poetica di Franju, che spesso andava controtendenza alle apparenze per farne emergere il vero volto, o almeno uno dei volti nascosti, stavolta deve infatti lavorare al contrario e questo, se risulta ancora una volta straniante, lo è in senso opposto ai precedenti lavori del regista. Nella sua congiunta critica alla famiglia patriarcale e alla scienza medica, due istituzioni della società borghese, ne La fossa dei disperati e in Occhi senza volto, Franju approccia con toni gravi e oscuri, da vero e proprio horror nel secondo caso. Quando mette sotto il suo obiettivo l’esercito sceglie ovviamente lo scopo ultimo di questi, la guerra, che è cupo e spaventevole già di suo. Anche in questo caso Franju affronta l’argomento dalla parte opposta del consueto, e di conseguenza l’approccio è leggero. Thomas vive una sorta di sogno, dove finge di essere quello che non è, da parte sua la Principessa gioca a fare la bell’infermiera e questo le è più o meno rinfacciato direttamente da Paquel-Duport. Le pennellate surreali tipiche di Franju in questo caso servono a correggere l’eccesso di leggerezza, risultando per la verità ancora una volta efficaci. Il racconto verte sulla organizzazione da parte della principessa de Bormes di un convoglio civile sotto le insegne della Croce Rossa che possa dare un contributo ai feriti del fronte. La cosa non è vista di buon occhio dai militari e solo la presenza di Thomas, che come detto millanta di essere nipote del generale Fontenoy, permette loro di operare in qualche modo. La guerra mostra alla principessa il suo lato più truce ma non sono le canoniche scene belliche ad impressionare di più. Come detto Franju ha ancora la sua vena surrealista ben oliata: la scena del cavallo con la criniera insanguinata nel villaggio deserto va di diritto nella galleria dei suoi passaggi memorabili. Ma sono comunque interessanti le sue carrellate, nelle quali si ricorda il suo passato di documentarista, sui luoghi di guerra, sulle trincee, particolarmente affascinanti e inusuali quelle sul mare. Sebbene risparmi i protagonisti, la sua ironia è sempre presente, anche in forma metalinguistica: ad un certo punto, di notte, a bordo di un’ambulanza, compare il volto di Edith Scob, attrice feticcio dell’autore e completamente estranea al resto del film. Come dire, se non posso trovarle un ruolo, la infilo nel film come sorta di visione onirica fine a sé stessa. Più gustoso e sarcastico il passaggio in cui due soldati francesi, ascoltando ad una rappresentazione teatrale della Marsigliese, l’inno nazionale transalpino, si chiedono cosa fosse, non sapendo rispondere. Al limite del blasfemo, e qui è forse l’unico passaggio forte del film insieme al cavallo dalla criniera insanguinata, il momento in cui il prete cappellano distribuisce la comunione ai soldati moribondi. Ce n’è uno che proprio non vuole aprire la bocca, forse è già morto, tanto è rigido: il prete non si dà per vinto, prende dalla tasca un coltello serramanico, gli forza le labbra e ci infila l’ostia. Non è un capolavoro, questo Thomas l’imposteur ma rientra a pieno titolo nelle corde di Franju e, se si ha un po’ di pazienza, si lascerà apprezzare.


Emmanuelle Riva 


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