1574_NIEMANDSLAND. Germania, 1931; Regia di Victor Trivas
Che l’epicentro stesso della Grande Guerra, la famigerata
striscia compresa tra le trincee nota come terra di nessuno, possa
assurgere a luogo-manifesto per un film antimilitarista è un’intuizione davvero
niente male. E’ infatti lì che Victor Trivas ambienta il suo Niemandsland,
facendo incontrare in un ricovero per la truppa lungo una trincea ormai finita
nella terra di nessuno, cinque diversi partecipanti alla Prima Guerra
Mondiale. Questi personaggi sono stati presentati in precedenza, nel lungo
incipit, e quindi abbiamo una certa familiarità con essi. C’è il soldato tedesco
Ernst (Ernst Busch) che, risvegliatosi nella ridotta, cerca di aiutare Lewin
(Vladimir Sokoloff), ebreo russo che avevamo visto essere un sarto. Il
poveretto è finito sotto una trave e, in seguito ad uno shock causato
dall’esplosione di una bomba, non può sentire né parlare. Meno male che arriva
il francese Charles (Georges Péclet) a dare una mano al tedesco e il povero
sarto viene tolto dalla scomoda posizione. Dopo il primo moto di solidarietà
scaturito dalla vista di Lewin moribondo, il tedesco e il francese cominciano a
guardarsi con sospetto: il tentativo di tornare nelle rispettive trincee
naufraga però subito sotto il terrificante fuoco d’artiglieria che si scatena
appena qualcosa si muove. Tornati nel rifugio, vengono raggiunti da Joe Smile
(Louis Douglas), un soldato francese di colore, che trascina l’inglese Charles
(Hugh Douglas), in un primo momento privo di conoscenza. A questo punto il
quintetto di personaggi è riunito e la storia prosegue mettendo in risalto
l’assurdità della situazione seconda solo a quella della guerra in generale. E’
interessante, forse per via dell’epoca del film, la mancanza del politicamente
corretto di facciata in voga oggi a fronte di un più convinto e profondo
rispetto per l’altro, il diverso. Joe Smile viene presentato come nero
senza troppi giri di parole e, ad un certo punto, il Charles francese (che si
chiama come il militare inglese) richiede il suo aiuto con un hey ‘bianco’,
vieni ad aiutarmi! che oggi suonerebbe probabilmente offensivo. Ma nel film
non c’è nessuna azione denigratoria nei confronti di Joe Smile che, in quanto
artista, è al contrario quello che riesce a cogliere con maggiore lucidità le
contraddizioni del tempo e che la situazione paradossale di Niemandsland
mette bene in rilievo. Il finale con la marcia dei cinque uomini che si
avventano sul filo spinato, che si erge al centro della terra di nessuno, per
abbatterlo, è una scena di grande impatto visivo e simbolico. Il film, infatti,
risente fortemente dell’eredità del cinema muto che utilizzava immagini di forza
prorompente per supplire la mancanza dei suoni. Niemandsland eccede
forse in questo senso nella prima parte, quella in cui sono presentati i
personaggi nella loro vita borghese, mentre quando ci si sposta al fronte la
potenza visiva sembra adeguata al contesto. Certamente nell’emblematica e
memorabile ultima sequenza che provava a dare un po’ di speranza ad un mondo
che, ben presto, l’avrebbe di nuovo malauguratamente persa.
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