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sabato 9 novembre 2024

NIEMANDSLAND

1574_NIEMANDSLAND. Germania, 1931; Regia di Victor Trivas

Che l’epicentro stesso della Grande Guerra, la famigerata striscia compresa tra le trincee nota come terra di nessuno, possa assurgere a luogo-manifesto per un film antimilitarista è un’intuizione davvero niente male. E’ infatti lì che Victor Trivas ambienta il suo Niemandsland, facendo incontrare in un ricovero per la truppa lungo una trincea ormai finita nella terra di nessuno, cinque diversi partecipanti alla Prima Guerra Mondiale. Questi personaggi sono stati presentati in precedenza, nel lungo incipit, e quindi abbiamo una certa familiarità con essi. C’è il soldato tedesco Ernst (Ernst Busch) che, risvegliatosi nella ridotta, cerca di aiutare Lewin (Vladimir Sokoloff), ebreo russo che avevamo visto essere un sarto. Il poveretto è finito sotto una trave e, in seguito ad uno shock causato dall’esplosione di una bomba, non può sentire né parlare. Meno male che arriva il francese Charles (Georges Péclet) a dare una mano al tedesco e il povero sarto viene tolto dalla scomoda posizione. Dopo il primo moto di solidarietà scaturito dalla vista di Lewin moribondo, il tedesco e il francese cominciano a guardarsi con sospetto: il tentativo di tornare nelle rispettive trincee naufraga però subito sotto il terrificante fuoco d’artiglieria che si scatena appena qualcosa si muove. Tornati nel rifugio, vengono raggiunti da Joe Smile (Louis Douglas), un soldato francese di colore, che trascina l’inglese Charles (Hugh Douglas), in un primo momento privo di conoscenza. A questo punto il quintetto di personaggi è riunito e la storia prosegue mettendo in risalto l’assurdità della situazione seconda solo a quella della guerra in generale. E’ interessante, forse per via dell’epoca del film, la mancanza del politicamente corretto di facciata in voga oggi a fronte di un più convinto e profondo rispetto per l’altro, il diverso. Joe Smile viene presentato come nero senza troppi giri di parole e, ad un certo punto, il Charles francese (che si chiama come il militare inglese) richiede il suo aiuto con un hey ‘bianco’, vieni ad aiutarmi! che oggi suonerebbe probabilmente offensivo. Ma nel film non c’è nessuna azione denigratoria nei confronti di Joe Smile che, in quanto artista, è al contrario quello che riesce a cogliere con maggiore lucidità le contraddizioni del tempo e che la situazione paradossale di Niemandsland mette bene in rilievo. Il finale con la marcia dei cinque uomini che si avventano sul filo spinato, che si erge al centro della terra di nessuno, per abbatterlo, è una scena di grande impatto visivo e simbolico. Il film, infatti, risente fortemente dell’eredità del cinema muto che utilizzava immagini di forza prorompente per supplire la mancanza dei suoni. Niemandsland eccede forse in questo senso nella prima parte, quella in cui sono presentati i personaggi nella loro vita borghese, mentre quando ci si sposta al fronte la potenza visiva sembra adeguata al contesto. Certamente nell’emblematica e memorabile ultima sequenza che provava a dare un po’ di speranza ad un mondo che, ben presto, l’avrebbe di nuovo malauguratamente persa. 



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